Il disagio delle esistenze ferite

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Vincent Lambert, non un caso (emblematico), non il simbolo di una contesa, non un’eccezione singolare – ma un vissuto, una storia, un magma di relazioni, il calore degli affetti, la pratica della professione medica… Un intrico, insomma; dal quale siamo voluti uscire, ancora una volta, con idee e decisioni chiare e distinte. Come se questa iperbolica lucidità, questa evidenza tagliante, fosse poi possibile quando in gioco è l’esistenza umana. E qui poco importa dove ci poniamo rispetto a quelle due uniche opzioni secche di cui sembra essere capace oggi la nostra società (e la nostra Chiesa).

Quando un essere umano diventa la sua «condizione», quando tutte le parole che ruotano intorno a lui sono fagocitate dalla contesa su di essa, allora vuol dire che abbiamo già cessato di essere umani – ben prima di ogni decisione presa in merito. Che la nostra società occidentale sia in drammatico difetto di umanesimo, è quanto Francesco non si stanca mai di ricordarci. Anzi, contro la bestia dell’inumano ha aperto una battaglia a tutto campo – attirandosi li strali irati delle potenze mondane, che alimentano quella bestia perché porta profitti incalcolabili.

Eppure, il volto della bestia è più complesso, sottile, difficile a decifrarsi. E qui sta la sua potenza. Perché il destino di Vincent Lambert non è dovuto all’inevitabilità del fato, ma a un drammatico intrecciarsi di disposizioni delle quali siamo stati pienamente signori.

I fautori dell’auto-determinazione a ogni costo, anche quello della distruzione di sé cosmetizzata come dignità del morire, si saranno probabilmente accorti (almeno si spera) del mostro che hanno creato. La rivendicazione del diritto alla «buona morte» attraverso la mano di altri, con il corollario sterminato di commi e paragrafi necessari a regolare il tutto, ha consegnato la nostra esistenza (soprattutto nella sua debolezza) al potere sovrano dello Stato.

L’auto-determinazione che diventa legge dello Stato è la cessione in toto del nostro diritto di essere uomini e donne al potere di vita e morte che è proprio dello Stato sovrano. Più etero-diretti di così non si può. Nel momento della nostra debolezza, ossia della nostra inutilità operativa nel grande sistema della società delle prestazioni, quando l’apparato essere-umano rifiuta ogni ulteriore ottimizzazione, allora non rimane che scartare dalla società il suddetto corpo estraneo. Memoria ai nostri occhi dell’insopportabile tout court per il nostro tempo.

Le esistenze ferite disturbano, mettono a disagio, non producono nulla, per questo abbiamo approntato la macchina che provvede alla loro pulita estromissione. Questo in nome della più alta signoria dell’io (autarchico e senza legami) su di sé.

Il cittadino è tornato a essere suddito remissivo della volontà suprema dello Stato, che agisce sempre secondo le sue leggi. Perché, ricordiamolo, quando un diritto diventa legge positiva esso perde la sua dimensione personale, di impegno della coscienza di tutta la comunità umana, e cade soggiogato sotto la disposizione del potere giuridico – che deciderà al nostro posto che ne sarà di noi.

Vincent Lambert è caduto al fronte in cui questa folle consegna di noi si incrocia con la macchina sacrificale del sistema tecno-finanziario. Qui nessuna pietà per l’umano: il sistema (medico, ospedaliero, etc.) deve produrre dividendi e non può perdersi dietro all’inutilità dell’esistenza singola. L’aura religiosa è completata dalla nuova casta sacerdotale che dispone sulla vita fisica dell’essere umano, quella dei medici. Come ammoniva Illich in tempi non sospetti, la produzione della società degli esperti ci ha estromesso dalle pratiche e dalle decisioni che ci riguardano più da vicino.

Lo Stato, oramai dipendente dal nuovo potere finanziario dei fondi sovrani, non ci manda più al fronte di qualsivoglia guerra per immolarci in nome della Patria. Oggi, quel fronte lo Stato lo ha portato dentro l’esistenza di ogni giorno dei suoi cittadini; e non ne avrebbe avuto la forza se non fossimo stati noi a chiederglielo in nome della tutela del diritto di scegliere sovranamente da noi su di noi. La legge che ce lo consente è la stessa che ci soggioga e dispone di noi secondo interessi che nulla hanno a che fare con la nostra storia.

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