Due viaggiatori: Abramo e Ulisse

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Il dialogo su Abramo e Ulisse che si è svolto a Camaldoli il 16 agosto 2019 tra il biblista e monaco di Bose Ludwig Monti e il teologo ed esperto di ebraismo Brunetto Salvarani trova giustamente una sua revisione e pubblicazione a favore di un pubblico più numeroso. La prefazione di Alessandro Barban (pp. 5-8), priore generale dei monaci di Camaldoli, delinea già chiaramente le linee generali delle somiglianze e delle profonde differenze tra i due viaggi e i due viaggiatori.

Nella sua relazione (“L’infinito viaggiare: Abramo, Ulisse e oltre…”, pp. 9-48) Monti analizza con profonde riflessioni lo struggente viaggio di Abramo al monte Moria con il figlio Isacco. «Va’ verso te stesso», si sente intimare nel profondo dell’animo. Egli identifica la voce di YHWH con quella della tradizione religiosa che lo circonda, che gli chiede di sacrificare il figlio della promessa, dell’avvenire, dopo aver già rinunciato al suo passato… «Camminavano tutti e due insieme», dice il testo con un’espressione mai più ripetuta in tutta la Bibbia, «per far salire lui come olocausto».

ulisse e abramoMonti amplia poi il discorso scegliendo, fra gli innumerevoli esempi biblici del tema “viaggio”, quello di YHWH che “scende” per camminare col suo popolo – nato da un arameo errante secondo il piccolo credo storico di Dt 26,5-11 , per farlo uscire fuori dalla “casa degli schiavi/della schiavitù/prigione” d’Egitto e per farlo salire nella terra promessa. (Con la straniante morte di Mosè sul monte Nebo; egli muore per obbedienza «sulla bocca di YHWH»).

Elia viaggia «al termine della notte» ritornando indietro, forse in modo non del tutto corretto, alla grotta sul monte Horeb. YHWH nutre il suo profeta “bipolare” (C. Dionisio) nel suo viaggio nell’abisso di se stesso.

Anche Gesù nei vangeli è descritto come l’uomo del cammino, accompagnato dai discepoli. Spingerà i suoi a una testimonianza che giunga ai confini del mondo intero con “la corsa della Parola” (Libro degli Atti).

Salvarani (“L’infinito viaggiare: Abramo contro Ulisse”, pp. 49-92) si pone decisamente sul versante della storia degli effetti suscitata dai due racconti fondatori della cultura dell’Occidente, la vocazione di Abramo e il viaggio di Ulisse.

«La Bibbia e Omero sono due gran fonti dello scrivere» (E. Auerbach, cit. a p. 50). Due viaggi molto diversi. Un ritorno e un chiamata, un viaggio e un esilio. Ulisse ritorna ai luoghi sicuri da dove era partito, Abramo parte verso luoghi sconosciuti. «L’uno ritorna, l’altro non cessa di camminare», annota Lévinas, citato ampiamente da Salvarani anche a conclusione del suo contributo (pp. 91-92), quale interprete più efficace del confronto tra i due viaggiatori-pellegrini.

Abramo e Ulisse sono i due archetipi dell’erranza; pur nella loro diversità essi rappresentano l’archeologia dell’immagine europea dell’uomo. Uno è l’eroe reduce da Troia, simbolo della civiltà fondata sul mare in viaggio verso la sua isola come approdo agognato; l’altro è il padre dei credenti, che insegue la terra promessa e attraversa vasti territori senza sapere nulla di dinamiche marine (così pensa B. Andreae, cit. a pp. 56-57).

Salvarani si inoltra quindi in suggestivi esempi di rilettura della figura di Arbano e di Ulisse in una storia degli effetti davvero interessante. A S. Kierkegaard di Timore e tremore, che elogia Abramo il quale crede contro ogni speranza, segue la canzone Story of Isaac di Leonard Cohen, che traccia un midrash laico su Isacco, vittima della figura violenta del padre che irrompe nella sua camera e poi incombe dall’alto con la sua figura «santa e potente» armata d’ascia che brilla come oro. Un midrash capovolto. Un mondo dominato dalla violenza. Doppio tradimento compiuto da Abramo, in un silenzio che non giustifica i suoi gesti verso Isacco, ma che anzi lo lascia nell’abbandono. Noi ora dobbiamo estinguere la violenza nel mondo, afferma Cohen. Possiamo farlo, siamo liberi di farlo, dobbiamo farlo.

Di Ulisse, Salvarani recupera la famosa rilettura di Dante nel canto XXVI dell’Inferno. L’ingannatore si trova sì nell’ottavo settore dell’ottavo girone dell’inferno, ma Dante segretamente lo ammira e non lo condanna – quasi come un suo doppio! – perché aperto a virtù e conoscenza.

Intensa la testimonianza di Primo Levi nel suo Se questo è un uomo. Nella parola scambiata rocambolescamente con un compagno di sventura recupera la propria dignità umana. Nella poesia Ulisse di U. Saba traspare non domato l’amore per la vita che spinge al largo, anche fra il dolore che l’accompagna. Lucio Dalla canta Itaca, ma ricorda anche la nostalgia dei marinai di tornare a casa, mentre il capitano scruta ancora il largo del mare. Odissea di F. Guccini canta un uomo che non cerca avventure e stimoli, ma che è incrociato da essi.

La riflessione termina con un ampio brano di Lévinas, che distingue il viaggio circolare di Ulisse che ritorna al conosciuto da quello libero e aperto al futuro di Abramo, un viaggio che è desiderio e che insegna una sconcertante verità: Dio stesso è nomade.

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