Il papa “buono”, l’esercito e le procedure

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Don Giuseppe Praticò, cancelliere della diocesi di Reggio Calabria-Bova, risponde a Pierluigi Consorti che aveva scritto su Settimananews (19 settembre) a proposito del riconoscimento di papa Roncalli (san Giovanni XXIII: patrono efficace dell’esercito?) come patrono dell’esercito italiano. La critica di Consorti era nel merito, ma anche sul metodo, cioè sulle procedure canoniche. A questo risponde il testo che pubblichiamo. Convinti che anche le posizioni più distanti fra loro meritino di essere ascoltate con attenzione (cf. settimananews.it/lettere-interventi/la-difficile-riconciliazione-nella-chiesa/e) invitiamo tutti, noi compresi, a uno stile dialogico rispettoso e sereno. (L. Pr.)

Ho letto con attenzione l’articolo di Consorti su San Giovanni XXIII. Il dibattito che nei giorni scorsi si è scatenato sulla stampa è stato caratterizzato da una forte vena polemica che scade in toni aggressivi e irrispettosi. Dalle prime battute  ho sperato che questa volta si riuscisse a fare un discorso intellettualmente fondato. È triste, ma ho dovuto registrare che, alla carenza delle proprie argomentazioni, si sopperisce con un tono denigratorio e volutamente offensivo.

Si accusa l’ordinariato militare di peccare di ignoranza e di autoreferenzialità. Sono accuse serie. L’autore, per spiegare cosa sia questa autoreferenzialità, afferma che spesso si sono fatti degli accordi che escludono la Conferenza episcopale italiana, costretta solo a prenderne atto. Non riuscendo a trovare nessuna situazione concreta che si possa riferire ad un discorso così generico, sarebbe stato deontologicamente corretto e professionale che l’autore fosse stato più esplicito aiutando a capire quali situazioni pongono cosi spesso l’ordinariato militare protagonista di scelte tanto gravi.

È, poi, affermata l’illegittimità di competenza che, causa l’ignoranza congiunta dell’ordinariato militare e della Congregazione per il culto e la disciplina dei sacramenti, avrebbe reso inefficace l’atto prodotto. Peccato che questa tesi sia affermata con tanta sicumera ma non sia doverosamente argomentata.

Ordinario militare e chiesa particolare

A tal riguardo, vorrei veritate in caritate fare delle precisazioni e puntualizzazioni circa l’aspetto canonistico della vicenda, che l’autore ha disconosciuto, non tenuto presente e addirittura taciuto.

Anzitutto, è doveroso chiarire che la Chiesa ordinariato militare è a tutti gli effetti una Chiesa particolare «in quibus et ex quibus una et unica Ecclesia catholica existit» (can. 368) – principio teologico affermato dalla costituzione Lumen gentium 23,1 e dal decreto Chirstus dominus 11,1 –  nella quale è veramente presente e operante la Chiesa di Cristo una, santa, cattolica e apostolica.

È, pertanto, una Chiesa particolare, non una sezione della Chiesa universale; è una porzione del popolo di Dio non costituita da un territorio ma da persone, volti e anime, che forma l’immagine della Chiesa universale e ne ha la completezza in quanto ne possiede tutte le proprietà essenziali e tutti gli elementi costitutivi: la Parola, i sacramenti, i doni dello Spirito, il vescovo e la koinonia.

La Chiesa ordinariato militare è, quindi, manifestazione concreta di Chiesa particolare in una determinata porzione del popolo di Dio che sono i militari; è la sua attualizzazione, la sua incarnazione, la sua espressione autentica; è Chiesa di Cristo che, sotto la presidenza del vescovo ordinario militare, con la predicazione del Vangelo e la celebrazione dell’eucaristia, offre il simbolo di quella carità e unità del corpo mistico, senza la quale non può esserci salvezza (cf. LG 23, 1).

Mi domando: da questa salvezza devono essere esclusi i fedeli che hanno scelto di servire nelle forze armate? Può qualcuno, per scelta faziosa e ideologica, essere escluso da questo dono che Cristo ha offerto a tutti e per tutti sulla croce? Chi siamo noi, o chi è un’associazione come Pax Christi a decidere sulla salvezza delle anime escludendone alcuni o includendone altri? Non siamo e formiamo tutti l’unico popolo di Dio? Ne consegue che la diocesi ordinariato militare, affidata alle cure pastorali di un vescovo coadiuvato dal suo presbiterio non è una circoscrizione unicamente amministrativa della Chiesa universale di cui il vescovo sarebbe un “prefetto ecclesiastico”, ma essenzialmente e costitutivamente una comunità di fedeli, di cui il vescovo, coadiuvato dal suo presbiterio, è il “padre e pastore”. È in forza di tale paternità che l’ordinario militare ha deciso di dare, attraverso san Giovanni XXIII, ad una porzione del suo gregge un modello da imitare nelle virtù dell’esercizio del loro dovere perché questo sia sempre più e sempre meglio intriso di amore a Dio e al prossimo.

A chi compete?

Con specifico riferimento all’ordinario militare, è erroneo ed inesatto parlare di questi come “ordinario del luogo”, in quanto tale espressione presuppone la corrispondenza ad una circoscrizione territoriale, laddove non bisogna dimenticare che la territorialità non è mai l’elemento costitutivo ma l’elemento determinativo di una chiesa particolare (cf. can. 372), cosa che non è della Chiesa ordinariato militare, in quanto per essa elemento determinativo-costitutivo è proprio la portio Populi Dei che è resa presente dai militari in ragione del loro particolare stato di appartenenti alle forze armate, e in quanto tali hanno il diritto di godere dell’assistenza spirituale; diritto garantito dalla Costituzione italiana (art. 19) e riaffermato dagli accordi del Concordato Lateranense del 18 Febbraio 1984 (art. 11).

Inoltre, circa la questione sulla legittimità e la correttezza nella forma e nella procedura in ossequio ed ottemperanza alla normativa canonica prevista per giungere al decreto di elezione di San Giovanni XXIII a patrono dell’esercito italiano, va evidenziato come l’ordinario militare sia l’unico competente “senza se e senza ma” in virtù della sua potestà di giurisdizione. Infatti, l’ordinario militare a norma del can. 381 §1, avendo avuto l’affidamento dal parte del romano pontefice della cura pastorale di quella particolare porzione di popolo di Dio, in essa possiede di diritto tutta la potestà necessaria per l’adempimento del suo ministero: una potestà ordinaria, annessa ipso iure all’ufficio, propria, e immediata, che, nel suo esercizio, non ha bisogno dell’interposizione di altre autorità. Ecco, dunque, da dove gli viene questa autorità. Aggiungo che, in forza della costituzione apostolica Spirituali militum curae  del 21 aprile 1986 (cf. II §1, IV) la sua potestà è anche personale, così da esercitarsi verso i fedeli che fanno parte dell’ordinariato militare, anche se essi si trovano al di fuori dei confini nazionali.

Militari e filatelici

Sostieni SettimanaNews.itDunque, circa la proposta di papa Giovanni XXIII a patrono dell’esercito italiano, non ha forse il vescovo Marcianò agito con sollecitudine, premura pastorale e zelo, così come la sua consacrazione gli impone e l’obbligo del Codice gli rammenta «in exercendo munere pastoris, Episcopus dioecesanus sollicitum se praebeat erga omnes chiristifideles qui suae curae committuntur» (can. 383 §1), adoperandosi a promuovere con ogni mezzo la santità dei fedeli ai lui affidati, secondo la vocazione propria di ciascuno (cf. can. 387 e LG 15)?

L’esercito italiano non può essere, banalmente e semplicisticamente in modo riduttivo, assimilabile all’associazione dei filatelici (detto con tanto rispetto per gli appassionati collezionisti). A norma del diritto i militari, in quanto fedeli battezzati, sono soggetti alla giurisdizione dell’ordinariato militare oggi regolata dalla costituzione Spirituali militum curae che l’articolista ignora. Giova, a proposito, riportare il proemio della citata costituzione, laddove si afferma: «La Chiesa ha sempre voluto provvedere con lodevole sollecitudine e in modo proporzionato alle varie esigenze, alla cura spirituale dei militari. Essi, infatti, costituiscono un determinato ceto sociale, e, per le peculiari condizioni della loro vita, hanno bisogno di una concreta e specifica forma di assistenza pastorale, a cui la Chiesa nel corso dei tempi ha sempre provveduto… anche in ciò che riguarda l’edificazione e la promozione della pace in tutto il mondo».

In questa linea, dunque, coloro che prestano servizio militare debbono considerarsi «come ministri della sicurezza e della libertà dei popoli, infatti se adempiono il loro dovere rettamente, concorrono anch’essi veramente alla stabilità e alla pace» (GS 79): ecco il senso alto e profondo e il perché del decretare papa Giovanni XXIII patrono dell’esercito italiano, al di fuori di fuorvianti logiche ideologizzanti un errato conseguimento del bene supremo della pace tra i popoli, animate da inutili faziosità di parte.

I documenti di riferimento

Altra correzione e precisazione all’autore, che mi permetto in tutta umiltà di mettere in risalto, inerisce la procedura per giungere al decreto di conferma per l’elezione a patrono di san Giovanni XXIII da parte della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti.

Preliminarmente, è doveroso riferirsi in modo certo al documento da considerarsi tutt’ora in vigore che è titolato De Patronis constituendisi, emanato il 19 marzo 1973 (e non il 17 così come riportato) dall’allora sacra Congregazione per il culto divino.

Attinenti al caso in questione sono i numeri 7 e 8 che trattano rispettivamente dell’Approbatio Patroni e della Confirmatio Patroni, e che qui, per rigore, cito integralmente ai fini di una esatta comprensione al lettore di come la procedura sia stata rispettosamente osservata e dall’ordinariato militare e dal competente dicastero della curia romana:

n. 7 «Electio Patroni approbanda est competenti auctoritati ecclesiastica: id est: Episcopus pro dioecesi, Conferentia Episcoporum pro provincia ecclesiastica, regione, vel natione, Capitolum provinciale pro provincia preligiosa, Capitolum generale pro universa familia religiosa».

n. 8 «Electio et approbatio Patroni confirmandae sunt a Sacra Congregatione pro Cultu Divino. Ad confirmationem obtinendam, mittenda sunt ad eandem Congregationem documenta, qua sequuntur: a) petitio auctoritatis localis, sive ecclesiasticae sive, pro opportunitate et possibilitate civilis; b) acta, postulationes, subscriptiones, quae elecionem comitantur eamque manifestant necnon relatio, in qua rationes exponuntur ob quas electio facta est; c) testimonium de approbata electione ex parte competentis aucotoritatis ecclesiasticae».

Il decreto di conferma emanato dalla Congregazione con prot. n. 267/17 del 17 giugno 2017, nella sua formulazione e articolazione, rispetta tutti gli elementi previsti per la sua legittimità e per la sua validità. Ad un attento esame, non si riscontra, infatti, alcun errore formale o procedurale che possa renderlo passibile di inefficacia a norma del can. 38.

Esso presenta e riporta saltem summarie (can. 51) gli elementi a), b), c) richiesti dal numero 8: «Inde, Excellentissimus Dominus Sanctus Marcianò, Italiae Ordinarius Militaris, communia vota excipiens, electionem Sancti Ioannis XXIII, papae, in Patronum apud Deum membrorum Copiarum Italie, rite approbavit. Idem, vero, litteris die 10 mensis maii 2017 datis, enixe rogavit, ut electio et approbatio huismodi, iuxta Normas de Patronis constituendis, confirmarentur»; elementi che sono stati previamente raccolti in una fase istruttoria dall’ordinario militare, che ne ha determinato l’approvazione così come richiesto dal numero 7, e che sono stati accompagnati con formale petizione al prefetto della Congregazione con lettera del 10 maggio 2017.

La “traccia visibile dell’iter”, quindi, non è stata coperta – come, con poca eleganza di battuta e sarcastica ironia, ha osservato l’autore – da “segreto militare”, né questi può dire che «la sua stringatezza impedisce ogni riscontro alla corretta espletazione delle procedure disposte dalle norme vigenti»: probabilmente egli non è mai stato tecnico operatore di estensione di atti amministrativi, lacuna che non lo pone nella condizione di comprendere che un decreto (in senso generale detto) non è un poema.

È, peraltro, errato affermare e sostenere, senza alcun fondamento giuridico, che, trattandosi di esercito italiano, l’approvazione del patronato di san Giovanni XXIII spettasse di giurisdizione alla Conferenza episcopale italiana e non all’ordinario militare per l’Italia. Non basta, infatti, l’aggettivo qualificativo “italiano” a stabilire che la giurisdizione sia della CEI, poiché, in forza della sua particolare natura, l’ordinariato militare è una peculiare circoscrizione ecclesiastica assimilata alle diocesi in cui la potestà del vescovo non è territoriale ma personale. Pertanto, mons. Marcianò è l’autorità ecclesiastica che in base al n. 7 poteva e doveva eleggere e approvare san Giovanni XXIII come patrono dell’esercito italiano, presentando successivamente formale richiesta per il decreto confermativo della Congregazione romana come previsto dal n. 8, senza alcun altro ulteriore intervento della Conferenza episcopale nazionale.

Di conseguenza, la Congregazione per il culto e la disciplina dei sacramenti ha agito secundum legem e non contra legem senza aver «assecondato un iter illegittimo e ignorando il diritto canonico fino al punto di sottoscrivere un atto privo di forma certa, parzialmente immotivato e alla fine inefficace». Come nota storica e precedente, a riguardo, voglio portare a conoscenza che analoga situazione si è avuta in Spagna nel 1999 quando san Giovanni Bosco, su proposta dell’ordinario militare spagnolo dell’epoca, fu dichiarato patrono del corpo degli specialisti dell’esercito di quella nazione con atto della Congregazione per il culto e la disciplina dei sacramenti che ha riconosciuto la legittimità della petizione senza dover passare dall’approvazione della Conferenza episcopale locale.

Communio et salus

Mi siano permesse, infine, due considerazioni al fine di una comune crescita in unità di intenti al miglior servizio della crescita della fede del popolo di Dio e dell’unità nella Chiesa.

La prima: la comunione ecclesiale è uno dei principi fondamentali dell’ecclesiologia del Vaticano II, ed è nel suo spirito che sono e devono essere considerati i rapporti tra i vescovi. Non bisogna mai dimenticare e smarrirne il senso: ogni vescovo è legato all’altro in forza di questo vincolo ontologico-sacramentale. Chi agisce diversamente, per malsana ideologia e vuota rivalsa, non agisce nello spirito della collegialità episcopale e se ne pone al di sopra se non addirittura al di fuori.

La seconda: la conoscenza più approfondita della Chiesa, maturata a partire dal Concilio Vaticano II, ha fatto meglio comprendere il giusto posto del diritto canonico nella comunità cristiana, il suo valore e la sua funzione. Chi studia il diritto della Chiesa e nella Chiesa non può ignorare i fondamenti teologici generali del diritto canonico e quelli particolari dei singoli istituti giuridici; così come non può trascurare lo spirito che anima il diritto della Chiesa, a differenza degli altri diritti, e la sua funzione pastorale: la salus animarum, quae in Ecclesia suprema semper lex esse debet (cf. can. 1752).

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3 Commenti

  1. Giuseppe Gerlin 24 ottobre 2017
    • Giuseppe Praticò 25 ottobre 2017
  2. Andrea Grillo 2 ottobre 2017

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