Spigolature sinodali /3

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Il sinodo sui giovani è entrato nella fase finale. Gli apporti alla discussione da parte dei singoli padri e degli altri partecipanti all’assemblea sono terminati. È tempo di fare sintesi e di produrre il documento conclusivo, che verrà poi consegnato al papa. Certo, non è questa impresa facile. Si può solo immaginare la fatica alla quale la commissione per la stesura del documento avrà dovuto sobbarcarsi.

Troppi temi per un sinodo

Nell’ultima settimana di discussione sull’instrumentum laboris, quella appena trascorsa, infatti, sono emersi talmente tanti argomenti e temi e urgenze e sfide che neppure un Concilio sarebbe stato sufficiente ad analizzare e valutare alla luce della parola del Signore!

Si tratta, certamente, di una grande ricchezza, ma non v’è chi non veda il rischio che, per contenere tutte queste istanze, il documento finale perda di incisività e dunque di incidenza. E con i giovani e per i giovani, si ritorni a fare quello che si è sempre fatto: una delega a 360° alla pastorale giovanile (aggiornata con un po’ di discernimento vocazionale) e una pastorale giovanile, più o meno, sempre affannata e tormentata dalla partecipazione alla Giornata mondiale della gioventù di turno!

Spero proprio di no, ma il rischio di perdere un’occasione unica per ripensare un certo modo di dire e di fare Chiesa, proprio a partire dal confronto con il mondo delle nuove generazioni, non è così ipotetico.

Era ed è questo in gioco al sinodo. E a dirlo è stato papa Francesco. Mi piace qui riportare alcune sue parole pronunciate durante l’esperienza del pre-sinodo del marzo 2018, durante il quale ben 300 giovani (cattolici e di altre confessioni cristiane, insieme a giovani di altre religioni e di orientamento ateo) si sono ritrovati per dire la loro sulla e alla Chiesa cattolica.

In quell’occasione, papa Francesco disse: «Questa riunione pre-sinodale vuole essere qualcosa di grande: la volontà della Chiesa di mettersi in ascolto di tutti i giovani, nessuno escluso. E questo non per fare politica. Non per un’artificiale “giovano-filia”, no, ma perché abbiamo bisogno di capire meglio quello che Dio e la storia ci stanno chiedendo. Se mancate voi, ci manca parte dell’accesso a Dio […] Abbiamo bisogno di voi giovani, pietre vive di una Chiesa dal volto giovane, ma non truccato, come ho detto: non ringiovanito artificialmente, ma ravvivato da dentro. E voi ci provocate a uscire dalla logica del “ma si è sempre fatto così”. E quella logica, per favore, è un veleno. È un veleno dolce, perché ti tranquillizza l’anima e ti lascia come anestetizzato e non ti lascia camminare. Uscire dalla logica del “sempre è stato fatto così”, per restare in modo creativo nel solco dell’autentica Tradizione cristiana, ma creativo».

Comunque, un clima gioioso

Di cuore mi auguro di poter constatare nel documento conclusivo di questo sinodo una tale creatività all’opera e avrei pure un piccolo suggerimento al riguardo. La cosa che mi ha colpito di più nei racconti dei padri sinodali circa la loro esperienza di partecipazione all’assemblea è la sottolineatura del tocco speciale di questo Sinodo: un tocco, un accento, un’atmosfera di gioia. E tutti sono stati d’accordo nel riconoscere che un tale effetto è dovuto alla presenza degli uditori giovani.

Ecco, allora, il punto da non lasciarsi sfuggire: non si può non riconoscere che oggi in moltissime parti del mondo e soprattutto in quelle parti del mondo, dove si decidono le sorti del mondo e della stessa Chiesa, l’esperienza gioiosa del cristianesimo è ormai cosa rara se non rarissima. Per questo l’invito del papa a diventare una Chiesa della gioia del Vangelo tarda a decollare. Come si potrebbe, infatti, annunciare efficacemente il Vangelo della gioia se non si vive la gioia del Vangelo? E come è possibile vivere la gioia del Vangelo se fin troppe comunità sono ormai presidio assoluto di bambini e di anziani?

No a una Chiesa depressa

«Se mancate voi, ci manca parte dell’accesso a Dio». È proprio così: se mancano i giovani, alle comunità manca quella parte dell’accesso a Dio che è data proprio dallo spirito della gioia e dalla gioia dello spirito. Ed è così che tanti giovani e tanti adulti non possono non chiedersi, sporgendo un occhio verso l’interno delle nostre Chiese: ma a che serve andare a Messa, a che serve vivere il cristianesimo, cosa dona di più la parola di Gesù, se la vita di quelli che vanno a messa, che vivono il cristianesimo, che scelgono la parola di Gesù non testimoniano una “differenza” di umanità, che proprio la parola gioia ben si candida ad attestare? Insomma: è depressa la gente che va in Chiesa o è la Chiesa che deprime la gente?

L’idea che ci serve allora è questa: mettere mano alla costruzione di una Chiesa capace di gioia, capace di festa, come ha ben sottolineato papa Francesco: «La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano» (Evangelii gaudium, 24).

Ci piaccia o no, il cristianesimo non cresce per accumulo di iniziative, per riaffermazione di idee, per lotte culturali, per acquisto di privilegi giuridici o economici. In una parola: per proselitismo. Cresce, quando cresce, per attrazione.

Ed è così che siamo posti davanti ad un’ultima ineludibile questione: abbiamo fatto tutto quello che era possibile fare, abbiamo “creato” tutto quello che era possibile creare, abbiamo pensato tutto quello che era possibile pensare, abbiamo compiuto discernimento su tutto quello su cui era possibile compiere discernimento, per manifestare, ancora oggi, soprattutto oggi, soprattutto per le nuove generazioni, una fede che attrae?

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