Sinodalità: il rischio della retorica

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Pur invecchiando, insisto quasi compulsivamente nella lettura dei documenti della Chiesa cattolica, ma ormai si tratta di un officio sempre più tristemente ripetitivo. Sono documenti romani, papali, vescovili, europei e latinoamericani: un oceano di parole che cominciai a leggere, con entusiasmo, negli anni Settanta, la stagione italiana di Evangelizzazione e Promozione umana e dell’Evangelii nuntiandi.

Questo accadeva dando continuità allo studio delle grandi costituzioni del Concilio Vaticano II e ovviamente dell’evento e del documento di Medellin, traduzione del Concilio in America Latina. Più recentemente riesce a sedurmi la Laudato si’ di papa Francesco, ma, perduto l’entusiasmo giovanile, il resto dell’immensa biblioteca magisteriale mi appare un insieme cimiteriale, in cui eserciti di parole, esortazioni e concetti già da tempo cadaverici transitano da un documento all’altro, senza alcun contatto con la realtà.

Forse si tratta di una senile stanchezza. O, forse, è davvero l’incapacità di accettare che le proposte ispirate dallo Spirito di fatto percorrano generazioni e generazioni prima di essere accolte. Di che stupirsi allora, quando continuiamo a dimenticare e tradire, fin dall’inizio, lo stesso Vangelo e la persona di Gesù? O quando cancelliamo dalla memoria la pratica profetica ritrovata a Medellin e di quel tesoro resta solo la ripetizione verbale della fedeltà ai poveri? O quando di Aparecida rimane solamente la formula, ripetuta fino allo sfinimento, ma senza nessuna connessione con concreti cambiamenti ecclesiali: «passare da una pastorale di mera manutenzione dell’esistente a una pastorale decisamente missionaria»?

Sinodalità: la parola e le pratiche

Oggi questo divario tra parole e prassi, tra documenti ed effettive conversioni pastorali, si ripete con il tema della sinodalità, tema oggetto di studi, riflessioni, commenti, il più delle volte ripetitivi e svincolati da decisioni e da eventi che possano tradurla.

Mi sembra che molte parrocchie abbiano obbedito ancora una volta all’appello di riunire i fedeli per riflettere sull’urgenza di camminare insieme come fratelli e sorelle, popolo nuovo a servizio del Regno. Ma la continuità della supremazia gerarchica del parroco e la centralità inossidabile della Chiesa parrocchiale, attorno alla quale tutto ruota, fragilizzano questo sforzo.

Non abbiamo avuto successo nell’uscire dall’orbita parrocchiale per familiarizzarci con le strade e le vie, e oggi parliamo di un cammino da fare insieme, paralizzati come siamo nello spazio chiuso delle comunità e delle parrocchie.

Mi chiedo ancora una volta se, come Chiesa, non stiamo annaspando nelle acque della crisi o se, equivocandomi nella lettura, dimentico che − nei confronti di Gesù e del suo Regno − ogni generazione, facendo tesoro del passato, deve comunque ricominciare il cammino di ricerca del senso e della verità.

Uno sguardo nuovo sulla realtà

Papa Francesco affronta esplicitamente questa crisi e quando gli è chiesto se vede segni di rinnovamento spirituale, di vita nuova, fresca nella Chiesa risponde:

«È molto difficile vedere un rinnovamento spirituale usando schemi molto antiquati. Bisogna rinnovare il nostro modo di vedere la realtà, di valutarla. Nella Chiesa europea vedo più rinnovamento nelle cose spontanee che stanno nascendo: movimenti, gruppi, nuovi vescovi che ricordano che c’è un Concilio alle loro spalle. Perché il Concilio che alcuni pastori ricordano meglio è quello di Trento. E non è un’assurdità quella che sto dicendo. Il restaurazionismo è arrivato a imbavagliare il Concilio. Il numero di gruppi di restauratori – ad esempio, negli Stati Uniti ce ne sono tanti – è impressionante. Un vescovo argentino mi raccontava che gli era stato chiesto di amministrare una diocesi che era caduta nelle mani di questi restauratori. Non avevano mai accettato il Concilio. Ci sono idee, comportamenti che nascono da un restaurazionismo che in fondo non ha accettato il Concilio. Il problema è proprio questo: che in alcuni contesti il Concilio non è stato ancora accettato. È anche vero che ci vuole un secolo perché un Concilio si radichi. Abbiamo ancora quarant’anni per farlo attecchire, dunque!»[1]

La situazione pastorale in Brasile

Qui, in Brasile, mi pare che esista una situazione − difficile da quantificare statisticamente − che vede il tradizionalismo anti-conciliare e fascista accanto all’immobilismo ripetitivo delle parrocchie.

La maggioranza dei parroci, infatti, non fa opposizione aperta all’invito di vivere una Chiesa in uscita, ma procede nella ripetizione di ciò che si è sempre fatto. Forse capiamo bene che la Chiesa deve essere sempre in uscita, altrimenti si ammala. E che è meglio una Chiesa incidentata, che una Chiesa ammalata da chiusura, ma è senz’altro difficile questa conversione rimanendo inalterata l’istituzione parrocchiale.

Il quadro, in molti casi, peggiora, quando assistiamo, ad esempio, all’alleanza dei parroci con i politici municipali e statali. Ovviamente, a fin di bene, per poter ricevere appoggi significativi nella festa dei patroni, sovvenzioni e onorificenze varie.

Questa sottomissione, a volte segnata dal delittuoso uso del denaro pubblico, è compensata con il silenzio complice e con la lealtà elettorale. E qui, in una ribaltata prospettiva in cui la Chiesa si consegna disarmata nelle mani del potere politico, ritroviamo la logica del padroado, quando era il potere monarchico a nominare i vescovi, sottoponendoli agli interessi politici della corona, prassi che il Concilio di Trento tentava superare.

Se da noi non è stato digerito neanche il Concilio di Trento, immaginiamoci il Vaticano II con Medellin!

Sinodalità senza centralità clericale

Il caro fratello e amico Claudio Bombieri aggiunge un’analisi importante dell’attuale congiuntura:

«Durante la pandemia, molte riflessioni suggerivano che, dopo l’esito positivo di numerose esperienze ecclesiali in cui i laici avevano preso l’iniziativa di fare comunione e celebrare anche senza la messa presenziale, avremmo finalmente vissuto una sinodalità senza la centralità clericale. Ma il ritorno alla normalità ci rivela che la pausa pandemica non ha affatto prodotto i pronosticati cambiamenti. Siamo tornati alla normalità di una Chiesa clericale, insapore, svuotata di persone e di motivazioni. Ci mostriamo refrattari anche alla lezione della disgrazia».

Desidero tuttavia concludere con parole di speranza. E faccio mie le parole dell’amico − grande biblista − Sandro Gallazzi:

«Il vero sinodo sta nel camminare insieme a Gesù che va al centro del conflitto e là sarà innalzato. Il contrario del sinodo è il Sinedrio, rimanere seduti insieme, ma dentro casa. E desiderare che tutte le case siano nostre e maledire chi ci sbatte la porta in faccia. E continuare a fare riferimento alla casa da cui dovremmo invece uscire, le nostre tradizioni e le nostre teologie ormai defunte. Seguimi! Sii mio accolito! Non intorno all’altare, ma in direzione del Calvario».


[1] Antonio Spadaro, «Papa Francesco in conversazione con i direttori delle riviste culturali europee dei Gesuiti», La Civiltà Cattolica, Quaderno 4128, pp. 521 – 529, Volume II, 18 giugno 2022.

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6 Commenti

  1. Adelmo Li Cauzi 9 settembre 2022
    • Pietro 10 settembre 2022
      • Adelmo Li Cauzi 11 settembre 2022
  2. Luca Farina 9 settembre 2022
    • Adelmo Li Cauzi 10 settembre 2022
  3. Marco Ansalone 8 settembre 2022

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