Münster: per una storia degli abusi

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Il 13 giugno è stato presentato lo studio su “Potere e abusi sessuali nella Chiesa cattolica” per ciò che concerne la diocesi di Münster (Germania).

Prosegue così il lavoro di indagine nelle singole diocesi tedesche che ha preso le mosse dopo la pubblicazione del MHG-Studie a livello nazionale nel 2018. A differenza dei report riguardanti Colonia e Monaco, che avevano un taglio giuridico ed erano stati elaborati da studi legali, a Münster la diocesi ha affidato il compito di indagine negli archivi diocesani e vescovili al Dipartimento di Storia dell’Università locale.

Per la prima volta in Germania si ha dunque un approccio metodologico umanistico in materia di indagine degli abusi sessuali su minori nella Chiesa cattolica.

Si amplia così lo spettro di lettura e comprensione del fenomeno passando dalla constatazione di tipo giuridico all’analisi del quadro complessivo che fa da sfondo e palcoscenico agli abusi sessuali nella diocesi di Münster.

L’approccio storico si innesta sui guadagni raggiunti dai precedenti studi di taglio giuridico, da un lato, ampliando il focus sulle dinamiche, i comportamenti, le forme di comunicazione interna, l’auto-comprensione dei ruoli ecclesiali, che hanno costituito – e ancora costituiscono – il terreno fertile per atti di abuso sessuale da parte di preti e forme di occultamento da parte dei vescovi e di altri officiali di curia, dall’altro.

A livello quantitativo lo studio di Münster conferma i dati dei precedenti report di taglio giuridico: per il periodo preso in esame, dal 1945 al 2020, ci sono non meno di 610 vittime certe (i ricercatori stimano che il numero reale delle vittime sia tra le otto e dieci volte maggiore); 196 abusatori certi (183 preti, 12 religiosi non preti, 1 diacono permanente), che rappresentano tra il 4% e il 4,5% del totale dei chierici attivi nella diocesi di Münster durante il periodo preso in esame.

A livello qualitativo, invece, lo studio riguardante la diocesi di Münster segna un passo in avanti per ciò che concerne la chiarificazione delle dinamiche strutturali, dei modi di pensare, delle forme di gestione e comunicazione, dei contesti sociali di provenienza delle vittime, quali fattori determinanti per una presa in carico adeguata degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica come suo elemento sistemico.

Lo studio registra un “eclatante fallimento dei responsabili diocesani” per quanto riguarda il loro dovere di guida e di controllo in materia di violenze e abuso da parte di preti sui minori affidati alla loro cura pastorale.

Negli atti disponibili manca quasi completamente la traccia di empatia e cura nei confronti delle vittime, mentre si trova attestata una prassi di ampia comprensione e copertura dei chierici abusatori (spendendosi anche nei confronti degli ufficiali giudiziari locali al fine di evitare le pene previste per i crimini commessi, o per ammorbidirle laddove possibile).

Il principio che ha retto per decenni, ben oltre la soglia del 2000, l’atteggiamento della Chiesa cattolica di Münster è stato quello della salvaguardia dell’immagine della Chiesa a spese del riconoscimento delle vittime e della giustizia che doveva essere loro resa. I ricercatori hanno chiamato questa forma mentis perversa “ecclesiocentrismo”, dove la “protezione della Chiesa è diventato un fine in se stesso” da realizzare a ogni costo.

Data la particolare conformazione socio-culturale della Chiesa cattolica di Münster nel più ampio contesto sociale locale, con la tendenza a fare del cattolicesimo un’enclave separata e autosufficiente, si può parlare di un vero e proprio “dispositivo cattolico degli abusi”: dagli abusatori, che godevano di una sorta di status superiore legato al ministero, a coloro che avrebbero dovuto sorvegliare le dinamiche ecclesiali senza avere però percezione alcuna delle vittime e della loro esistenza, per arrivare infine alle vittime stesse che si trovavano come circondate da un sistema socio-religioso senza alternative possibili.

Si tratta di “un dispositivo fatto di elementi discorsivi, emotivi e organizzativi, che ha creato, stabilizzato e reso endemiche le strutture abituali per gli abusi sessuali nell’ambito della Chiesa cattolica locale”.

Solo a partire dal secondo decennio di questo secolo si può registrare un lento cambiamento nella diocesi per ciò che concerne la consapevolezza e le prassi in materia di abusi sessuali. Si tratta però di un cambiamento indotto, provocato dall’esterno, e non nato da una riflessione e presa di coscienza da parte dei responsabili diocesani.

Anche la diminuzione dei casi di abuso che i ricercatori hanno potuto registrare a partire dagli anni ’80 del XX secolo non trova le sue ragioni in elementi interni alla Chiesa cattolica, ma in fattori esterni di carattere prevalentemente socio-culturale.

Negli ultimi anni si è giunti a una istituzionalizzazione degli interventi e della prevenzione per ciò che concerne gli abusi sessuali nella diocesi di Münster, con una professionalizzazione del personale di riferimento.

Se questo deve essere valutato in maniera positiva, non basta però da sé a fare della Chiesa cattolica un luogo sicuro per i minori e gli adulti vulnerabili: infatti, se non si mette mano agli elementi strutturali e alle dinamiche di esercizio del potere che sono contestuali e fondamentali nel creare condizioni favorevoli ad atti di abuso e violenza, non sarà possibile onorare adeguatamente quella giustizia di cui sono in attesa le vittime: “il centralismo dell’istituzione e la sacralizzazione delle sue strutture di potere, una certa immagine sacra del prete, la mancanza di veracità e gli ostacoli messi a una comunicazione aperta, come una certa morale sessuale estranea alla realtà della vita, sono tutti aspetti che rendono possibile gli abusi e favoriscono le procedure del loro occultamento (…). Gli abusi sessuali e di potere nella Chiesa cattolica sono ben lungi dall’essere arrivati al loro termine”.

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