Post-scriptum da Cracovia

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Il 2 agosto esce dalla Sala stampa vaticana il resoconto del dialogo fra il papa e i vescovi polacchi in occasione della Giornata mondiale della gioventù (GMG; 27-31 luglio). L’incontro, avvenuto il 27 luglio, era a porte chiuse, secondo un modello domanda-risposte che papa Francesco ha utilizzato anche in altre occasioni. L’attesa era legata, in particolare, al tema delle immigrazioni. Negli incontri pubblici aveva sollecitato l’accoglienza pur conoscendo la formale resistenza della maggioranza di governo e l’ampia condivisione di questo orientamento anche nel clero e nelle comunità cristiane. La percezione di una certa distanza dal papa anche nell’episcopato si era rafforzata per la strana assenza del riferimento al suo magistero nella lettera dei vescovi alle comunità in preparazione della GMG. All’incontro erano presenti 120 vescovi su 160 (contando anche i 57 emeriti). Le difficoltà linguistiche (il papa parlava in italiano e solo un terzo dei vescovi lo conosce bene) hanno appannato la comunicazione e l’immediata sintonia.

Più che sui profughi gli accenni più coraggiosi sono registrabili in alcuni temi pastorali e di giudizio storico-civile. Nel contesto di denuncia di una “spiritualizzazione gnostica” (soggettivismo spirituale) e di una deriva pelagiana (più volontà che grazia, più istituzione che mistero) è risuonato l’insistito invito alla “vicinanza” al popolo di Dio, ma in particolare ai giovani e ai preti. Senza un contatto diretto e frequente il sacerdote «si sente orfano, senza padre, senza la vicinanza, e incomincia ad andare giù … Se noi togliamo ai sacerdoti la paternità, non possiamo chiedere a loro che siano padri. E così il senso della paternità di Dio si allontana». La questione del clero e del rapporto vescovi-presbiteri non è di rito. L’emorragia di richieste di riduzione allo stato laicale preoccupa molti.

Un secondo elemento pastorale riguarda la parrocchia. «Vorrei sottolineare una cosa: la parrocchia è sempre valida! La parrocchia deve rimanere: è una struttura che non dobbiamo buttare dalla finestra. La parrocchia è proprio la casa del popolo di Dio, quella in cui vive. Il problema è come imposto la parrocchia!». «Qualcuno dice che la parrocchia non va più, perché adesso è l’ora dei movimenti. Questo non è vero! I movimenti aiutano, ma i movimenti non devono essere un’alternativa alla parrocchia: devono aiutare nella parrocchia, portare avanti la parrocchia». «Quello che dico potrà sembrare forse un’eresia, ma è come la vivo io: credo che sia una cosa analoga alla struttura episcopale, è differente ma analoga. La parrocchia non si tocca: deve rimanere come un posto di creatività, di riferimento, di maternità e tutte queste cose».

Parlando della dottrina sociale e della “guerra mondiale a pezzi” introduce il tema ideologico. «Ideologie, sì, ma qual è l’ideologia di oggi, che è proprio al centro e che è la madre delle corruzioni, delle guerre? L’idolatria del denaro. L’uomo e la donna non sono più al culmine della creazione, lì è posto l’idolo del denaro, e tutto si compra e si vende per denaro». Lo sfruttamento delle persone e della terra è legato a questa ideologia, una vera e propria idolatria. In tale contesto avvengono le “colonizzazioni ideologiche”. «E una di queste – lo dico chiaramente con nome e cognome – è il gender! Oggi ai bambini – ai bambini! – a scuola si insegna questo: che il sesso ognuno lo può scegliere. E perché insegnano questo? Perché i libri sono quelli delle persone e delle istituzioni che ti danno i soldi».

Sul tema specifico delle immigrazioni e dei profughi papa Francesco ha ricordato: «Il mio papà è un migrante». Oltre alle ragioni tradizionali della ricerca di maggior benessere c’è oggi l’urgenza della fuga dalla guerra, dalla fame e dalla corruzione. Il messaggio di prudente apertura dei vescovi ai corridoi umanitari per i rifugiati, formulato il 30 giugno scorso, è stato rafforzato dal papa, che ha riconosciuto non esserci una risposta valida per tutti, che «l’accoglienza dipende dalla situazione di ogni paese e anche dalla cultura». Ma se le risposte possono essere diverse, l’imperativo di un cuore aperto rimane.

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