La piramide capovolta

di:

L’autorità è servizio

1. La Chiesa si chiama “serva” come Maria. Papa Francesco, il 17 ottobre 2015, chiudendo la commemorazione del 50° dell’istituzione del sinodo dei vescovi da parte del beato Paolo VI, ha pronunciato un Discorso memorabile (= Discorso);[1] in un tratto di esso Bergoglio si fa didatta eccellente: «Gesù – afferma – ha costituito la Chiesa ponendo al suo vertice il Collegio apostolico, nel quale l’apostolo Pietro è la “roccia” (cf. Mt 16,18), colui che deve “confermare” i fratelli nella fede (cf. Lc 22,32). Ma in questa Chiesa, come in una piramide capovolta, il vertice si trova al di sotto della base. Per questo coloro che esercitano l’autorità si chiamano “ministri”: perché, secondo il significato originario della parola, sono i più piccoli tra tutti» (Discorso).

Papa Francesco parla della Chiesa umile e serva, dentro la quale l’autorità può essere esercitata solo in umiltà e in spirito di servizio. Questo Discorso di Bergoglio echeggia il “Gaudet Mater Ecclesia” di Roncalli che, dopo aver affermato che la Chiesa deve entrare in dialogo con tutti gli uomini, insegna che come Cristo è venuto nel mondo per servire, così la Chiesa, comunità fraterna,[2] cerca di servire il mondo promuovendo la fraternità di tutti gli uomini.[3]

La Chiesa è chiamata a vivere il titolo che Maria, Chiesa nascente e con lei «una sola madre e più madri»,[4] si è data: «Sono la serva del Signore» (Lc 1,30). Anche in questo occorre ricordare che Maria è pienamente ecclesiale, mentre la Chiesa non è ancora pienamente mariana, ma deve sforzarsi di diventarlo al più presto e sempre di più.

2, In una Chiesa sinodale l’autorità serve, l’autoritarismo distrugge. Una Chiesa del dialogo, della ricerca dell’incontro col mondo sulla linea della Gaudium et spes, che considera l’uomo contemporaneo come un necessario interlocutore per l’annuncio del vangelo e la trasmissione della fede, può riferirsi solo a un’ecclesiologia di servizio che pensa se stessa come serva.[5] Questa non è un’ecclesiologia peregrina o eccentrica, perché l’unica Chiesa che Gesù ha voluto e vuole è quella umile e caritativamente estroversa: «La Chiesa è Chiesa soltanto se esiste per gli altri. […] La Chiesa deve partecipare agli impegni nel mondo propri della comunità ordinaria, non dominando, ma aiutando e servendo».[6]

Sul Discorso di papa Bergoglio aleggia anche il grande spirito del beato Antonio Rosmini-Serbati, per il quale l’autorità nella Chiesa non è né diminuita né indebolita se è esercitata con umiltà. Egli, dopo aver esaltato il giusto senso dell’autorità, condanna l’autoritarismo, affermando che, ad ottenere «unità dei voleri, unità di persuasioni, unità di affetti […] non basta il comandar di uno solo con autorità, la quale, tutta sola, trae seco pur sempre qualche cosa di invidioso e di ostile, né per l’ordinario rende i soggetti più illuminati, ma solo più aggravati».[7]

L’autorità smette di essere «tutta sola» quando è esercitata sinodalmente, nella fraternità, che non è un’aggiunta posticcia o spuria alla vita di Chiesa, perché ne è l’anima, essendo essa anzitutto un “popolo di figli” (è l’eredità del Padre), segnati eternamente dallo stigma della fraternità proprio dal Fratello necessario (è l’eredità del Figlio), in ascolto del «grido filiale» (Gal 4,6), che produce nei credenti l’eco di un “grido ecclesiale”, ossia sinodale (è l’eredità dello Spirito).

Ma come si fa ad esibire con i figli di Dio, con i fratelli in Cristo, l’autoritarismo con tutto l’infelice corredo che richiede per essere sostenuto (menzogna, cinismo, formalismo falso che porta ad affermare una cosa e pensarne e ad architettarne un’altra…)?

Un servizio senza limiti

1. La Chiesa rende il suo servizio in più direzioni. Una Chiesa serva lo è anzitutto di Dio,[8] a imitazione di Cristo servo (Fil 2,6-11). Il nome di servo di Dio portato da Gesù ammonisce la Chiesa ad essere, a sua volta, serva del Signore, poiché per Cristo quel titolo descrive l’intero cammino messianico di Gesù comprendente la sua preesistenza, l’incarnazione, la vita terrena, la morte in croce e l’esaltazione che trova la sua ragione causale nell’abbassamento. Gesù è pertanto il vero esempio di servitore, al quale la Chiesa deve guardare.

L’intera Chiesa vive al suo interno il servizio nel senso che tutti i suoi figli si fanno l’uno servo dell’altro, ognuno rendendo il servizio che è chiesto a livello vocazionale, carismatico e ministeriale. In questo servizio intra-ecclesiale si riverbera il primo servizio che si rende a Dio come creature e figli: è il servizio radicale che ci autorizza a chiamarci “servi di Dio”, ora in stato di esilio e di esodo, per poi esserlo nella condizione della gloria. Non a caso il titolo di “servo di Dio” è assegnato dalla Chiesa cattolica dopo la morte a persone che ritiene si siano distinte per «santità di vita» o «eroicità delle virtù», dopo la prima fase del processo di canonizzazione.

2. Nella Chiesa ognuno è servo di Dio e dei fratelli. La sinodalità della Chiesa non ci sarebbe senza la diakonia;[9] in concreto, se i suoi figli, che dentro di sé sono fratelli e padri, non vivessero il servizio e il suo spirito. Al servizio si è tenuti tutti nella Chiesa, dall’ultimo battezzato al papa che papa Gregorio I chiamò Servus servorum Dei (Servo dei servi di Dio),[10] con una intuizione veramente buona.[11] Se sono mutuamente servi per il Regno, per ciò stesso i cristiani sono sinodali nella Chiesa e oltre essa.

Sorprende che papa Francesco all’inizio e alla fine del suo Discorso parli della sinodalità ecclesiale in apertura al mondo. Così dice il papa: «Il nostro sguardo si allarga anche all’umanità. Una Chiesa sinodale è come vessillo innalzato tra le nazioni (cf. Is 11,12) in un mondo che – pur invocando partecipazione, solidarietà e trasparenza nell’amministrazione della cosa pubblica – consegna spesso il destino di intere popolazioni nelle mani avide di ristretti gruppi di potere. Come Chiesa che “cammina insieme” agli uomini, partecipe dei travagli della storia, coltiviamo il sogno che la riscoperta della dignità inviolabile dei popoli e della funzione di servizio dell’autorità potranno aiutare anche la società civile a edificarsi nella giustizia e nella fraternità, generando un mondo più bello e più degno dell’uomo per le generazioni che verranno dopo di noi».


[1] Francesco, Discorso per la commemorazione del 50° dell’istituzione del sinodo dei vescovi (17.10.2015), in L’Osservatore Romano, 18.10.2015, p. 5.
[2] Cf. S. Dianich, La Chiesa, comunità di fratelli, San Paolo, Cinisello B. (MI) 2013.
[3] Cf. Gaudium et spes, nn. 3 e 92.
[4] Isacco della Stella, Sermone 51.
[5] Cf. A. Dulles, Modelli di Chiesa, Il Messaggero, Padova 2015, pp. 107-124.
[6] D. Bohnöffer, Resistenza e resa, a cura di A. Gallas, Paoline, Cinisello B. (MI) 1988, p. 463.
[7] A. Rosmini, Delle cinque piaghe della Santa Chiesa, a cura di C. Riva, Morcelliana, Brescia 1967, p. 129.
[8] Cf. A. Dulles, Modelli di Chiesa, pp. 119-123.
[9] Cf. H.W. Beyer, voci «Diakoneo, diákonia, diakonos», in G. Kittel (ed.), Grande Lessico del Nuovo Testamento, vol. 2, Paideia, Brescia 1966, coll. 951-984.
[10] Questo titolo fu da lui introdotto nel 587-588 da parte di Giovanni IV Nesteutés, patriarca di Costantinopoli, con l’appoggio dell’Imperatore Maurizio, e poi mantenuto nonostante le proteste papali.
[11] Questo titolo indica la superiorità ma, allo stesso tempo, l’umiltà del pontefice davanti a Dio. Sant’Agostino aveva anticipato l’attribuzione di questo titolo a sua madre, santa Monica, più di un secolo prima, quando la chiama «serva servorum tuorum», cioè, «serva dei tuoi servi», intendendo dire i servi di Dio (Confessiones, 9, 9, 22).

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