Polonia: memoria e conversione

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Il nome dell’emerito mons. Marian Golebiewski, attivo prima a Koszalin-Kolobrzeg e poi a Wroclaw, si è aggiunto (21 agosto) alla penosa sequela dei vescovi polacchi censurati da Roma per negligenza nella gestione delle denunce di abusi da parte di alcuni preti delle diocesi. I precedenti sono: J. Paetz (2002), H. Gulbinowicz (2020), S.L. Glódz, E. Janak, T. Rakoczy, J. Tirawa, Z. Kiernikowski, S. Regmunt, S. Napierala (2021).

Il comprensibile rumore mediale su fatti che emergono a ripetizione oscura il coraggio e la decisione con cui sono affrontati dalle istanze ecclesiali e le tendenze recenti che segnano il percorso di quella Chiesa. Si avvertono, da un lato, i primi avvertimenti della distanza critica verso il sovranismo dell’attuale maggioranza politica di destra e, dall’altro, una celebrazione meno vistosa e più riflessa dell’ormai imminente (12 settembre) beatificazione del card. Stefan Wyszynski (1901-1981).

Non rifiutare l’immigrato

Si è già notata la protesta precisa e rispettosa dell’ufficio per la protezione dei minori della Conferenza episcopale e della Fondazione san Giuseppe, che ne costituisce il braccio operativo, rispetto alla presentazione del primo rapporto della commissione statale contro la pedofilia. Nella comunicazione pubblica e internazionale è passata la notizia che il 30% degli abusi sessuali era in capo del clero in ragione dei casi finora acclarati, per gran parte ad opera dei tribunali ecclesiastici, rovesciando sul presbiterio polacco un onda di disonore sproporzionata. Si sa che, a livello internazionale, gli abusi interessano circa l’1-2% del corpo ecclesiastico (cf. settimananews.it/chiesa/polonia-preti-abusi-beatificazioni/).

A breve distanza, si registrano due screzi fra governo ed episcopato.

Il primo è l’aumento della base imponibile per l’assicurazione sanitaria del clero, prima equiparato ai piccoli artigiani. Una lievitazione del 7-8% che il governo ha giustificato in ragione di politiche sociali che riguardano alcune classi sociali a favore dei ceti meno abbienti. In una lettera al premier il presidente della Conferenza episcopale, mons. Stanislaw Gadecki, ha denunciato la violazione del Concordato che lega ogni disposizione in merito al dialogo fra le istituzioni, suggerendo di prendere quei soldi dal fondo che lo stato designa alla Chiesa per alcune delle sue attività.

motivo di dissenso

Il secondo motivo di dissenso è più significativo: una vivace protesta contro la chiusura delle frontiere ai profughi afghani e siriani dopo la vittoria dei talebani a Kabul.

Se la questione delle tasse può suonare corporativa, non così la vicenda dell’immigrazione, in particolare islamica, il cui rifiuto ha caratterizzato l’ideologia della difesa dei confini orientali da parte del partito di governo (PiS), come la sua opposizione alla ridistribuzione degli immigrati promossa dalla Commissione dell’Unione Europea.

La Commissione episcopale per le migrazioni si è espressa in una lunga dichiarazione. Citando l’insegnamento di Francesco e di papa Giovanni Paolo II, il testo sottolinea: «Una risposta umana ed evangelica ai problemi dei migranti e dei rifugiati non può essere limitata o sospesa da alcuna giurisdizione. Anche la situazione più complessa, non invalida questo imperativo. L’ospitalità allo sconosciuto è una delle determinanti della nostra fede; per il cattolicesimo, non c’è solo la fraternità fra i battezzati, ma anche l’ospitalità mostrata allo straniero, indipendentemente dalla sua religione». «Naturalmente i governi hanno diritto a reagire contro l’immigrazione illegale, nel rispetto dei diritti umani. Allo stesso tempo, va tenuta presente la differenza fondamentale tra i rifugiati – che fuggono dal paese per motivi politici, religiosi, etnici o di altro tipo di persecuzione o guerra – e quelli che cercano semplicemente l’ingresso illegale nel paese».

«Di recente – prosegue la dichiarazione – abbiamo a che fare con un fenomeno inquietante al nostro confine orientale dove persone di diversi paesi stanno cercando di raggiungere la Polonia attraverso la Bielorussia. Queste sono – spesso stimolate politicamente – le conseguenze delle guerre in Afghanistan, Iraq e Siria e non solo, la cui conseguenza è l’esodo di molte persone che temono per la propria sicurezza».

«La comprensibile preoccupazione per i propri cittadini – si legge ancora nella dichiarazione – non può essere una premessa sufficiente per giustificare la chiusura delle frontiere a chi cerca rifugio». «I drammi umani non possono diventare uno strumento per suscitare umori xenofobi, soprattutto quelli suscitati in nome di un patriottismo falsamente inteso che degrada le persone provenienti da una altra regione del mondo, cultura o religione. È disumano e non cristiano aver paura dell’altro».

«I nostri antenati – conclude la dichiarazione – furono emigranti e rifugiati durante le spartizioni, durante la seconda guerra mondiale e durante il comunismo. Hanno sperimentato l’aiuto di persone e altre culture e religioni. Negare a chi arriva i diritti fondamentali significa allontanarsi dalla nostra stessa storia e negare la nostra eredità cristiana».

Nel comunicato finale dell’assemblea della Conferenza episcopale (25 agosto) i vescovi scrivono: «Ci aspettiamo che il governo statale e quelli locali sviluppino meccanismi di assistenza ai rifugiati adeguati alla situazione. Disposizioni che potrebbero essere sostenute coinvolgendo la Chiesa di Polonia».

Il deposito prezioso della santità

Quando, prima della pandemia, si programmò la beatificazione del card. Stefan Wyszynski (insieme alla suora E. Czacka) per il 7 giugno 2020, si poteva immaginare che il trionfo del testimone più prestigioso del ’900 polacco potesse vidimare un’alleanza con il potere politico e che il consenso al riconoscimento di dottore della Chiesa per Giovanni Paolo II proiettasse al centro del cattolicesimo il paese.

In pochi mesi, un’aurea indebita ha lasciato spazio a una celebrazione, certo imponente, ma «modesta e dignitosa», come ha suggerito Francesco.

Il 12 settembre il popolo polacco ritroverà la grandezza del cardinale del millennio, la sua difficile giovinezza, il suo ruolo di cappellano dell’esercito clandestino nella guerra, la sua intelligente ed efficace resistenza al regime comunista, nonostante i tre anni di carcere. Ma – come scrivono i vescovi nella lettera pastorale per l’occasione – la sua priorità «era prendersi cura e lottare per l’uomo, per la sua libertà, perché l’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, potesse risplendere del pieno splendore della libertà, della verità, dell’amore e del perdono».

Essi sottolineano il legame con sr. Elisabetta Czacka. Divenuta cieca a 22 anni, ella fondò il primo istituto per ciechi, per ridare piena dignità umana e cristiana alle persone colpite dal male. L’istituzione (Laski) fu il ritiro segreto del cardinale che lì ritrovava la narrazione vissuta del Vangelo, la consolazione delle sue fatiche e la «spiritualità di questo luogo benedetto da Dio», come disse in occasione dei funerali della suora nel 1961. Per strade diverse e grazie al Vangelo «ognuno di loro ha potuto intraprendere i compiti che lo attendevano, aprire nuove strade e aprire nuove prospettive di azione nella Chiesa di Polonia».

Memoria preziosa per una Chiesa «oggi segnata dalla crisi e attraversata dal peccato degli uomini, ma convinta che l’unica via sia il nostro stare con Cristo, l’unica certezza della nostra fede che ci permette di andare avanti nonostante le tempeste e le tenebre… Davanti alle liti e ai litigi che segnano ancora la nostra vita sociale, sfociati purtroppo in una lotta spesso aperta gli uni contro gli altri, dobbiamo – come insegna papa Francesco – sottolineare che l’amore e non l’odio è alla base di ogni vita sociale sana e aperta» (mons. Wojciech Polak, primate di Polonia).

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