USA: “Melting Pot” anche per i vescovi

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«Sono vicino a voi perché i vescovi americani mi hanno raccontato le vostre sofferenze», ha rivelato giovedì scorso il papa a un gruppo di ragazzi texani in video-collegamento nel corso della visita da lui compiuta a Trastevere alla sede delle Scholas Occurrentes, il progetto educativo – per la precisione una Fondazione di diritto pontificio – per l’inclusione sociale dei ragazzi disagiati che Bergoglio aveva già promosso quando era arcivescovo di Buenos Aires e che ora si è esteso globalmente.

«Io sono figlio di emigrati e, se non ci fossero state persone che hanno accolto i miei genitori, io non sarei qui con voi oggi. Una delle cose più belle è accogliere una cultura che arriva da altri paesi, arricchirsi con il dialogo, accogliere l’altro. Questo non lo dico io, lo dice una persona molto più importante di me, lo dice Dio. La Bibbia è chiara: ricevi il migrante, ricevi il rifugiato perché anche voi eravate rifugiati in Egitto. Anche Gesù è stato un rifugiato».

Presenti anche alcuni studenti provenienti dalla Palestina e da Israele che hanno piantato insieme a lui un olivo della pace, il pontefice ha dialogato in collegamento con giovani e ragazzi di Argentina, Messico, Paraguay, Portorico e Texas. Tra loro anche alcuni “dreamers” (incerti sul loro futuro perché a rischio di espulsione e di rimpatrio per via delle nuove norme degli Stati Uniti) e ad essi in particolare si è rivolto papa Francesco: «La prima cosa che vi dico è che prego per voi. La seconda cosa è continuate a sognare. Avvicinarsi alle persone che vi vogliono bene e che vogliono difendervi in questo momento difficile. Non odiate nessuno».

E quindi un appello a tutto il mondo ricco del Nord: «Chiedo a tutti i popoli di aiutare i migranti, perché sono la promessa della vita per il futuro» e uno specifico per noi europei: «Non vi dimenticate che anche voi siete meticci per via delle grandi migrazioni dei tempi dei barbari, dei vichinghi. Questo non è il momento di giocare al laboratorio asettico. È il momento di accogliere coloro che arrivano e di rispettare le leggi del popolo che riceve».

«Ai migranti chiedo: custodite il popolo che vi riceve, rispettate le sue leggi, camminate come fratelli in questo cammino dell’amore».

Ognuno faccia quanto gli compete, sembra dire Bergoglio che, da parte sua, non sta certo a guardare.

La conferenza episcopale diventa multietnica

Sostieni SettimanaNews.itUn’ulteriore conferma sembra venire dalle recenti nomine vescovili per gli Stati Uniti che registrano tra le loro file ora anche preti migranti provenienti da terre lontane (tenuto conto che, fino a papa Francesco, l’unica eccezione era il cardinale di Philadelphia, il cappuccino Charles Joseph Chaput, di famiglia di nativi americani di origine canadese).

Indubbiamente un cambiamento di rotta che ha già portato ad una svolta in merito all’ordine del giorno delle questioni assunte e fatte proprie dalla conferenza episcopale oltreoceano (ora vecchie e nuove povertà, problemi dei migranti e nello specifico i minori “dreamers”, la copertura sanitaria dei più vulnerabili e persino la pena di morte…).

Oscar Azarcon Solis a Salt Lake City, Utah

A gennaio la nomina del filippino Oscar Azarcon Solis, nuovo vescovo di Salt Lake City, prima volta di un asiatico alla guida di una diocesi degli Stati Uniti (anche se sempre più numerosi sono ormai quanti diventano ausiliari). Un vescovo che ha raccolto l’eredità di John Charles Wester, ora a Santa Fe, figlio di emigranti europei, ma che ha saputo riconoscersi nei problemi della sua gente, specialmente i più poveri, vedi oggi i migranti di origine ispanica.

Ordinato prete a San José, sua città natale nella diocesi di Cabanatuan nel 1979, poi parroco e rettore del seminario minore, Solis era emigrato negli Stati Uniti nel 1984 e aveva prestato servizio nella diocesi di Newark in New Jersey prima di trasferirsi in Louisiana. Nel 2003 Giovanni Paolo II l’aveva nominato vescovo ausiliare di Los Angeles, vicario episcopale per il clero di diverse etnie. Il 10 gennaio di quest’anno la nomina da parte di papa Francesco a vescovo della capitale dello Utah.

Thanh Thai Nguyen a Orange, California

È di inizio ottobre la nomina di Thanh Thai Nguyen a vescovo ausiliare di Orange, la diocesi suffraganea di Los Angeles dove vive la più numerosa comunità cattolica vietnamita negli Stati Uniti (oltre 70 mila fedeli provenienti dall’Estremo Oriente, una comunità in continua crescita un po’ in tutta la California, dove si aspetta il sorpasso sugli ispanici).

Vietnamita era anche il vescovo Dominic Dinh Mai Luong, ritiratosi lo scorso anno per raggiunti limiti di età che era giunto negli Stati Uniti come seminarista, senza peraltro più poter fare ritorno a causa della guerra tra i due Vietnam e poi rimasto negli States.

Quella di Thanh Thai Nguyen è una delle tante storie dell’emigrazione oltrepacifica verso il sogno americano. Nel 1979 era partito a bordo di un barcone, in fuga dal regime comunista che, quattro anni prima, aveva conquistato Saigon, al termine della guerra: un figlio dei «boat-people».

Nato a Nha Trang nel 1953, si trovava a studiare nel seminario della Congregazione di San Giuseppe a Da Lat quando, nel 1975, i comunisti li fecero sloggiare sequestrando la struttura: da qui la fuga, prima dieci mesi in un campo rifugiati nelle Filippine, e poi nel 1980 l’approdo negli Stati Uniti.

Per sbarcare il lunario, Thanh Thai Nguyen accetta un incarico per insegnare matematica nel Connecticut, ma la chiamata verso il seminario era sempre più forte, così nel 1984 decide di bussare alla porta dei missionari di Nostra Signora di La Salette. Ordinato sacerdote nel 1991, prima di questa nomina ha prestato servizio nella diocesi di Saint Augustine in Florida.

Enrique Delgado a Miami, Florida

E, a metà ottobre, un’altra nomina significativa: Enrique Delgado, prete diocesano della Chiesa locale di Miami, diventa vescovo ausiliare della sua diocesi. Ordinaria amministrazione pastorale verrebbe da dire, se non fosse per il fatto che don Delgado è un immigrato dal Perù.
Nato a Lima, in Perù, 61 anni fa, prestava servizio nella parrocchia di St. Katharine Drexel a Weston in Florida. Il fatto che l’ausiliare appena nominato sia peruviano dalla nascita «riflette la crescente presenza degli ispanici nella Chiesa cattolica qui negli Stati Uniti, qualcosa che qui, nel sud della Florida, è ormai una realtà da lungo tempo», ha dichiarato alla notizia l’arcivescovo di Miami, Thomas G. Wenski, che lo consacrerà a dicembre.

Nato il 26 dicembre 1955, il vescovo designato Delgado è il primogenito di 11 fratelli vivi. Ha studiato presso l’università di Lima, dove ha conseguito un master in economia nel 1982, con specializzazione in finanza. Già amministratore di una società con 150 dipendenti, ha lasciato tutto per entrare in seminario, emigrante negli Stati Uniti. Nel 2015 la sua tesi di dottorato in teologia pastorale presso l’università di St. Thomas a Miami con una ricerca sulla condivisione della leadership nella Chiesa.

Non c’è dubbio che questo «Melting Pot», che papa Francesco sta allargando anche alle nomine vescovili, sia uno specchio fedele della realtà sociale degli Stati Uniti, quella realtà oggi dimenticata a Washington dove prevale l’idea del bianco caucasico – come recitano i tanti questionari in vigore – proveniente dal Vecchio Continente.

Un motivo in più per i detrattori di Jorge Mario Bergoglio cui venerdì 27 ottobre il quotidiano inglese The Guardian ha dedicato un ampio servizio dal titolo «The war against Pope Francis» (La guerra contro papa Francesco). «Uno degli uomini più odiati al mondo e quanti lo odiano non sono, come si potrebbe ipotizzare, atei, protestanti o musulmani, bensì proprio alcuni dei suoi fedeli cattolici». Un fatto che, dall’esterno risulta davvero incomprensibile. Già.

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