Polonia: la politica della santità

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La morte di mons. Juliusz Paetz, con lo strascico di polemiche relativamente agli abusi degli ecclesiastici, l’attesa della beatificazione del card. Stefan Wyszynski con la domanda di riconoscere a Giovanni Paolo II il titolo di «dottore della Chiesa» e la lotta per i «principi non negoziabili» sono fra gli elementi rilevanti e discussi della pastorale polacca.

Chiedo perdono

Al lettore italiano il nome di J. Paetz non dice molto, ma il suo caso e l’accusa rivoltagli di abusi sessuali sui seminaristi, hanno scosso l’opinione pubblica ecclesiale del paese all’inizio del decennio. Paetz è morto il 15 novembre 2019. Le esequie sono state celebrate nella cattedrale di Poznan (sua ex sede episcopale), mentre i funerali e la sepoltura sono state fatti al suo paese natale. Voci critiche nei suoi confronti erano cominciate a girare nel 1999. Il personaggio non era dei minori.

Nato nel 1935, con l’elezione di Giovanni Paolo II si era trasferito a Roma come collaboratore del papa nella Camera pontificia. Nel 1982 torna come vescovo in Polonia, prima a Lomza e poi a Poznan.

Lo scandalo esplode su un giornale conservatore nel febbraio del 2002. Si racconta dello scontro con il rettore del seminario che gli chiude la porta in faccia per impedire i suoi incontri con i seminaristi. Le denunce sarebbero una dozzina.

L’anno prima una commissione pontificia aveva valutato le accuse e, nel 2002, Giovanni Paolo II accetta le sue dimissioni. Viene invitato a non presiedere celebrazioni pubbliche e, nel 2013, è incoraggiato dal segretario di stato, card. T. Bertone, e dal nunzio mons. C. Migliore, ad astenersi da ogni attività pastorale.

Lo scandalo investe il precedente nunzio apostolico, Josef Kowalszyk, accusato di aver ignorato le denunce, e lambisce lo stesso pontefice. Le esequie del vescovo e i suoi funerali in forma privata sono stati motivo di rinnovato interesse dei media.

Il suo successore, l’attuale presidente della conferenza episcopale, mons. Stanislaw Gadecki, nel suo messaggio per l’Avvento ne fa un cenno esplicito: «Come tutti sanno, il 15 novembre è morto l’arcivescovo metropolita Juliusz Paetz che era stato accusato di molestie sui chierici. I risultati dell’indagine condotta dalla Santa Sede non sono stati resi pubblici. L’arcivescovo era convinto della sua innocenza e non si pentì pubblicamente, anche se diede le dimissioni. In questa situazione – come vescovo dell’arcidiocesi di Poznan – mi sento in dovere di dire: mi dispiace. Chiedo scusa per il male commesso nell’arcidiocesi. Mi scuso dal profondo del cuore con le persone che si sentono ferite. Chiedo a tutti i fedeli di pregare per l’espiazione dei peccati e per la nostra comunità diocesana che, unita nello Spirito Santo, possa irradiare la testimonianza di vita cristiana e di zelo apostolico».

Lotta agli abusi

Il 10 ottobre, in un comunicato della conferenza episcopale, si rende noto l’aggiornamento del documento sulla formazione al sacerdozio e, a proposito della lotta agli abusi, si dice: «In relazione al motu proprioVos estis lux mundi” del santo padre Francesco che impone di istituire un sistema stabile e facilmente accessibile per le segnalazioni relative al reato dell’abuso sessuale dei minori, i vescovi hanno riscritto le Linee guida della conferenza episcopale polacca. Inoltre, hanno ricordato che gli indirizzi dei delegati per la protezione dei minori deputati a ricevere le segnalazioni, nominati in ciascuna diocesi e in tutti gli ordini religiosi maschili, devono essere visibili sul sito web della diocesi e della provincia religiosa per facilitare l’accessibilità di chiunque sia interessato.

La conferenza episcopale ha anche adottato lo statuto della Fondazione San Giuseppe che, attraverso iniziative e attività, è chiamata a sostenere le vittime di abusi sessuali nelle comunità ecclesiali».

Già nel 2012 la conferenza aveva emanato le indicazioni sul modo di occuparsi dei responsabili degli abusi. Nel 2013, il gesuita Adam Zak riceveva l’incarico di referente nazionale e di responsabile del Centro per la protezione dei minori. Nel 2014 venivano segnalati 19 casi di preti condannati per abusi e, nel 2017, è celebrata una giornata di preghiera per le vittime.

Nell’autunno del 2018 5 milioni di polacchi hanno visto il film Kler, durissima denuncia contro le perversioni sessuali di una parte del clero (Cf. F. Strazzari (a cura), “Kler”: diagnosi o provocazione?) e, fra giugno e luglio 2019, si sono registrati in una ventina di città scontri anche duri fra dimostranti pro e contro la libertà di manifestazione pubblica dell’omosessualità e del gender (Cf. L. Prezzi, Polonia: totalitarismo gender o nuovi pogrom?).

Santi e programmi

La beatificazione del card. Stefan Wyszynski si svolgerà a Varsavia domenica 7 giugno 2020 in piazza Pilsudski. Considerato il riferimento morale maggiore del periodo comunista, Wyszynski nasce nel 1901. Ordinato prete nel 1924, è attivo come cappellano nell’esercito clandestino polacco durante la seconda guerra mondiale.

Nominato vescovo a Lublino nel 1946 e poi a Varsavia, diventa cardinale nel 1953, in pieno regime comunista. «Dobbiamo considerarlo non solo come uno statista che, come Mosè, ha guidato la Chiesa e la società attraverso il Mar Rosso del comunismo, ma soprattutto come un autentico credente che si è messo a servizio delle persone». E il vice-postulatore, p. G. Bartoszewski, aggiunge: «Fu molto ammirato per la santità della sua morte (nel 1981) per le virtù eroiche e la qualità d’animo evidenti da chi viveva con lui».

Viene incarcerato nel 1953, ma nel 1956 è anche capace di firmare “compromessi” col regime per permettere alla Chiesa di vivere con una relativa autonomia e libertà.

Padre conciliare fra il 1962 e 1965, si fa garante, con mons. Karol Wojtyla, della lettera con cui i vescovi polacchi aprono ai vescovi tedeschi in vista di una riconciliazione dei popoli. Guarda con distacco all’Ostpolitik vaticana e pretende con mano ferma l’unità ecclesiale rispetto alle mire del regime di cui percepisce il possibile crollo alla vigilia della sua morte.

Senza di lui, ha detto Giovanni Paolo II, «nessun polacco avrebbe occupato la cattedra di san Pietro». Il riconoscimento del miracolo che ha aperto alla beatificazione è arrivato all’inizio di ottobre 2019.

Coscienza di un popolo

Nell’incontro plenario dei vescovi a Jasna Gora il 21 novembre emerge la richiesta di proclamare san Giovanni Paolo II dottore della Chiesa per l’importanza e la profondità del suo insegnamento. Alla richiesta si sono subito associati i vescovi cechi e moravi attraverso il card. D. Duka, arcivescovo di Praga.

Il cristianesimo polacco ha un carattere prevalentemente cristocentrico e mariano, poco suggestionato dai santi comuni all’intera Chiesa e invece legato ai propri santi. In particolare, a partire dalle vicende del ’900. «I santi polacchi non appartengono solamente all’eredità spirituale del passato, ma hanno la forza di simboli sempre vivi, perché adattano il proprio contenuto alle esigenze del momento presente» (Urszula Borkowska).

Il culto dei santi è un elemento costante e sostanziale dell’ethos polacco. «I santi sostengono lo sforzo – tipicamente polacco – di sopravvivere nonostante ogni avversità, ogni sconfitta… I santi sono un elemento dinamico della coscienza e della tradizione nazionale» (Ludmila Grygiel).

La cultura polacca ha ripreso molti valori dei suoi santi, soprattutto la sovranità e l’indipendenza dal potere politico. In seguito, la sovranità della cultura ha garantito la sovranità e la libertà della nazione.

È impressa nella memoria collettiva la volontà nazista di cancellare la memoria dei santi, quando, durante la seconda guerra mondiale, le truppe tedesche saccheggiarono il tesoro della cattedrale di Gniezno, dispersero le reliquie di sant’Adalberto e, al loro posto, nella cattedrale, fu appeso il ritratto di Hitler.

C’è quindi da attendersi un enorme investimento ecclesiale su Wyszynski come emblema del passato e sulla proclamazione di dottore della Chiesa di Giovanni Paolo II come destino e compito per l’intera Chiesa e per la cristianità polacca.

Troppo vicina al potere?

La volontà ecclesiale di contare nel contesto della nazione e dello stato si lega alla lunga memoria storica. Ma la sua declinazione come sostegno all’attuale governo di centro-destra, egemonizzato dal partito di Kaczynski (PiS), non raccoglie l’unanimità dei consensi.

Il duro scontro con l’opposizione, con la magistratura, con le minoranze e con l’Unione Europea non ha indebolito il consenso, ma non è esente da critiche. Il defunto mons. Pieronek ha scritto: «La condizione della legislazione e della diplomazia polacca è disastrosa come dimostra, da una parte, la legge malfatta sull’Istituto della memoria nazionale… e, dall’altra, le mosse della diplomazia che hanno seminato la discordia tra la Polonia e numerosi paesi» (Cf. T. Pieronek, La Polonia fuori dall’Unione Europea?). Le controverse leggi che riformano l’intero sistema giudiziario, affidando la prevalenza di indirizzo al potere politico, indicano che «questo paese cammina verso la dittatura di fatto» (Cf. T. Pieronek, Polonia, altro segnale preoccupante).

Parole forse eccessivamente severe che, tuttavia, incrociano le affermazioni del gesuita Jacek Prusak, membro della redazione di Tygodnik Powszechny: «In questi ultimi anni è stato propagato un discorso pericoloso, sia dai responsabili ecclesiali sia dal potere attuale. E cioè che un buon cattolico non può votare che il PiS. L’opposizione, da parte sua, è catalogata come quella che promuove la secolarizzazione e la lotta contro la Chiesa. L’appropriazione dell’identità cattolica da parte di un’opzione politica è molto grave per l’unità nazionale. Il discrimine politico diventa il discrimine religioso» (Le Monde, 1° settembre 2019).

«Quando, vent’anni fa, parlavo di pericoli che minacciano la nostra democrazia – annota Lech Walesa sul settimanale de La Croix del 10 novembre) – nessuno mi ascoltava. Ancora oggi alcuni fanno fatica a crederci. Ma, nel frattempo i populismi si sviluppano».

Principi non negoziabili

Nella lettera indirizzata ai fedeli prima delle recenti elezioni (13 ottobre) il presidente della conferenza, mons. S. Gadecki, illustra così la posizione dei vescovi: «Sono consapevole del fatto che, per quanto riguarda l’ordine delle questioni mondane, potrebbero esserci anche legittime differenze di opinioni tra i cattolici. Il pluralismo, tuttavia, non può significare relativismo morale. I principi etici fondamentali – a causa della loro natura e del loro ruolo nella vita sociale – non possono essere oggetto di negoziati». Sui temi dell’aborto, del matrimonio, dell’educazione dei figli, della fertilità, i cristiani «non possono decidere per la scelta di un candidato che esprima opinioni che sollevano questioni morali rischiose da un punto di vista politico».

Osservazioni che valgono anche per l’Unione Europea. Così si è espresso in occasione dell’80° anniversario dell’inizio della guerra mondiale (1° settembre 1939). Non basta la compiacenza delle élites europee per la pace. Gli aggressori prima e dopo la guerra erano i leaders delle ideologie abortiste e eutanasiche. «Sfortunatamente non è l’esperienza contemporanea né le premesse ideologiche di oggi che possono garantire una vita senza guerra, bensì una forte dimensione morale su valori veri e immutabili». Appunto, i valori non negoziabili.

Europa amorfa

L’unanime consenso dei vescovi e il vasto consenso popolare si comprendono anche per la percezione polacca di essere spinti verso valori e prassi che non appartengono alla sua storia, proprio da un’Europa che «ha cessato di interrogarsi sul suo destino, quel destino che trascende l’attualità degli eventi» (Stanislaw Grygiel).

«Ciò che l’Europa centro-orientale vuole – ha detto il nunzio a Mosca, mons. C. Migliore – è di potersi sentire un membro a pari dignità nel club europeo, senza doversi adeguare a un nuovo livellamento culturale».

E mons. Claudio Guggerotti, nunzio in Ucraina, si interroga sul modo di fare pressione da parte dell’Occidente e dell’Europa su temi e comportamenti che all’Est si avvertono come imposizioni. «È evidente che l’atteggiamento servile nell’acquisire i valori su cui si basa la convivenza della società non può costituire un segno di progresso, anche se molti dei contenuti possono essere oggettivamente validi: l’imporli fa perdere ad essi il sapore della libera conquista culturale». «È ovvio che vi sono tradizioni che vanno modificate e forse, in parte, abolite. Ma è anche chiaro che è necessario facilitare questo processo attraverso la promozione di un vero dibattito, di un confronto rispettoso di tutti e alieno da ogni violenza, aperto ad una verità che ci precede sempre e che non possediamo interamente ed esclusivamente. Ma, alla fine, sarà sempre la società a stabilire i principi che ritiene di darsi e i modi per applicarli».

La santa alleanza Mosca-Varsavia

La resistenza ecclesiale e del potere polacco ad alcuni valori dell’Unione Europea ha una singolare sintonia con la posizione della Chiesa ortodossa russa. Basta rileggersi il messaggio congiunto alle nazioni di Polonia e di Russia, firmato nel 2012 dall’allora presidente della Conferenza episcopale polacca, mons. Jozef Michalik, e dal patriarca Cirillo.

Fermo restando che il compito essenziale della Chiesa è l’annuncio del Vangelo e dando per assodata l’autonomia dell’autorità politica e il principio della tolleranza, è necessario riconoscere la nuova sfida: «Un malinteso secolarismo assume una forma di fondamentalismo, che in realtà è una forma di ateismo». «I principi morali fondamentali basati sui dieci comandamenti sono messi in questione sotto il pretesto di affermare il principio del secolarismo o la protezione della libertà. Siamo di fronte alla promozione dell’aborto, dell’eutanasia e delle relazioni omosessuali, insistentemente ostentate come una forma di matrimonio; è favorito uno stile di vita consumistico, i valori tradizionali sono rigettati, mentre i simboli religiosi sono rimossi dallo spazio pubblico».

In occasione della visita del card. Kazimierz Nycz, arcivescovo di Varsavia, a Mosca il 12 settembre 2019, il patriarca Cirillo ha detto: «Abbiamo a cuore queste relazioni perché la Chiesa cattolica in Polonia e la Chiesa ortodossa russa sono le forze che si impegnano di consolidare i valori cristiani nella vita dei loro popoli». Esse si riconoscono una responsabilità speciale per opporsi al secolarismo, preservare la fede e rendere testimonianza alle nuove generazioni.

«Un’Europa forte – annota il metropolita Hilarion, presidente del dipartimento delle relazioni estere del patriarcato di Mosca – è un’Europa non solo ricca economicamente e indipendente politicamente, ma che ha anche un legame profondo con la sua tradizione cristiana in campo morale» (Avvenire, 15 settembre 2019).

Forse non è occasionale che, in molte di queste posizioni, non abbia spazio di citazione e di riferimento l’insegnamento di papa Francesco.

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Un commento

  1. Angela 5 dicembre 2019

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