Lo strappo evangelico

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Due recenti vicende aprono diversi interrogativi sul nesso tra annuncio del vangelo e istituzione ecclesiale. Si tratta, in primo luogo, della recente – e certo comprensibile – esclusione di alcune tematiche, non del tutto secondarie, dal futuro dibattito sinodale italiano che, pur, si vorrebbe «dal basso» e «aperto alle domande del tempo». In secondo luogo, ci riferiamo ad una «domanda del tempo», ossia alle tensioni – politiche e sociali, ecclesiali e teologiche – emerse intorno al DDL Zan. A ben vedere in entrambe le vicende si possono trovare le tracce di una tensione tra appello al Vangelo e custodia dell’istituzione, delle sue rappresentazioni e prassi. Tale tensione apre, a sua volta, la questione delle possibilità effettive di riforma della Chiesa in senso evangelico che ha – nei suoi vari livelli e attuazioni – una dimensione istituzionale molto complessa. Il tema della riformabilità dell’istituzione, poi, non riguarda solo la Chiesa cattolica, ma è un problema umano, sociale e politico di molte istituzioni locali ed internazionali. Ivan Illich – in dialogo con le riflessioni di Paolo Prodi – si è confrontato con tale plesso di problemi adottando una prospettiva davvero originale che vale la pena di percorrere. Riprendiamo qui un articolo uscito sulla rivista Esodo 2/2021, 44-49.

 

samaritano

Lo strappo del cristianesimo è oggettivo, e tuttavia è rimasto latitante, nascosto[1]

La tensione tra esercizio della fede in libertà, dedizione e consapevolezza e lo sviluppo della dimensione istituzionale della comunità dei credenti è stata e rimane un dato permanente del cristianesimo[2]. Tale polarità ha conosciuto fasi, attuazioni e modelli profondamente differenti ma sembra essere difficilmente eliminabile dalla storia dell’esperienza cristiana. Questa permanenza di lungo periodo non serve a giustificare la rinuncia al lavorio – spirituale, intellettuale ed istituzionale – necessario per rendere possibile un’esperienza cristiana più autentica, ma aiuta a comprendere meglio la difficoltà di rimanere all’altezza dello strappo evangelico – ossia della rivelazione storica dell’amore eccessivo di Dio in Gesù e nello Spirito[3] – da parte delle Chiese, istituzioni e forme culturali cristiane[4].

Per rileggere in chiave sintetica tale questione può essere utile riprendere un testo di Ivan Illich intorno a una sua riflessione che lui identifica attraverso l’espressione corruptio optimi pessima[5]. Il pensatore di origine slava viene sempre più[6] riscoperto e valorizzato in quanto le sue considerazioni risultano singolarmente attuali per la vita sociale e – anche – per quella ecclesiale[7]. Suddividiamo il nostro percorso in alcuni semplici passaggi.

Una possibilità inedita ed i suoi pericoli

«Credo che l’incarnazione renda possibile una fioritura straordinaria e completamente nuova dell’amore e della conoscenza»[8]. Per Illich, che riprende con questo testo parola su questioni direttamente teologiche, la possibilità che il Dio biblico possa essere amato nella carne immette nella storia umana una possibilità letteralmente inaudita che, proprio per la sua singolarità, «fa esplodere alcuni assunti universali sulle condizioni alle quali è possibile amare»[9].

Infatti, prima di allora si era limitati dal popolo e dalla famiglia in cui si era nati, ma dopo l’incarnazione si apre la possibilità di poter scegliere chi amare anche fuori dal proprio mondo e «questo rappresenta una seria minaccia alle basi tradizionali dell’etica, che sono sempre in un ethnos, in quel noi storicamente dato che precede ogni pronuncia della parola io»[10]. Tale apertura comporta oltre alla crisi del sistema, per così dire, etnico la deriva costituita da un secondo problema. Si tratta di quella che viene chiamata istituzionalizzazione. «Nasce» cioè «la tentazione di voler controllare – fino a regolamentarlo – questo nuovo tipo di amore, di creare un’istituzione che lo garantisca, lo assicuri, lo protegga, criminalizzando il suo opposto»[11].

Insieme all’amore cristiano appare così una nuova modalità di potere quella di chi desidera organizzare – con il rischio di stravolgerla profondamente[12] – la vocazione cristiana. Questo nuova e acuta forma di potere ha assunto vari volti nella storia – spesso profondamente patriarcale – delle Chiese cristiane ed è transitata nella modernità[13], attraverso complessi processi, in molte istituzioni, assetti e logiche secolari[14].

L’annunciazione come possibilità

Per rendere conto di tale affermazione il punto di partenza si trova in una rilettura – da storico – del racconto evangelico dell’annunciazione in cui, nella tradizione cristiana, la ragazza ebrea di Nazareth acconsente al messaggio portato dall’angelo Gabriele, secondo cui il nome del Dio ineffabile sarebbe stato udibile ed incontrabile nella vicenda di un uomo: Gesù di Nazareth[15].

Si tratta di «una sorpresa» che «rimane una sorpresa» fondando «una straordinaria forma di conoscenza»[16] ossia il credere. Si tratta di un evento che certo trascende la storia, ma non l’ha lasciata indifferente. Si tratta infatti di un annuncio che raccoglie molte profezie dell’Israele biblico in cui «i profeti fecero la strabiliante affermazione che potevano uscire dal contesto familiare e tribale, in cui domani e ieri si ripetono in circolo, e parlare invece di un domani che sarebbe stato del tutto inatteso, messianico»[17].

Illich riprende qui le immagini della gravidanza, delle doglie, del nascere intese come vie per dire l’ingresso dell’inatteso, di una realtà non necessaria e non casuale ma del “compimento di una libertà pura senza condizioni»[18]. Infatti «il vangelo esige dai propri lettori il riconoscimento che quanto racconta non è necessità né caso ma una sovrabbondanza di dono liberamente elargita a coloro che liberamente la riceveranno»[19]. La singolarità della vicenda di Gesù – che si auto interpreta come esistenza donata in base alla sola motivazione dell’amore sino alla fine[20] – si mostra nel «fulcro del vangelo: la crocifissione»[21].

Gesù viene condannato dai romani e «dal suo stesso popolo, condotto al di fuori della città, giustiziato come persona che ha bestemmiato il dio della comunità»[22]. «Ma non è semplicemente giustiziato: è appeso ad una croce, un modo di morire carico di un forte significato nella tradizione mediterranea», si tratta infatti di un morire senza toccare terra, un modo con cui una persona viene esclusa dal proprio popolo e dal proprio suolo. Quando Gesù afferma che è pronto al dono della vita e a compiere la volontà del Padre[23] malgrado ne abbia paura da «un esempio di lealtà verso il suo popolo e in pari tempo disponibilità ad esserne escluso in nome di ciò che rappresenta»[24]. In tale quadro «la stessa volontà di uscire dall’abbraccio della comunità è evidente nella parabola del Samaritano»[25].

Il samaritano: una possibilità

Nella parabola del samaritano il focus non è, per Illich, l’organizzazione della carità ma «un modo di essere che ci avvicina a Dio».[26] «Gesù racconta la storia rispondendo alla domanda di un dottore della legge […] che chiede: “Chi è il mio prossimo?”». Il commento del testo[27] ci ricorda una storia che è familiare, ma «la familiarità maschera lo scandalo inaudito del racconto evangelico. Forse l’unico modo in cui oggi potremo recuperarlo sarebbe di immaginare il Samaritano come un palestinese che soccorre un israeliano ferito. Quello non solo trascura la sua preferenza etnica, che prevede di soccorrere il proprio simile, ma compie anche una sorta di tradimento, aiutando un nemico»[28]. Si tratta di un gesto libero che implica la radicale novità di varcare i confini della prossimità con un gesto di cura motivato non da un dovere o da una pregressa appartenenza reciproca. È la novità del cristianesimo e della sua etica:

«Gesù insegnava ai farisei che la relazione che era venuto ad annunciare loro, la più completamente umana, non è quella aspettata, richiesta, o dovuta; può essere solo quella di una libera creazione tra due persone, che non può verificarsi se non arriva qualcosa a me attraverso l’altro, da parte dell’altro, nella sua presenza corporea»[29].

Anche la riflessione contemporanea sulla parabola mostra come l’incontro con l’uomo mezzo morto – che a ben vedere è il punto di osservazione della parabola[30] – accade nel corso della vita e richiede un posizionamento personale che può attingere alle logiche della legge, della religione e dell’istituzione o può basarsi sullo scarto evangelico, su un certo modo di essere e di sentire del nostro cuore. Si tratta di quel provare compassione, farsi vicino e prendersi cura che crea una novità – uno spazio inedito – nelle storie personali e collettive: «Prossimo è colui che lascia che le sue viscere amorose si commuovano, prossimo è chi riconosce in un altro volto – sia esso o no bisognoso – la possibilità di far crescere il suo amore […] la grazia non è offerta soltanto al ferito, ma Dio offre un momento di grazia anche al samaritano».[31]

Scarto evangelico della compassione che implica un passaggio importante: «Noi esseri umani possiamo trovare la perfezione solo nell’instaurare un rapporto, e che quel rapporto può apparire arbitrario dal punto di vista di chiunque altro, perché io lo instauro in risposta a un appello e non a una categoria, in questo caso l’appello del giudeo picchiato e buttato nel fosso».[32] Illich continua affermando che «ci sono due implicazioni: la prima è che questo “dovere” non può essere ridotto a norma; ha un telos, mira a qualcuno [somebody], a un corpo [some body]; ma non secondo una regola»[33]. Questa nuova possibilità relazionale verso i poveri ha incontrato anch’essa una sua istituzionalizzazione: «Nei primi anni del cristianesimo era d’abitudine, in una casa cristiana, avere un materasso in più, un pezzetto di candela e un po’ di pane secco in caso il Signore Gesù avesse bussato alla porta nelle vesti di uno straniero senza un tetto sopra la testa, un comportamento del tutto estraneo alle varie culture dell’impero romano, per le quali si poteva accogliere un simile, ma non un vagabondo»[34].

Con la creazione di un’assistenza istituzionalizzata molti cristiani hanno perso «l’abitudine di riservare un letto e di avere un pezzo di pane pronto in ogni caso e le loro case [hanno] cessato di essere delle case cristiane».[35] Quando la carità verso i poveri diviene servizio e istituzione si può correre il rischio di renderla impersonale, massificante e di «togliere all’idea di prossimo quella libertà che la storia del samaritano implica».[36] Anche l’impegno per la cura dei poveri può così incorrere nel pericolo di una sorta di smarrimento istituzionale della «follia» propria dell’amore eccessivo che si trova al cuore del cristianesimo.[37]

La possibilità cristiana e il suo contrario

Nella riflessione attenta di Illich l’apparire della possibilità cristiana segna anche l’apparire, o meglio il precisarsi di una prospettiva che rinnova il pensiero e il sentimento di cosa sia il peccato e la coscienza. Infatti:

«La contrizione [del peccato] è motivata dal profondo dolore per la mia capacità di tradire la relazione che io, Samaritano ho stabilito, e al tempo stesso, da una profonda fiducia nel perdono e nella misericordia dell’altro; un perdono che non era concepito come annullamento del debito, ma come espressione dell’amore e della pazienza reciproca in cui le comunità cristiane erano chiamate a vivere».

È la capacità creativa e gratuita dell’amore cristiano che mostra il peccato come un tradimento di questa possibilità e tale considerazione permette ad Illich di intravedere una dimensione ulteriore – diciamo più interna – della deriva istituzionalizzante.

«Per noi contemporanei l’idea stessa di peccato è diventata minacciosa e oscura. La gente tende a concepire il peccato alla luce della sua “criminalizzazione”, operata dalla Chiesa durante il medioevo e nei secoli successivi […] è stata questa criminalizzazione a generare la moderna idea di coscienza come formazione interiore fatta di regole e di norme; proprio tale criminalizzazione rese possibili l’isolamento e l’angoscia che affliggono l’uomo moderno, e mise in ombra il fatto che per il nuovo testamento il peccato non è una ingiustizia morale, ma un voltarsi dall’altra parte […]».

Illich, in dialogo con molti pensatori e storici[38], mostra che la perdita della consapevolezza della novità cristiana con la correlativa perdita del senso cristiano del peccato ha prodotto quel fenomeno ormai noto come la giuridizzazione della coscienza con una invasione della logica giuridica nelle pieghe del cuore umano. Il percorso storico mostra come talora il vissuto delle Chiese abbia dimenticato come «la contrizione [sia] una dolce glorificazione del nuovo rapporto che il Samaritano rappresenta: un rapporto libero e perciò vulnerabile e fragile, ma sempre capace di guarire – e del resto, così si concepiva allora la natura: sempre in via di guarigione»[39].

La possibilità folle del cristianesimo

Per il nostro autore tale postura, per così dire, istituzionalizzante della libertà che la Chiesa ha assunto rispetto al fatto cristiano ha comportato, da un lato, la creazione di un modello che progressivamente è stato assunto – più o meno consapevolmente – dalle varie e differenti istituzioni secolari, dall’altro lato ha comportato un impoverimento non piccolo dell’annuncio cristiano. Infatti:

«La fede implica necessariamente un certo grado di “stoltezza” agli occhi del mondo. Il Salvatore di Israele è morto appeso ad una croce e sbeffeggiato da tutti quelli che si sentivano in diritto di rappresentare Israele. La prima rappresentazione che abbiamo della crocifissione […] raffigura un uomo dalla testa d’asino crocefisso e, sotto di lui, un altro uomo in atteggiamento di devota preghiera. “Anassameno adora il suo Dio”, dice l’iscrizione. Quell’immagine è la prima testimonianza storica del fatto che il Crucifixus, il corpo sulla croce, aveva un significato per i cristiani, ed è rimasto un mistero se sia stata dipinta con un intento canzonatorio del credo cristiano o se non sia invece l’affermazione di un cristiano nel suo concepirsi come stolto. In ogni caso testimonia di un modo di concepire il cristianesimo come una forma di follia”. Follia che ha assunto importanti forme teologico spirituali nella Chiesa d’occidente e soprattutto in quella d’oriente che però non hanno potuto frenare “il progressivo smarrimento del significato di follia che Cristo attribuisce a quella libertà di cui egli è modello e testimone»[40].

Questo ha comportato che «la Chiesa occidentale, nel suo zelante sforzo di istituzionalizzare questa libertà ha finito per trasformare la suprema follia, prima in dovere desiderabile, poi in dovere legiferato. È follia essere ospitali come lo è il Samaritano – pura follia a pensarci bene»[41].

Per concludere la rilettura del testo di Illich credo sia un aiuto importante a vedere alcune intelaiature di una struttura che vive la tensione tra accoglienza del mistero dell’amore di Dio – amore libero e liberante – e le istituzioni, strutture, forme culturali che in qualche modo si ispirano a tale nucleo del cristianesimo con molteplici distorsioni, corruzioni e talora alcuni recuperi. Rileggere la storia di tale tensione può infatti aiutare a recuperare nelle Scritture ed in molti sentieri – storici, umani, ecclesiali – rimasti abbozzati, sospesi o interrotti[42] le risorse, come vere e proprie memorie del futuro[43], per pensare e praticare un cristianesimo – almeno un poco – più connesso al suo, incandescente e sempre di nuovo sorprendente, nucleo evangelico.


[1] P. A. Sequeri, Deontologia del fondamento, Giappichelli, Torino 2020, 12.

[2] Cf. C. Theobald, Trasmettere un vangelo di libertà, EDB, Bologna 2010.

[3] Cf. E. Przywara, Che cosa è Dio? Eccesso e paradosso dell’amore di Dio: una teologia, a cura di F. Mandreoli – M. Zanardi, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2017.

[4] Cf. M. Prodi, Regno di Dio e mondo nel De Civitate Dei. Una parola attuale per il cambiamento d’epoca, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2021.

[5] Cf. I. Illich, Il pervertimento del cristianesimo. Conversazioni con David Cayley su vangelo, chiesa, modernità, a cura di F. Milana, Quodlibet, Macerata 2008.

[6] Cf. I. Illich, Celebrare la consapevolezza. Opere complete. Volume I, a cura di F. Milana, Neri Pozza, Vicenza 2020.

[7] Cf. F. Mandreoli, Ivan Illich: immaginare il ministero, in settimananews (online).

[8] I. Illich, I fiumi a nord del futuro. Testamento raccolto da David Cayley, Quodlibet, Macerata 2009, 31.

[9] Ivi, 31.

[10] Ivi, 31.

[11] Ivi, 31.

[12] Cf. J. Ellul, Anarchia e cristianesimo, Elèuthera, Milano 2021.

[13] Cf. S. Consigliere, Favole del reincanto. Molteplicità, immaginario, rivoluzione, derive approdi, Roma 2020. Ringrazio per la segnalazione Maria Inglese.

[14] Cf. P. Prodi, Il sacramento del potere, Il Mulino, Bologna 1992 e Id., Cristianesimo e potere, Il Mulino, Bologna 2012.

[15] Lc 1, 26-38.

[16] I. Illich, I fiumi a nord del futuro, 32.

[17] Ivi, 33.

[18] Ivi, 33.

[19] Ivi, 33.

[20] Cf. Gv 13, 1-17.

[21] Ivi, 33.

[22] Ivi, 34.

[23] Mc 14, 32-42.

[24] Ivi, 34.

[25] Ivi, 34.

[26] Cf. J.L. Narvaja, «Di chi io sono prossimo? Una meditazione sulla misericordia», in La Civiltà Cattolica 3991 (2016), 23-30.

[27] Lc 10, 25-37.

[28] I. Illich, I fiumi a nord del futuro, 35.

[29] Ivi, 36.

[30] Cf. Lc 10, 36: «“Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?” Quello rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”».

[31] Cf. Narvaja, «Di chi io sono prossimo? Una meditazione sulla misericordia», 28.

[32] Cf. I. Illich, I fiumi a nord del futuro, 38.

[33] I. Illich, I fiumi a nord del futuro, 36.

[34] Ivi, 39.

[35] Ivi, 39.

[36] Ivi, 41.

[37] Papa Francesco, Incontro con i partecipanti del convegno della diocesi di Roma, 9 maggio 2019.

[38] Cf. P. Prodi, Una storia della giustizia, Il Mulino, Bologna 2000 e M. Neri, Fuori di sé. La Chiesa nello spazio pubblico, EDB, Bologna 2020.

[39] I. Illich, I fiumi a nord del futuro, 38.

[40] I. Illich, I fiumi a nord del futuro, 43.

[41] I. Illich, I fiumi a nord del futuro, 43.

[42] Cf. S. Tanzarella – F. Mandreoli, La riforma della Chiesa ‘vexata’ quaestio, in Adista documenti, 1 maggio 2021.

[43] Cf. P. Jedlowski, Memorie del futuro. Un percorso tra sociologia e studi culturali, Carocci, Roma 2017. Ringrazio per la segnalazione Giorgio Marcello.

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Un commento

  1. Pietro 4 luglio 2021

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