La Chiesa si mette in piedi

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L’umiliazione che corrobora

In queste ore stanno avvenendo delle cose importanti nella Chiesa e per la Chiesa! Dopo la Lettera al popolo di Dio di papa Francesco e le parole contrite pronunciate a Dublino, la Chiesa si mette in ginocchio con umiltà e in verità. L’atto penitenziale alla messa di conclusione dell’Incontro mondiale delle famiglie è stato un atto solenne di contrizione ancora più toccante – perché preciso e storicamente contemporaneo – di ciò che Giovanni Paolo II ha fatto il 12 marzo 2000.

Proprio questa condizione di Chiesa, che si mette responsabilmente in ginocchio, sta dando alla comunità discepolare la possibilità di trasformare la vergogna in parresia. Riconoscere il proprio fallimento, nella questione particolare della pedofilia, è ben più grande di questo. Significa che la Chiesa riconosce di essere una comunità di peccatori perdonati e di non avere nessun privilegio di infallibilità morale.

A partire da questa umiliazione storica nella contemporaneità, la Chiesa confessa di poter e voler contare sulla grazia che gli viene da Cristo, suo Signore e Sposo. Sembra paradossale ed invece è magnifico: stiamo vivendo come Chiesa un momento di grazia! Infatti, siamo nella logica dell’inversione evangelica il cui manifesto sono le Beatitudini proclamate dal Signore Gesù e il Magnificat di Maria.

Proprio mentre la Chiesa si è messa in ginocchio, può finalmente mettersi in piedi.

Papa Francesco celebra la messa al Phoenix Park, in Dublino, Irlanda, 26 agosto 2018. (AP Photo/Matt Dunham)

Papa Francesco celebra la messa al Phoenix Park, in Dublino, Irlanda, 26 agosto 2018. (AP Photo/Matt Dunham)

Il “dialetto” della carità

Papa Francesco ha riconosciuto in Irlanda l’esperienza di cocente fallimento riguardo i minori e i vulnerabili oltraggiati da chierici. Al contempo, sempre su stimolo del vescovo di Roma, la Chiesa italiana – di cui papa Francesco è primate – si mette in piedi per contrastare la politica del Governo al governo.

Proprio l’esperienza dell’umiliazione sembra stia permettendo alla Chiesa di guadagnare in libertà e coraggio. In queste ore si sta consumando l’inevitabile divorzio tra Chiesa e potere politico per guadagnare in rispetto e libertà che si vive nella differenza profetica.

Il linguaggio “politichese” che ha ispirato per anni le scelte della Conferenza episcopale italiana, ha ceduto il passo al “dialetto” della carità. Di questo “dialetto”, necessario per trasmettere la fede ai giovani, ha parlato papa Francesco alle giovani famiglie nella co-cattedrale di St. Mary a Dublino.

 Il “dialetto” della carità non è solo necessario per la trasmissione del deposito della fede in termini dogmatico-rituali, ma è ancora più necessario per farsi capire da quanti bussano alla porta del nostro cuore per poter sperare come noi e con noi.

Nella forza che ci viene dallo Spirito del Risorto e non da noi stessi, abbiamo avuto l’audacia – come Chiesa – di metterci in ginocchio per ciò che riguarda noi stessi e di metterci vigorosamente in piedi per rispondere alle necessità degli altri dei poveri.

A questo punto si pone una domanda per noi come comunità di discepoli del Signore: «Saremo capaci di pagare il prezzo di queste scelte di verità e di coraggio?». E ancora: «Saremo capaci di assumere le conseguenze di questo metterci in piedi di fronte al governo del nostro Paese non per difendere i diritti della Chiesa, ma per difendere i gioielli invendibili della Chiesa che sono i poveri?». Stiamo forse tornando ai tempi del diacono Lorenzo? Sarebbe bello! Ma non dimentichiamo che questa bellezza è direttamente proporzionale alla nostra disponibilità a rinunciare ai nostri interessi e privilegi “clericali” per difendere i bisogni dei piccoli della terra, accettando di portarne serenamente e a testa alta le possibili conseguenze.

Vangelo “sine glossa”

La nostra Chiesa che è in Italia ha avuto un sussulto non solo di dignità, ma di identità. Basta poco perché la storia faccia degli scatti irreversibili e di questo non possiamo che ringraziare lo Spirito che non cessa di gonfiare con il suo vento impetuoso le vele della barca della Chiesa, quando ci ricordiamo di issarle osando la navigazione in mare aperto. Forse sta proprio avvenendo?!

È finito persino nel nostro Paese, così a lungo cesaropapista, il regime della Christianitas, per fare posto allo stile del Vangelo “sine glossa”? La scelta di queste ore avrà probabilmente il suo contraccolpo. Questo è il prezzo di una fedeltà che, dopo aver messo la Chiesa giustamente in ginocchio, le permette di mettersi in piedi, doverosamente in piedi: non per se stessa, ma per quei «piccoli» (Mt 25,40) in cui ogni battezzato riconosce il suo Maestro e il suo Signore.

Stiamo finalmente mettendo in pratica il rovesciamento della piramide della spiritualità a favore del suo fondamento evangelico. Non siamo più chiamati a coltivare il sogno dell’eccellenza di uno stato di perfezione disincarnato e disinformato sulla sofferenza dei nostri fratelli e sorelle in umanità. Siamo chiamati ad imbarcarci sulla barca traballante dell’eccedenza di una carità che si assume pienamente i rischi e le conseguenze della propria avventura discepolare rinunciando volontariamente alla propria “sicurezza clericale”.

Del resto, papa Francesco lo ha detto con chiarezza inequivocabile nella Gaudete et exsultate. In particolare, c’è un passaggio che andrebbe ingigantito e messo come “motto” di compatibilità evangelica all’ingresso delle nostre chiese:

«Spesso si sente dire che, di fronte al relativismo e ai limiti del mondo attuale, sarebbe un tema marginale, per esempio, la situazione dei migranti. Alcuni cattolici affermano che è un tema secondario rispetto ai temi “seri” della bioetica. Che dica cose simili un politico preoccupato per i suoi successi si può comprendere, ma non un cristiano, a cui si addice solo l’atteggiamento di mettersi nei panni di quel fratello che rischia la vita per dare un futuro ai suoi figli. Possiamo riconoscere che è precisamente quello che ci chiede Gesù quando ci dice che accogliamo Lui stesso in ogni forestiero (cfr Mt 25,35)? San Benedetto lo aveva accettato senza riserve e, anche se ciò avrebbe potuto “complicare” la vita dei monaci, stabilì che tutti gli ospiti che si presentassero al monastero li si accogliesse “come Cristo”, esprimendolo perfino con gesti di adorazione, e che i poveri pellegrini li si trattasse “con la massima cura e sollecitudine”».[1]

Il riferimento a Benedetto, patriarca dei monaci di Occidente e patrono d’Europa, è assai intrigante e stimolante. Paolo VI volle affidare il cammino dei nostri popoli europei alla sua particolare protezione, quando il 24 ottobre 1964 lo additò con queste parole che rammentano, nell’attuale situazione, un’esigenza ancora tutta da onorare:

«Messaggero di pace, realizzatore di unione, maestro di civiltà, e soprattutto araldo della religione di Cristo e fondatore della vita monastica in Occidente: questi i giusti titoli dell’esaltazione di san Benedetto Abate. Al crollare dell’Impero Romano, ormai esausto, mentre alcune regioni d’Europa sembravano cadere nelle tenebre e altre erano ancora prive di civiltà e di valori spirituali, fu lui con costante e assiduo impegno a far nascere in questo nostro continente l’aurora di una nuova èra. Principalmente lui e i suoi figli portarono con la croce, con il libro e con l’aratro il progresso cristiano alle popolazioni sparse dal Mediterraneo alla Scandinavia, dall’Irlanda alle pianure della Polonia. […] Fu così che egli cementò quell’unità spirituale in Europa in forza della quale popoli divisi sul piano linguistico, etnico e culturale avvertirono di costituire l’unico popolo di Dio; unità che, grazie allo sforzo costante di quei monaci che si misero al seguito di sì insigne maestro, divenne la caratteristica distintiva del Medio Evo».

atto solenne di contrizione

“Onorare tutti gli uomini”

Queste parole furono date alla Chiesa e al mondo nel giorno della consacrazione della Chiesa del monastero di Montecassino, ricostruita dopo la distruzione avvenuta alla fine della seconda guerra mondiale da parte delle Forze Alleate. Così Benedetto diventa patrono e ispiratore di quel “meticciato” che permette alle civiltà di crescere scampando a tutte le tentazioni di endogamia religiosa, culturale, sociale, politica ed economica.

La distruzione di Montecassino diventa un monito contro tutto ciò che remotamente portò al fallimento della tradizionale Christianitas in paesi che dimenticarono il Vangelo, lasciandosi accecare dalla chiusura sulle proprie paure e sui propri interessi particolari a scapito del bene di tutti. A Dublino, papa Francesco ha ricordato l’energia impiegata dai monaci irlandesi che, quasi coevi di Benedetto, seppero farsi pellegrini per Cristo al fine di incentivare, con la predicazione della fede cristiana, la globalizzazione della speranza. Questo avvenne proprio attraverso l’integrazione dei popoli che da lontani ed estranei diventeranno fratelli e vicini, cominciando ad accogliersi e servirsi reciprocamente nei monasteri dell’alto medioevo.

Ricordare Benedetto assieme a Colombano, Brendan e tanti altri… è, nei giorni che viviamo di rinnovate paure e di tentazione di chiusura, una vera occasione per non perdere la memoria di ciò che siamo diventati e in cui ancora siamo chiamati a crescere: uomini e donne capaci di compassione e di comprensione. La fedeltà al Vangelo passa sempre per la compassione verso la carne sofferente di Cristo presente nei bisogni concreti dei poveri. Questo comporta una sorta di complicazione della vita, come ricorda la Gaudete et exsultate. Questo, perché aprirsi alle necessità dei poveri come conseguenza dell’incarnazione del Verbo complica tutto e, nello stesso tempo, lo rende autenticamente evangelico.

Nella cappella monastica di Rhêmes-Notre-Dame l’icona di san Benedetto riprende in esergo uno degli Strumenti delle buone opere (RB 4) che suona così: «Onorare tutti gli uomini».

La capacità di essere umani si misura sempre dalla disponibilità a mettersi nei panni dell’altro e di non passare mai oltre la sofferenza… ogni sofferenza. Persino il dolore e il disagio che non comprendiamo e disapproviamo o, più sovente, ci disturba fino a complicare la nostra vita che normalmente è già complicata.

Mentre spirano venti di pensiero inquietanti e si addensano nubi rattristanti, non ci resta che intensificare la preghiera. Supplichiamo il Signore di renderci capaci di metterci in ginocchio per piangere i nostri peccati e, fieramente in piedi, per onorare tutti gli umani e, soprattutto, i poveri e i piccoli.

San Benedetto e san Colombano pregate per noi!


[1] Gaudete et exsultate, 102.

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3 Commenti

  1. Mario Corbo 31 agosto 2018
  2. Mario Corbo 31 agosto 2018
  3. Fabrizio Mastrofini 28 agosto 2018

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