Polonia: trasparenza e disincanto

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Un gesto di coraggio e trasparenza e un contesto di segnali critici e negativi. Nelle cronache recenti della Chiesa polacca l’atto coraggioso è quello di una ricerca statistica pubblicata il 13 gennaio 2021 sui 382 preti che, dal 1950 al 2018, sono stati denunciati per abusi sessuali. Il contesto critico è la crescente disaffezione dalla Chiesa che i sondaggi raccontano, il cui segnale più evidente sono state le manifestazioni delle donne che, nei mesi scorsi, hanno manifestato contro l’indurimento della legge sull’aborto (cf. SettimanaNews: Le donne si ribellano alla Chiesa).

L’identità dei predatori

La ricerca ha scavato sui dati resi pubblici il 14 marzo 2019 ed è stata affidata all’Istituto di statistica pallottino (ISKK).

Gli autori degli abusi vanno dai 23 ai 77 anni, ma per il 47% si collocano fra i 30 e i 40 anni. Nell’arco dei decenni la loro età aumenta. Se, nel 1975, la media era di 35 anni, nel 2018 è di 42. Ogni predatore ha una media di 1,85 vittime per i maschi e 1,75 per le donne. Anche le denunce vedono una crescita significativa. Se, nel 1990, erano solo 4, nel triennio precedente la pubblicazione erano 80.

Le vittime delle aggressioni sono state per il 56% maschi e per il 38% femmine. Ma anche qui le dinamiche evolvono. Fra il 1950 e il 1980 non vi erano denunce relative alle ragazze, nel decennio successivo (’80 – ’90) salivano al 23%, in quello dopo al 26% e, nel primo decennio del secolo, erano il 48%, per crescere negli anni successivi al 50%. Cambia anche l’età media delle vittime. Fra l’81 e il ’90, il 57% aveva meno di 15 anni, nel decennio successivo erano il 45% e in quelli dopo, rispettivamente il 42% e il 36%. In parallelo le vittime di età superiore ai 15 anni erano il 10% dal 1950 al 1980, per diventare nei decenni successivi il 34%, il 40%, il 53% e il 61%.

Il tempo fra l’abuso e la denuncia è in media di tre anni, anche se molte segnalazioni recenti riguardano delitti assai più vecchi. Così fra il 2010 e il 2015 il 60% delle denunce riguardava gli anni dal 1950 al 1980. In questo caso fra abuso e denuncia vi sono in media quasi 8 anni. Un lasso di tempo che è più elevato per quanto riguarda i ragazzi (10 anni) rispetto alle ragazze (5).

La durata media dell’abuso è di circa un anno con una differenza fra diocesani e religiosi a favore dei primi. Anche in questo caso vi è un’evoluzione. Gli abusi dei primi decenni si prolungavano per 4-5 anni, molto meno quelli più recenti.

Il coordinatore della Commissione episcopale per la protezione dei bambini, p. Adam Zak, così commenta: «L’analisi fornita è un contributo per una comprensione più approfondita delle problematiche degli abusi sessuali sui minori nella Chiesa polacca, necessaria per una corretta diagnosi. Più ne sappiamo, più chiaramente si vede che la causa della maggior parte di questi atti non è un disturbo delle preferenze sessuali (pedofilia) degli autori, ma la loro grande immaturità psico-sessuale. Occorre intraprendere e realizzare ulteriori studi in questo ambito affinché la risposta della Chiesa, soprattutto in termini di prevenzione, possa essere realistica e adeguata».

La Conferenza episcopale ha già deciso di aggiornare la ricerca fino alla fine del 2020.

La credibilità perduta

L’opinione pubblica sulla Chiesa e il clima complessivo sembra oscurarsi. «Per la Chiesa è una notte buia, un momento difficile di crisi» ha detto Zbigniew Nosowski, direttore di Wiez. È apparso sul web un «contatore dell’apostasia» che, da Natale 2020, a metà gennaio successivo è passato da 1.000 a 1.500. Secondo la sua ideatrice, Agata Diduszko-Zyglewska «l’idea era di recensire la gente interessata per mostrare che non era da sola. E sono informazioni che la Chiesa non comunica in maniera credibile». Così il modello per lo sbattezzo è stato scaricato da 25.000 persone in meno di un mese.

Le apostasie erano 1.057 fra il 2006 e il 2009, mentre nel 2010 sono state 459. Un fenomeno statisticamente marginale.

In 30 anni la dichiarazione di ateismo è passata da 1,3 a 3%. «Le persone che se ne vanno – commenta il responsabile dell’ISKK, W. Sadłon – nella maggioranza dei casi non partecipa da tempo alla vita della Chiesa. È la manifestazione del loro giudizio negativo rispetto alla presenza della Chiesa nello spazio pubblico».

Un parroco di Varsavia, p. W. Kulisz, ha raccontato: «Da fine ottobre ho registrato una trentina di apostasie: essenzialmente giovani donne fra i 25 e i 45 anni, con soli 3 uomini. Si presentano con un certificato di battesimo e un documento di identità ed esprimono la volontà di uscire dalla Chiesa. La maggior parte con un modulo prestampato; più raramente con una dichiarazione scritta spontanea. In genere dichiarano di non aver più la fede e di non avere niente in comune con la Chiesa da tempo. Ci accusano per gli abusi sessuali sui minori, per l’atteggiamento verso le donne, per l’ingerenza nella vita politica, il catechismo a scuola, la ricchezza ecc. Lo vivo dolorosamente, soprattutto all’inizio. Rimango sempre shoccato e considero la decisione prematura, sull’onda emozionale. Ricordo a tutti che possono tornare. In sei anni ne sono tornati due» (La Croix, 17 gennaio).

Un altro segnale è lo sfratto al settimanale Tygodnik Powszechny dagli ambienti di proprietà della curia di Cracovia. Fondato dal card. Sapieha nel 1945, è stata la palestra per le migliori intelligenze polacche: da Czeslaw Milosz a Zbigniew Herbert a Wislawa Szymborska. Fra i suoi editorialisti c’era Karol Wojtyla. Percepito come eccessivamente liberale l’arcivescovo M. Jedraszewski ha chiesto le scuse alla redazione per un commento critico alle sue affermazioni che indicavano il movimento omosessuale come la nuova peste.

Una delle collaboratrici del giornale, Anna Dziewit-Meller, ha annunciato di aver chiesto l’apostasia: «In Polonia la religione si è venduta alla politica». «Negli ultimi 20 anni – ha commentato lo storico Dariusz Stola – abbiamo assistito ad un’alleanza fra Chiesa e destra populista e questo ha allontanato i polacchi. La Chiesa pagherà questa discutibile alleanza».

Secondo l’istituto di ricerca CBOS, in marzo 2020 i giudizi favorevoli nella popolazione sulla Chiesa erano scesi da 57 a 41%. Un crollo che non si registrava dal 1993.

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