La Chiesa fa politica!

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Tra le varie accuse che vengono rivolte alla Chiesa cattolica ve n’è una che è ricorrente ancora oggi quan­do i suoi pastori scelgono di pronunciarsi su un tema di interesse civile. In queste circostanze essi ven­gono spesso rimproverati di occuparsi indebitamente di questioni che non competono loro e invitati a restare rigorosamente nell’ambito prettamente spirituale. Quando però, sulle stesse tematiche, gli stessi pa­stori decidono di non pronunciarsi, si sollevano obiezioni opposte: li si rimprovera di non avere coraggio e si chiede loro di prendere pubblicamente posizione per difendere la verità.

Tali atteggiamenti potreb­bero essere spiegati semplicemente dal fatto che normalmente ogni persona adulta ha delle convinzioni personali ben radicate, e talora si aspetta che le istituzioni di un certo rilievo le diano ragione. Così chi ritiene che la Chiesa cattolica abbia un peso sul vivere sociale del nostro paese può arrivare a pretendere che i suoi pastori parlino o tacciano a seconda di cosa sia più conveniente per l’affermazione della propria visione delle cose sul piano civile.

In realtà, al di là di queste pretese stravaganti, è del tutto legittimo chiedersi perché mai la Chiesa do­vrebbe occuparsi di questioni come le leggi civili relative all’accoglienza di persone bisognose, all’inizio e alla fine della vita umana, alle politiche familiari e così via. In effetti, contro tale opzione si potrebbe osservare, da un lato, che la società è laica e che per questo le religioni non dovrebbero avere alcuna inci­denza sul dibattito pubblico e, dall’altro, che la stessa Chiesa cattolica pensa la sua missione in termini di evangelizzazione, collocandosi così in un ambito ben distinto dai problemi di natura civile.

A riguardo della prima obiezione, occorre osservare che, nell’arco del XX secolo, ma soprattutto dal Va­ticano II, la Chiesa cattolica ha riconosciuto la legittimità, e anzi la necessità, della laicità dello stato. Essa è la condizione che permette il rispetto della libertà degli individui, anche sul piano religioso, la quale affonda le sue radici nella loro dignità di persone umane. Se, dunque, oggi la Chiesa interviene sul piano civile, non lo fa per restaurare uno stato cristiano, né per rivendicare una sorta di autorità superiore estra­nea alla costituzione democratica delle società occidentali.

Tuttavia, una società laica, proprio per il fatto che non ha riferimenti religiosi di alcun genere, ha assoluta necessità di ricostituire continuamente il proprio fondamento valoriale, pena il suo collasso culturale, politico e sociale. Questo obiettivo deve essere perseguito valorizzando le proprie radici culturali (che, nel caso dei paesi occidentali, sono quelle greco-romane, ebraico-cristiane ecc.), ma resta comunque indi­spensabile anche il libero dibattito pubblico. Dunque, qualunque soggetto che abbia una certa rilevanza è tenuto ad intervenire in questo dibattito per arricchire i fondamenti etici della collettività a partire dalla propria visione della persona umana e della società.

Anche la Chiesa cattolica, essendo un soggetto col­lettivo di grande rilevanza culturale e sociale, pur non identificandosi con alcun partito (essendo, cioè, apartitica), ha il diritto e il dovere di prendere la parola nel dibattito civile, politico e culturale su qualsiasi questione risulti importante per il bene comune. Negarle il diritto di esprimersi liberamente in questi contesti significherebbe compiere un atto intrinsecamente contrario ai principi democratici su cui sono fondati gli stati moderni nel mondo occidentale.

Certo, il contributo della Chiesa cattolica al dibattito pubblico, pur derivando dalla visione cristiana della realtà, dovrà essere presentato e supportato da argo­mentazioni ragionevoli che possano essere capite e discusse anche da chi non ha fede in Gesù. Del resto, nella visione cattolica non c’è contraddizione tra la fede e quanto può essere compreso con un retto uso della ragione.

Ma tutto questo non esula dal compito dell’evangelizzazione che riassume la missione ecclesiale? In re­altà, da sempre la Chiesa si è presa cura del mondo, cioè della società, nella consapevolezza che Dio le aveva affidato il compito di orientarla verso il regno di Dio.

Nell’antichità, tuttavia, si riteneva che lo stato dovesse avere un fondamento religioso, per cui la Chiesa si pose inizialmente come alternativa all’interno dell’impero pagano, e poi, quando esso divenne cristiano, si limitò a difendere e a rafforzare questa sua identità confessionale.

Con la modernità e la nascita degli stati laici, faticosamente accettata dalla Chiesa cattolica, la sua missione in favore dal mondo ha subito progressivamente una mutazione nelle sue forme concrete. Non si trattava più di rendere cristiana la società, ma di aiutarla a progredire verso il regno di Dio per una strada non ecclesiale né religiosa, cioè facendola crescere nella fedeltà a quei valori che il Dio creatore ha posto dal principio a suo fondamento (la giustizia, la libertà, la solidarietà ecc.). Dunque quando i pastori – o altri membri della Chiesa – intervengono nell’ambito politico e culturale civile, lo fan­no per attuare la missione ecclesiale, sebbene questo aspetto non sia identificabile con l’evangelizzazione propriamente intesa. Anche in questo servizio al mondo essi mettono in gioco la loro fedeltà al Signore e alla missione ricevuta da lui.

Certo, i credenti sono consapevoli che, quando i pastori annunciano il contenuto dottrinale della fede parlano con la stessa autorità del Signore, ma anche che tale loro autorevolezza decresce man mano che si allontanano dai principi dottrinali e si avvicinano al complesso dibattito sulle opzioni concrete. Ciò non toglie, tuttavia, che i cattolici debbano comunque prendere sul serio gli orientamenti dell’episcopato per tradurli poi in scelte operative attraverso la mediazione della loro coscienza cristiana.

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Un commento

  1. Vitaliano 20 maggio 2019

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