Bach: Oratorio di Natale

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Per un ascolto integrale dell’opera di Bach, si suggerisce la registrazione di una esecuzione dal vivo – con strumenti d’epoca e coro di bambini – diretta dal maestro Nikolaus Harnoncourt (Parti I-III; Parti IV-VI; libretto e partitura).

È un grande piacere poter presentare l’Oratorio di Natale – uno dei capolavori di Johann Sebastian Bach – dopo aver scritto, nella scorsa Quaresima, della Passione secondo Matteo (cf. SettimanaNews, qui).

Si tratta di un ascolto naturalmente diverso per l’atmosfera del tempo liturgico: se la Passione è permeata da sentimenti di compianto, l’Oratorio di Natale è pervaso quasi interamente – e sottolineo il quasi – dal sentimento della gioia.

La divina incarnazione di Dio nel bambino Gesù è segnata pure da una vena di tristezza, che prefigura la sofferenza nella piena assunzione della natura umana con tutta la sua fragilità, sino alla morte. Possiamo dire dunque che questa opera di Bach sia immersa nell’atmosfera del “già e non ancora”, così come tutta la liturgia del Natale di Cristo è immersa nello stesso clima.

Nel tempo di Natale

Mi è venuta, per quest’opera bachiana, la strana definizione di Oratorio “diffuso”, nel senso che, a differenza di altri grandi Oratoriquali Il Messiah di Haendel da sempre eseguito dall’inizio alla fine in un’unica soluzione – il Weihnachtsoratorium è stato concepito per una esecuzione in sei diverse giornate o festività del Tempo del Natale.

Ciò porta all’interessante pensiero che questa musica ci guidi ad attraversare il tempo della narrazione “storica” evangelica, oltre che col passo della liturgia, con i passi progressivi del nostro cammino spirituale, nel corso della nostra vita.

Al principio della partitura sta evidentemente l’ordine cronologico degli eventi narrati dai vangeli di Matteo e di Luca, alcuni dei quali consumatisi nell’arco di poche ore – la nascita di Gesù, l’arrivo dei pastori e l’annuncio degli angeli – altri invece – quali la visita dei magi e la fuga in Egitto – sviluppatisi, a buon senso, nella misura di anni.

Nei vangeli tutto ciò occupa lo spazio di poche pagine: una lettura secca potrebbe prendere non più di un quarto d’ora, mentre dalla liturgia questi brani sono sapientemente distribuiti nel ben più lungo Tempo del Natale – in tutte le chiese – ottenendo un effetto di amplificazione, ovvero di contemplazione, di ciascun singolare momento.

Bach, nell’Oratorio di Natale, tiene dunque vivo un continuo scambio di tempo tra la narrazione evangelica, la celebrazione liturgica, la musica, il canto e la vita reale: se la lettura dei brani, sia pure intonata con i recitativi prenderebbe ancora pochi minuti, cori, corali, arie, ecc. ne dilatano il tempo, nel verso di un tempo senza tempo, se così si può dire.

Liturgia

La definizione “Oratorio” non è qui utilizzata da Bach nella sua accezione musicale più classica, affermatasi dall’Italia del ‘600 in tutta l’Europa barocca: Bach intende l’Oratorio in una forma ancora molto legata alle attività paraliturgiche e liturgiche del suo tempo e del suo luogo.

Nell’Oratorio di Pasqua – uno dei tre indicati come tali nel catalogo – Bach mantiene il carattere narrativo mettendo in primo piano figure che dialogano tra loro, peraltro in maniera piuttosto libera, sugli eventi evangelici, mentre nell’Oratorio di Natale – e in quello della Ascensione – pone in primo piano la presenza di un evangelista, ossia di un narratore che recita il testo evangelico nella sua spoglia verità.

I tre Oratori bachiani sono dunque riferiti ai tre momenti fondamentali dell’anno liturgico: Natale, Pasqua e Ascensione. Possiamo lamentare il fatto che Bach non abbia composto un Oratorio anche per la Pentecoste. Abbiamo comunque – se non un completo Oratorio – alcune sue bellissime Cantate sacre per la festa di Pentecoste.

In ognuno dei tre Oratori, Bach ha lasciato una sua impronta originale. Li accomuna, in ogni caso, l’ampio uso della parodia: un termine che, in italiano corrente, trasmette connotazioni piuttosto negative, nel verso della caricatura, della deformazione di un originale o della produzione di scarso pregio.

Non è questa evidentemente la giusta visione in ambito musicale, specie per quanto riguarda Bach. Per parodia si intende innanzi tutto la sostituzione di un testo – in una composizione musicale già realizzata – con un altro testo.

Se concepiamo il rapporto testo-musica in maniera rigida – tanto migliore il risultato quanto più stretto il rapporto tra i due termini – siamo indotti a pensare che il riutilizzo di una composizione musicale per un altro testo sia semplicemente un modo per guadagnare tempo.

Ma nel caso di Bach, come di altri grandi musicisti, la parodia non è per nulla un atto di fretta o di disimpegno, bensì di valorizzazione della parte migliore della propria creazione musicale, sempre al servizio della parola e del suo senso. In realtà, Bach era molto critico nei confronti delle proprie composizioni e, pertanto, era perfettamente in grado di discernere, trattenendo le cose migliori e reimpiegandole con risultati sempre di altissimo livello.

Teniamo conto poi del valore intrinseco della musica al tempo di Bach. Non c’era possibilità di riproduzione seriale ed ogni esecuzione richiedeva risorse ed investimenti notevoli: negli organici, nell’orchestra, nei cori, nei solisti, ecc. La sola possibilità di far esistere la musica era l’esecuzione. Perciò, per non dimenticare le composizioni meglio riuscite, era normale ricorrere al riutilizzo.

Bach e gli Oratori

Resta la complessità di queste opere. L’idea di comporre Oratori raggiunge Bach in un periodo relativamente avanzato della sua produzione, tra il 1732 e il 1735, attorno alla cinquantina d’anni, nella piena maturità, quando i rapporti con i suoi datori di lavoro – ossia le autorità civili ed ecclesiastiche di Lipsia – erano parecchio deteriorati.

Probabilmente il nostro non era persona con cui fosse facilissimo andare d’accordo. Sappiamo che tendeva ad arrabbiarsi, ma che ciò avveniva quando non era posto nelle condizioni di poter lavorare al meglio. Ritengo che le sue non fossero bizze ma legittime rimostranze, anche e giustamente, di carattere economico, per sé e per la sua numerosa famiglia. I suoi datori di lavoro hanno guardato, come spesso succede, al risparmio, ma, soprattutto, non hanno capito la grandezza del musicista che stavano impiegando.

È possibile che Bach abbia voluto conferire dunque dignità di Oratorio a composizioni sparse, alcune delle quali non recentissime, con conseguente complessità di organizzazione della partitura.

Come ho detto, nel Weihnachtsoratorium di Bach c’è la presenza del testo attinto direttamente dalla Scrittura, riportato integralmente nei passi atti a narrare gli eventi, proprio come nelle sue Passioni, secondo Matteo e secondo Giovanni, a cui si accompagnano parafrasi, citazioni, adattamenti. Abbiamo perciò qui, come appunto nelle Passioni, una voce guida, ossia quella dell’evangelista.

In questo senso è del tutto giustificato l’uso della definizione di Oratorium, poiché originariamente sinonimo di historia narrata dall’historicus: per cui l’evangelista è il testimone e il cronista veritiero. A conferma, l’evangelista si esprime col recitativo secco, col solo accompagnamento del basso continuo, innovazione, questa, a modo di sottolineatura del tono di lezione ecclesiastica ex cathedra.

Oratorio di Natale

Il nostro Oratorio è stato composto per il tempo natalizio a cavallo tra il 1734 e il 1735: in questo caso, a differenza di molti altri, non abbiamo dubbi circa la data, poiché è stata apposta di suo pugno da Bach nel manoscritto autografo.

Per l’esecuzione successiva alla prima o alle prime, come purtroppo è spesso accaduto alla musica di Johann Sebastian Bach, si è dovuto attendere più di un secolo, sino al 17 dicembre 1857. Nella circostanza la caratteristica originaria dell’Oratorio era già andata perduta: la scansione sulle sei giornate o festività è stata compattata in un solo giorno, tra l’altro precedente il Natale. Nell’arco di un secolo erano evidentemente mutate le modalità di ricezione dell’opera.

A noi oggi il Weihnachtsoratorium non appare tuttavia un raggruppamento artificioso di cantate, bensì una cantata organica suddivisa in sei parti. Lo stesso Bach ha distinto le sei tappe dell’Oratorio in una prima sezione e in una seconda sezione tra loro collegate. Perciò ha senso eseguire oggi l’opera da cima a fondo nella stessa serata, anche se il contesto storico è molto diverso da quello dell’origine.

È possibile cogliere maggiormente l’unitarietà “teologica” dell’opera, a partire dallo sviluppo della narrazione evangelica attinta dal secondo capitolo di Luca (dal versetto 1 al 21, per le Parti I-IV) e dal secondo capitolo del vangelo di Matteo (per altri 12 versetti per le Parti V-VI). L’omogeneità del materiale musicale si manifesta nella ripetizione di alcuni elementi fondanti, quali alcuni corali.

La lettura evangelica corrisponde, in buona misura, alle letture prescritte dalla liturgia nelle festività del Tempo di Natale, ma con una importante eccezione poiché, nella domenica successiva al capodanno, nella seconda di Natale, la liturgia avrebbe prescritto la narrazione della fuga in Egitto. Naturalmente questa non può “accadere” prima dell’Epifania, ossia prima della visita dei Magi: per questo motivo nell’Oratorio non ritroviamo il testo della fuga.

Al tempo di Bach, dunque, l’esecuzione dell’Oratorio era precisamente distribuita nei seguenti giorni: il giorno di Natale il 25 dicembre, il giorno di Santo Stefano il 26 dicembre, il giorno di san Giovanni apostolo il 27 dicembre, quindi il giorno della festa della circoncisione di Gesù, ossia il 1° gennaio – per noi cattolici solennità della Santissima Madre di Dio -, il giorno della domenica successiva al capodanno e il giorno dell’Epifania il 6 gennaio.

Consideriamo che al tempo di Bach in quasi ognuno di questi giorni erano previste due esecuzioni: nel giorno di Natale del 1734 la prima esecuzioni della Parte I è avvenuta, al mattino presto nella chiesa di san Nicola e al pomeriggio in quella di san Tommaso, le due chiese di Lipsia; il 26 al contrario, per la Parte II: quindi al mattino in san Tommaso e al pomeriggio in san Nicola; per fortuna il 27 le compagini hanno fatto una sola esecuzione al mattino nella chiesa di san Nicola della Parte III, ma, già a capodanno, hanno eseguito al mattino in san Tommaso e al pomeriggio in san Nicola la Parte IV, e così via. Era veramente un tempo molto faticoso – quel tempo – per i musicisti!

Alle letture dell’evangelista in recitativo si affiancano le arie, i corali, i cori, sul modello sostanziale della Lectio divina tradizionale: ossia, dopo la lettura (recitativo), la meditazione (aria), la preghiera (corale) o la preghiera condivisa (coro), perché la risposta contemplativa all’ascolto non può essere soltanto del singolo, bensì della comunità cristiana. Sommando i brani staccati che compongono l’Oratorio di Natale si arriva al numero 64: un bel numero!

Corale

Tra i corali significativo è il ricorso a quel corale che noi ora immediatamente associamo alla Passione secondo Matteo (Oratorio di Natale e Passione). Dopo la nostra introduzione, ciò non dovrebbe stupire più di tanto. Per i contemporanei di Bach, questo corale non era necessariamente individuato come il corale della Passione.

Ricordiamo il ricorso alla parodia musicale. Ricordiamo, come pure anticipato, che il tema della passione e della morte non è qui affatto fuori luogo. Tanta iconografia orientale del Natale ci propone infatti la mangiatoia a forma di bara o la grotta di Betlemme a sembianza del sepolcro di Gerusalemme.

Un altro corale che ritorna due volte, ma in maniera più prevedibile, è dall’alto dei cieli sono sceso, un corale di Lutero (qui).

Il ricorso massiccio alla parodia letteraria ha evidentemente comportato l’intervento di un librettista preparato. Non sappiamo chi sia stato il librettista dell’Oratorio di Natale, ma abbiamo buone ragioni di ritenere che si tratti del solito librettista di Bach, Henrici (Picander): suo grande collaboratore, poeta, particolarmente abile nel realizzare parodie adatte per essere musicate, poiché musicista lui stesso.

Il materiale originale da cui provengono le musiche dell’Oratorio di Natale sono cantate profane composte da Bach in circostanze celebrative dei governanti della zona. Personalmente ritengo che il doppio utilizzo – sacro e profano – delle musiche, da parte di Bach, sia stato previsto da subito e che quindi che non si sia trattato di ripensamenti successivi. In tal caso, l’impressionante corrispondenza tra il testo e la musica nel nostro Oratorio si spiega con l’abbondanza e la qualità del materiale musicale già a disposizione, in cui Bach ha potuto trascegliere le musiche più adatte allo scopo.

Generi musicali

Nell’Oratorio di Natale sono utilizzate cantate profane composte nei primi anni ’30 del secolo. Troviamo brani, ad esempio, della cantata BWV 213, Ercole al bivio, scritta per il compleanno del principe Friedrich Christian di Sassonia. Ci sono poi altre parodie, nel senso tecnico di cui ho detto: praticamente quasi tutti i brani sono parodiati, a eccezione dei corali.

Ripeto che ciò non deve fare pensare a superficialità o fretta del compositore: quando Bach non era soddisfatto del risultato musicale ottenuto, lo metteva da parte e ripartiva da capo. Ad esempio, l’aria del contralto nella Parte III del nostro Oratorio – Racchiudi, o mio cuore, questo miracolo benedetto – avrebbe dovuto andare sulla musica di un’aria della cantata BWV 215, ma Bach si accorse che quella musica non funzionava a sufficienza per quel testo, per cui scrisse una nuova aria. Non mancò tuttavia di impiegare quella stessa musica per l’aria del basso nella Parte V, Illumina i miei cupi sensi.

Risulta piuttosto evidente – in questo lavoro di Bach – la sua volontà di introdurre nuovi generi musicali: ad esempio, il recitativo accompagnato dal basso continuo in funzione di raccordo tra la Lectio dell’evangelista, l’aria del fedele orante e il corale che esprime la pietas collettiva.

Di notevole interesse innovativo sono poi alcune combinazioni tra il recitativo e il corale, come al numero 7 della Parte I e quindi ai numeri 38-40 della Parte IV, che incorniciano l’aria in eco del numero 39 (qui).

Per concludere questa breve introduzione, invito ad ascoltare il brano che apre il Weihnachtsoratorium, il più noto: Gioite, esultate! (qui), una vera esplosione di gioia festiva, tipica di Bach. Il pensiero va pure all’incipit del Magnificat bachiano nella versione BWV 243, che ha, più o meno, lo stesso organico e la stessa tonalità: la tonalità detta della regalità.

Ma la regalità del bambino che nasce – così come della Madre che lo mette alla luce – non è quella, stucchevole, che accompagna i potenti della terra: è piuttosto quella della umile grandezza, della leggerezza che abbraccia, della dolcezza che pervade.

  • Il presente testo è frutto della trascrizione – curata da Tiziana Bacchi e Giordano Cavallari – di una presentazione verbale, rivista dalla relatrice.
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