Amoris lætitia e dignità della donna

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Il 9 marzo 2015 autorevoli rappresentanti delle Chiese cristiane (cattolici, protestanti e ortodossi) hanno sottoscritto, nella sede del Senato della Repubblica a Roma, un appello ecumenico contro la violenza sulle donne elaborato da una commissione congiunta della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale italiana. Con l’appello alle Chiese cristiane che sono in Italia, si è inteso evidenziare, da parte delle rispettive confessioni, che la violenza sulle donne, la quale si concretizza molto spesso all’interno delle mura domestiche, è un drammatico problema sociale che riguarda anche il mondo ecclesiale, in quanto le Chiese hanno tanta parte nella formazione delle persone.

«Le comunità cristiane in Italia – si legge nel documento – sentono urgente la necessità di impegnarsi in prima persona per un’azione educativa e pastorale profonda e rinnovata che, da un lato, aiuti la parte maschile dell’umanità a liberarsi dalla spinta a commettere violenza sulle donne e, dall’altro, sostenga la dignità della donna, i suoi diritti e il suo ruolo nel privato delle relazioni sentimentali e di famiglia, nell’ambito della comunità cristiana, così come nei luoghi di lavoro e, più in generale, nella società».

L’occasione per rileggere l’appello ecumenico mi è stata suggerita dal contenuto del secondo capitolo dell’esortazione apostolica Amoris lætitia dal titolo “La realtà e le sfide delle famiglie”. In esso, tenendo i piedi per terra (n. 6), Francesco presenta la situazione attuale delle famiglie in tutta la loro complessità, evidenziandone luci e ombre (n. 32).

Sfide che interpellano le comunità cristiane

In particolare, nel capitolo sono elencate alcune situazioni critiche da considerare alla stregua di sfide, che hanno sostanzialmente a che fare con la condizione della donna nelle nostre società, fermo restando che «il riconoscimento più chiaro della dignità della donna e dei suoi diritti» è da considerare «opera dello Spirito» (n. 54).

Nel prendere coscienza delle sfide, si deve evitare di limitarci a denunce retoriche dei mali attuali (n. 35) e di cadere nella trappola di esaurirci in lamenti autodifensivi, e va suscitata, accanto ad un’efficace «creatività missionaria» (n. 57) «in uscita» e «in prossimità» (n. 230), una buona preparazione pastorale di chi opera a contatto con le famiglie soprattutto in presenza di particolari situazioni di emergenza determinate da casi di violenza domestica e di abuso sessuale (n. 204).

Alcune sfide, evidenziate con realismo e coraggio, contribuiscono a rendere quanto mai attuale l’accennato «appello ecumenico contro la violenza sulle donne». Sono quelle che riguardano situazioni provocate – scrive papa Francesco – non dal fenomeno dell’emancipazione della donna, ma dalla persistenza di costumi androcentrici inaccettabili e da eccessi delle culture patriarcali che considerano la donna un essere umano di seconda classe (n. 54).

L’elenco è drammaticamente lungo: la violenza verbale, fisica e sessuale esercitata contro le donne all’interno del rapporto matrimoniale; la mercificazione del corpo femminile nella cultura mediatica; i maltrattamenti familiari; le varie forme di schiavitù; le mutilazioni genitali; la pratica dell’utero in affitto; la disuguaglianza dell’accesso della donna a posti di lavoro dignitosi e ai luoghi in cui si prendono le decisioni (n. 54). Ma anche la pornografia, la commercializzazione del corpo e il fenomeno della prostituzione coatta (n. 41); le situazioni di conflitto e violenza familiare che alimentano nuove forme di aggressività sociale, di risentimento e di odio nelle relazioni umane fondamentali (n. 51); il dramma delle migrazioni quando hanno luogo al di fuori della legalità e quando sono sostenute da circuiti internazionali di tratta degli esseri umani (n. 46); la povertà estrema ed altre situazioni di disgregazione che inducono talvolta le famiglie a vendere figlie e figli per la prostituzione o per il traffico di organi (n. 46); la carenza, o addirittura l’assenza e la latitanza (n. 176), del ruolo esercitato dal marito e dal padre all’interno della famiglia (n. 55); lo sfruttamento sessuale dell’infanzia, «una delle realtà più scandalose e perverse della società attuale»; l’abuso sessuale dei minori, fenomeno tanto più inquietante e scandaloso «quando avviene nelle famiglie, nelle scuole e nelle comunità e istituzioni cristiane» (n. 45).

Parole di verità e speranza

La violenza sulle donne non ha tempo né confini: è endemica e non risparmia nessuna nazione o nessun paese, industrializzato o in via di sviluppo che sia. Non conosce nemmeno differenze socio-culturali. Vittime e aggressori appartengono a tutte le classi sociali. Di fronte a questo dramma umano e sociale papa Francesco, facendo riferimento ad alcuni passaggi della Relatio Synodi del 2014 e della Relatio finalis del 2015 del sinodo dei vescovi, ci invita a non rimanere indifferenti e a rompere il silenzio che, per tanto tempo, ha ricoperto una problematica confinata per lo più nella sfera privata.

Al fenomeno della violenza maschile contro le donne, come alle altre difficoltà e sfide che caratterizzano oggi il matrimonio e la famiglia, va prestato attenzione perché le richieste e gli appelli dello Spirito risuonano negli avvenimenti della storia (n. 31). Ogni comunità dovrebbe essere in grado di dire «una parola di verità e di speranza» (n. 57). Per farlo in modo efficace, potrebbe essere utile fare ricorso anche all’esperienza «della lunga tradizione orientale dei sacerdoti sposati» (n. 202). Inoltre, nel percorso formativo di chi si prepara al presbiterato andrebbero previste sia la presenza dei laici e delle famiglie, sia la presenza femminile: ciò al fine non solo di acquisire l’equilibrio psichico che l’esercizio del ministero presbiterale esige, ma anche di favorire «l’apprezzamento per la varietà e la complementarietà delle diverse vocazioni nella Chiesa» (n. 203).

Si tratta, in sostanza, di liberare «le energie della speranza traducendole in sogni profetici e in azioni trasformatrici», lasciandoci guidare della fantasia della carità (n. 57), contribuendo, così, a raggiungere, grazie alla preghiera, alla predicazione, all’educazione e all’azione, l’obiettivo indicato nell’appello ecumenico alle Chiese cristiane: «sradicare la pianta cattiva di culture, leggi e tradizioni che ancora oggi, in varie parti del mondo, discriminano la donna, non di rado avvilendola nel ruolo di un semplice oggetto di cui disporre».

“Parole di verità e di speranza” sono, al riguardo, rinvenibili in numerosi paragrafi dell’esortazione apostolica.

No alla sessualità “usa e getta”

Nel valorizzare una visione positiva della sessualità, si deve prendere realisticamente atto dell’elevato rischio che oggi essa sia «dominata dallo spirito velenoso dell’usa e getta». «Il corpo dell’altro è spesso manipolato come una cosa da tenere finché offre soddisfazioni e da disprezzare quando perde attrattiva. Non vanno ignorate o dissimulate le costanti forme di dominio, prepotenza, abuso, perversione e violenza sessuale, che sono frutto di una distorsione del significato della sessualità e che seppelliscono la dignità degli altri e l’appello all’amore sotto un’oscura ricerca di se stessi» (n. 153).

In presenza di simili patologie e di altre situazioni intollerabili, la considerazione della dignità della persona maltrattata e del bene dei figli impone di porre un limite fermo non solo alle pretese eccessive della persona maltrattante, ma a grandi ingiustizie, alla violenza o alla mancanza di rispetto diventata cronica. «Bisogna riconoscere che ci sono casi in cui la separazione è inevitabile. A volte, può diventare persino moralmente necessaria, quando appunto si tratta di sottrarre il coniuge più debole, o i figli piccoli, alle ferite più gravi causate dalla prepotenza e dalla violenza, dall’avvilimento e dallo sfruttamento, dall’estraneità e dall’indifferenza», fermo restando che essa debba essere considerata come estremo rimedio, dopo che ogni ragionevole tentativo di ripristinare rapporti rispettosi e positivi si sia dimostrato vano (n. 241).

Papa Francesco considera ammirevole «l’atteggiamento di persone che hanno dovuto separarsi dal coniuge per proteggersi dalla violenza fisica, e tuttavia, a causa della carità coniugale che sa andare oltre i sentimenti, sono state capaci di agire per il suo bene, benché attraverso altri, in momenti di malattia, di sofferenza o di difficoltà. Anche questo è amore malgrado tutto» (n. 119).

Né serva né schiava del marito

Nella consapevolezza dell’uso distorto che, nel corso della storia della Chiesa, si è fatto del testo della lettera agli Efesini dove si chiede che «le mogli siano [sottomesse] ai loro mariti» (Ef 5,22) per giustificare il rapporto di dominio e sottomissione secondo cui la moglie è proprietà del marito, Amoris laetitia invita ad evitare «ogni interpretazione inadeguata» del testo in questione. L’autore della lettera agli Efesini, infatti, si esprime utilizzando categorie culturali proprie dell’epoca a lui contemporanea. Ciò che va accolto non è il «rivestimento culturale, bensì il messaggio rivelato che soggiace all’insieme della pericope» (n. 156).

Riprendendo il magistero di Giovanni Paolo II, Francesco afferma che «l’amore esclude ogni genere di sottomissione, per cui la moglie diverrebbe serva o schiava del marito. La comunità o unità che essi debbono costituire a motivo del matrimonio si realizza attraverso una reciproca donazione, che è anche una sottomissione vicendevole». E chiarisce che, in realtà, il testo biblico vuole prospettare il superamento di ogni comodo individualismo per vivere rivolti gli uni verso gli altri: «Siate sottomessi gli uni agli altri» (Ef 5,21). Tra marito e moglie questa reciproca “sottomissione” «acquisisce un significato speciale e si intende come un’appartenenza reciproca liberamente scelta, con un insieme di caratteristiche di fedeltà, rispetto e cura. La sessualità è in modo inseparabile al servizio di tale amicizia coniugale, perché si orienta a fare in modo che l’altro viva in pienezza» (n. 156).

Essere pazienti, come da invito di 1Cor 13,4, «non significa permettere che ci maltrattino, o tollerare aggressioni fisiche, o permettere che ci trattino come oggetti» (n. 92).

Non esiste un diritto all’amplesso

Anche nel matrimonio la sessualità può diventare fonte di sofferenza e di manipolazione. Per questo papa Francesco avverte l’esigenza di ribadire con chiarezza che «un atto coniugale imposto al coniuge senza nessun riguardo alle sue condizioni e ai suoi giusti desideri non è un vero atto di amore e nega pertanto un’esigenza del retto ordine morale nei rapporti tra gli sposi». I rapporti sessuali dei coniugi nel matrimonio «rispondono alla natura della sessualità voluta da Dio se sono compiuti in modo veramente umano».

Facendo riferimento a testi di Paolo (1Ts 4,6 e 1Cor 7,5), pur chiaramente debitori di una cultura patriarcale nella quale la donna era considerata un essere completamente subordinato all’uomo, Francesco pone l’accento sulla sessualità da vivere in modo decoroso e santo, senza diventare succubi di passioni prevaricatrici nei confronti del partner e sull’esigenza che essa sia una questione da trattare tra i coniugi all’insegna del rispetto reciproco e dell’esclusione di ogni forma di arbitrio di un coniuge ai danni dell’altro (n. 154). La chiamata ad un’unione sempre più intensa non può cancellare l’inevitabile distanza che esiste tra marito e moglie e richiede che sia sempre valorizzata la personale e irrepetibile dignità che ciascuno possiede. La reciproca preziosa appartenenza non può mai trasformarsi in dominio, fino a stravolgere la struttura di comunione che caratterizza nel matrimonio la relazione interpersonale (n. 155).

In sostanza, papa Francesco sembra affermare tre importanti e quanto mai attuali criteri per un’unione coniugale vissuta in modo veramente umano:

  • il rapporto coniugale non può mai degradare la persona di un coniuge ad oggetto di possesso dell’altro coniuge;
  • la violenza sessuale compiuta dal marito ai danni della moglie non presenta connotazioni diverse rispetto a quella compiuta da un soggetto estraneo;
  • non esiste un diritto assoluto del coniuge al compimento di atti come mero sfogo all’istinto sessuale contro la volontà del coniuge e ogni intrusione violenta nella sfera sessuale del coniuge è moralmente riprovevole. «Amare significa anche rendersi amabili…

L’amore non opera in maniera rude, non agisce in modo scortese, non è duro nel tratto. I suoi modi, le sue parole, i suoi gesti, sono gradevoli e non aspri o rigidi. Detesta far soffrire gli altri… Ogni giorno entrare nella vita dell’altro, anche quando fa parte della nostra vita, chiede la delicatezza di un atteggiamento non invasivo, che rinnova la fiducia e il rispetto» (n. 99).

Ripensare il maschile

All’interno della famiglia, la figura del padre è tanto importante quanto quella della madre. «Vi sono ruoli e compiti flessibili, che si adattano alle circostanza concrete di ogni famiglia, ma la presenza chiara e ben definita delle due figure, femminile e maschile, crea l’ambiente più adatto alla maturazione del bambino» (n. 175). Non si può, peraltro, ignorare che, «nella configurazione del proprio modo di essere, femminile o maschile, non confluiscono solamente fattori biologici o genetici, ma anche molteplici elementi relativi al temperamento, alla storia familiare, alla cultura, alle esperienze vissute, alla formazione ricevuta, alle influenze di amici, familiari e persone ammirate, e ad altre circostanze concrete che esigono uno sforzo di adattamento» (n. 286).

«Sesso biologico (sex) e ruolo sociale-culturale del sesso (gender), si possono distinguere, ma non separare» (n. 56). Le differenze biologiche non possono essere ignorate. Se è vero che il maschile e il femminile, opera creata da Dio, è certamente anteriore a tutte le nostre decisioni ed esperienze, altrettanto vero è che il maschile e il femminile non sono qualcosa di rigido. «Perciò è possibile, ad esempio, che il modo di essere maschile del marito possa adattarsi con flessibilità alla condizione lavorativa della moglie. Farsi carico di compiti domestici o di alcuni aspetti della crescita dei figli non lo rendono meno maschile, né significano un fallimento, un cedimento o una vergogna» (n. 286). Si tratta di “interscambi” che non privano di dignità la figura paterna e che devono, quindi, essere presentati ai bambini come assolutamente normali.

«La rigidità diventa un’esagerazione del maschile o del femminile, e non educa i bambini e i giovani alla reciprocità incarnata nelle condizioni reali del matrimonio. Questa rigidità, a sua volta, può impedire lo sviluppo delle capacità di ciascuno, fino al punto di arrivare a considerare come poco maschile dedicarsi all’arte o alla danza e poco femminile svolgere un incarico di guida. Questo, grazie a Dio, è cambiato, ma in alcuni luoghi certe concezioni inadeguate continuano a condizionare la legittima libertà e a mutilare l’autentico sviluppo dell’identità concreta dei figli e delle loro potenzialità» (n. 286).

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