Né eroi, né burocrati. Semplicemente santi

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L’esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo Gaudete et exsultate rischia di passare sotto traccia. Come un bel pensiero che papa Francesco rivolge ai cristiani per meditare sulla loro condizione spirituale.

Personalmente credo che la riflessione sia più profonda e tocca una questione centrale nel pensiero del pontefice: quale forma il cristianesimo può assumere oggi per testimoniare con rinnovata autenticità, per essere credibile e comunicare a tutti?

Non stiamo infatti assistendo alla crisi del cristianesimo in sé, ma alla fine di una sua concreta realizzazione storica. Ripensare la Chiesa nel mondo contemporaneo allora ci chiede di riflettere e promuovere un nuovo modello di cristiano, un tipo rinnovato di comunità cristiane, un nuovo e convincente progetto di Chiesa (Alberich). In questa direzione, a mio avviso, può essere letta l’esortazione apostolica, dando un volto al cristiano che è chiamato a percorrere le strade di quest’epoca di profondi cambiamenti e di disorientamento esterno e interno alla Chiesa stessa. Un salto di paradigma, un modo diverso di vedersi, di autocomprendersi.

Oltre gli eroi: i santi della porta accanto

Già nella primissima parte dell’esortazione papa Francesco non lascia spazio a dubbi: parlare di santità oggi non equivale a riflettere su modelli eroici, ideali, perfetti, che si mostrano in gesti eclatanti e fuori dall’ordinario. La santità «è l’incontro della tua debolezza con la forza della grazia» (34).

Oggi abbiamo quanto mai bisogno non di soggetti che si distinguono dalla massa per le loro qualità, ma di un popolo di invisibili santi «della porta accanto» (7), che nell’ordinario della loro vita (dove essi si trovano, 14), attraverso piccoli gesti che li edificano interiormente (16), vivono da beati, con la capacità cioè di andare avanti malgrado le difficoltà, i fallimenti, le sfide quotidiane: «Gesù nel discorso della montagna dà la buona notizia, il Vangelo. Attenzione: non dà “una nuova Legge” ma dà una parola di Dio che risuona in modo nuovo e crea il regno dello Spirito Santo, non più della Legge.

Ecco allora il grido: “Ashrè”, parola che, in ebraico, significa soprattutto un invito ad andare avanti, promessa che è certa e precede quanti vivono una determinata situazione, parola che indica uno stile da assumere, parola che cambia l’ottica con la quale si guardano la vita, la realtà, gli altri» (E. Bianchi, commento al Vangelo del 1° novembre 2015).

Le Beatitudini costituiscono la base del terzo capitolo dell’esortazione apostolica.

Oltre i burocrati: dalla disciplina al discernimento, dall’efficienza all’efficacia

Più volte nel testo viene ribadito anche che la santità non è frutto di regole fissate per tutti (11), di formule o precetti in più (61). In un’epoca caratterizzata da cambiamenti continui, da complessità e incertezza, il profilo del cristiano contemporaneo non può basarsi su un sistema ampio e rigido di prescrizioni, regolamenti da rispettare per raggiungere la santità. Non tanto per una questione etica, ma di efficacia: perché non ci sono ricette che possono valere per tutti e ovunque. «Non si tratta di applicare ricette o ripetere il passato, poiché le medesime soluzioni non sono valide in tutte le circostanze e quello che era utile in un contesto può non esserlo in un altro» (173).

È un tema proprio di ogni contesto sociale e organizzativo. In situazioni complesse e ambigue, infatti, la tendenza è di trovare risposte nei regolamenti, aumentando il livello di burocratizzazione della realtà. Si cerca sicurezza nella routine, in ciò che è affidabile e prevedibile, mettendo al centro l’efficienza. L’obiettivo è la conservazione, il “si è sempre fatto così” come garanzia di correttezza, facendo, alla lunga, prevalere apatia e disinvestimento ideale ed emotivo in molti appartenenti. Non vi è una cura sui processi di apprendimento delle persone se non nel trasmettere una disciplina, basata su modelli ideal-tipici, narrazioni epiche tratte dalla storia dell’organizzazione che possano motivare e coinvolgere le persone.

Si tratta di passare dal criterio dell’efficienza al criterio dell’efficacia: dare la possibilità ad ogni soggetto di saper prendere le sue decisioni, non poggiando la sua fiducia sulla sola intelligenza umana (gnosticismo) o volontà personale (pelagianesimo) ma mettendosi in ascolto dell’azione dello Spirito, lasciandosi trasformare interiormente dalla sua dinamica storica e progressiva (50).

Diviene strategico, quindi, apprendere l’arte del discernimento, attitudine alla portata di tutti (170) e al giorno d’oggi ritenuta particolarmente necessaria (167).

Formare ogni cristiano al discernimento vuol dire aiutarlo a ritrovare il suo centro per essere efficace nel realizzare la sua missione nel mondo, trovando il coraggio di uscire dalle proprie zone di comfort, liberarsi da schemi, abitudini, certezze, saper rinunciare a ciò che non più conta realmente, mettendosi così in ascolto autentico della sua specifica chiamata alla santità (170).

L’approccio burocratico all’organizzazione privilegia, inoltre, le caratteristiche razionali, analitiche e strumentali riconducibili agli stereotipi occidentali della mascolinità e sottovaluta tutta una serie di capacità tradizionalmente considerate femminili, quali l’intuizione, la capacità di sopportazione e il sostegno morale. In realtà, le nuove forme organizzative adeguate agli ambienti turbolenti e in continuo cambiamento, richiedono maggiormente capacità manageriali riferibili all’archetipo femminile. (G. Morgan, Images. Le metafore dell’organizzazione, pp. 181 e 290).

Papa Francesco parla di “stili femminili di santità”, indispensabili per riflettere la santità di Dio in questo mondo (12). Che equivale a dire, passare a modelli organizzativi che sappiano valorizzare atteggiamenti più materni, di relazioni calde, ascolto, tenerezza, corresponsabilità.

La cura dei due volti: l’afflato relazionale dello Spirito di verità

Quanto abbiamo scritto sopra non vuol suggerire che il soggetto è libero da ogni principio o vincolo da rispettare. Il discernimento si fonda su principi e criteri precisi, ma non raccolti in un volume di precetti. Si tratta di tornare all’essenziale, come già espresso in Evangelii gaudium.

«Gesù ha spiegato con tutta semplicità che cos’è essere santi e lo ha fatto quando ci ha lasciato le Beatitudini» (63). Insieme alla regola di comportamento del giudizio finale, costituiscono «poche parole, semplici, ma pratiche e valide per tutti» (109). Semplicità, essenzialità, per superare quelle forme di sicurezza dottrinale o disciplinare che portano, attraverso un narcisismo autoritario (35), ad analizzare, classificare, controllare le altre persone ma perfino Dio.

Sempre sul piano organizzativo, questo richiede strutture più leggere e flessibili, in grado di liberare l’energia dell’annuncio dalla pesantezza delle strutture attuali (58 e 59), ridargli vigore e nuovo entusiasmo.

Occorre guardare a Gesù, colui che «apre una breccia» tra le mura di queste strutture non più connesse alla realtà, per permetterci di distinguere ciò che più conta: due volti, quello del Padre e quello del fratello (61). Riscoprire che la Verità non si riduce ad un insieme di principi che possiamo com-prendere, possedere, attraverso la nostra intelligenza, per ordinare le nostre vite alla perfezione. Ma che la Verità è Dio, è amore, per cui non un concetto che possiamo possedere, ma una realtà da vivere nella dimensione comunionale, nell’essere per l’altro.

Ecco allora che papa Francesco conclude l’esortazione aiutandoci a comprendere che, attraverso il discernimento, possiamo scorgere ciò che c’è di vero al mondo, sperimentando «una vera uscita da noi stessi verso il mistero di Dio, che ci aiuta a vivere la missione alla quale ci ha chiamato per il bene dei fratelli» (175).

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