Viganò, i vescovi cinesi e Trump

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Cosa c’entra mons. C.M. Viganò con l’accordo sui vescovi Cina-Santa Sede e con le critiche dell’amministrazione americana a papa Francesco? In apparenza, ben poco. Tuttavia, se si sposta l’ottica sul cattolicesimo di destra negli Stati Uniti e il suo sostegno alla confusa denuncia dell’ex nunzio e, contestualmente, sulla coassialità fra cattolicesimo di destra e amministrazione Trump, assai preoccupata dell’ascesa cinese, si comprende come il puzzle possa comporsi.

Mettiamo in ordine alcuni fatti. Da febbraio scorso, si rincorrono le voci sul possibile accordo riguardante i vescovi cattolici in Cina. Negli stessi mesi si intensificano le informazioni relativamente alle violenze amministrative che la nuova normativa sulle religioni permette nel paese asiatico: proibizione ai minori di frequentare le chiese, controllo dei presenti con videocamere, esposizione della bandiera nazionale obbligatoria, distruzione sistematica delle croci esibite sulle sommità dei luoghi di culto (sarebbero 17.000 solo nella regione dello Zhejiang). Tutto in conformità alla parola d’ordine del presidente Xi Jinping di “cinesizzare” le religioni.

Il 22 settembre a Pechino si firma l’accordo fra il sottosegretario per i rapporti della Santa Sede con gli stati, mons. A. Camilleri, e il viceministro degli affari esteri cinesi, Wang Chao (cf. SettimanaNews). Un accordo segreto e provvisorio.

Le reazioni critiche si fanno sentire. Il “partito dei pessimisti” considera «inutile ogni trattativa con Pechino perché il suo governo è inaffidabile e perché il prezzo da pagare per questo accordo è la consegna della Chiesa nelle mani del potere politico che continua ad enfatizzare l’indipendenza della Chiesa e ad esigere dai vescovi cinesi di ripetere ad ogni istante lo stesso ritornello: “indipendenza”» (Asianews).

Il card. J. Zen, ex arcivescovo di Hong Kong e punta di lancia dei resistenti, ripete: «È terribile! È terribile!», «I cattolici (sotterranei) cinesi si sentono traditi. Il governo, che ha sempre represso la Chiesa clandestina, lo può fare ormai con l’aiuto della Santa Sede». «I cattolici (sotterranei) cinesi sono molto tristi. Si sentono perduti e abbandonati. Alcuni hanno sofferto restando sotterranei e fedeli al papa, senza compromettersi con l’“associazione patriottica” della Chiesa “ufficiale”. Alcuni sono stati minacciati. Altri sono andati in prigione. E ora si dice loro di uscire dalle catacombe, che il loro sacrificio non è servito a niente».

Incubo cinese

Abbandonando il dramma vero dei cattolici in Cina, ci spostiamo su quello artefatto dei cattolici di destra americani.

Il 2 ottobre, a Washington, un’assemblea di cattolici conservatori, assai danarosi, si mobilita per una «riforma autentica» della Chiesa, di contro a quella proposta dal papa. Ignorando la questione dei poveri, l’urgenza dell’ambiente, l’unità e la comunione nella Chiesa e la radicalità del Vangelo, si battono solo sul tema degli abusi del clero. Ne incolpano l’attuale episcopato e pontificato, ignorando che la quasi totalità dei casi si riferisce a vescovi a loro vicini, a generazioni e a papati precedenti.

Il loro leader, Timothy R. Busch, ha scandito: «Viganò ci ha dato un’agenda e noi dobbiamo perseguire quello che Viganò ha iniziato» (cf. Il sismografo, 5 ottobre).

Il 4 ottobre il vicepresidente americano, Mike Pence, pronuncia un discorso all’Hudson Institute in cui attacca frontalmente la Cina, colpevole di rubare la tecnologia americana, di hakeraggio per smontare l’immagine negativa del paese asiatico fra gli americani, di voler escludere la presenza americana dal Pacifico occidentale, di perseguire scontri militari nelle acque del Mar della Cina.

In questo contesto, Pence denuncia la mancata libertà di religione in Cina: «Una nuova ondata di persecuzioni si sta abbattendo su cristiani, buddisti e musulmani cinesi. Il mese scorso ha chiuso una delle più grandi chiese “sotterranee” della Cina. In tutto il paese le autorità stanno abbattendo croci, bruciando Bibbie e imprigionando credenti. E ora Pechino ha raggiunto un accordo con il Vaticano che conferisce al partito comunista, dichiaratamente ateo, un ruolo diretto nella nomina dei vescovi cattolici. Per i cristiani della Cina questi sono tempi disperati».

Emissari statunitensi suggerivano da mesi ai responsabili vaticani di non firmare l’accordo e alcuni media cattolici degli USA avevano sottolineato la tendenza pro-Cina dell’ex cardinale T. McCarrick, coinvolto in gravi comportamenti immorali, che Francesco ha allontanato dalla dignità cardinalizia.

Le denunce della destra americana si saldano: nella Chiesa si parli solo di abusi, apertura e sostegni (anche economici) agli oppositori di Francesco, innalzamento dello scontro a livello militare con la Cina, spinta alle forze populiste in Europa (cf. SettimanaNews).

L’inconsistente manifesto del “clandestino” Viganò diventa la bandiera della destra americana per delegittimare il papato e sostenere l’amministrazione Trump. La difesa dei cattolici clandestini cinesi da parte dell’amministrazione di Washington è una modesta variabile dipendente nello scontro per la futura egemonia mondiale. Il quadro si chiude.

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