Editoria cattolica: tra racconto e divulgazione alta

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Sfide per editoria cattolica

Dopo la conclusione della Buchmesse di Francoforte A. Zaccuri su «Avvenire» notava come l’editoria religiosa italiana stesse riscoprendo la forma del racconto, da un lato, e aumentando il suo interesse per quella che potremmo chiamare una divulgazione alta, dall’altro.

In quest’ottica, il racconto potrebbe essere inteso come la forma letteraria propria alla figura teologica della testimonianza, ossia del vissuto cristiano quotidiano; forma che è, al tempo stesso, una modalità fondamentale della comunicazione comunemente umana. Ma il racconto è anche una caratteristica della Sacra Scrittura – basti pensare qui al metodo dell’esegesi narrativa, ampiamente diffuso anche in Italia, oppure alla riscoperta dell’immaginazione in teologia (su questo si potrebbe guardare al lavoro del giovane gesuita Nicolas Steeves alla Gregoriana).

Non solo la vicenda di Gesù ci è raccontata, secondo il genere del Vangelo quadriforme, che interdice in partenza la possibilità un racconto unico ed egemonico, ma Gesù stesso riprendeva e raccontava in modo nuovo storie che aveva ricevuto dalla tradizione religiosa in cui era nato e cresciuto – quella della Torah del popolo di Israele.

Oggi possiamo osservare tutta una fioritura di narrazioni a carattere religioso al di fuori del mondo ecclesiale; non si tratta di una novità, certo, ma la tendenza si fa sempre più marcata e insistente (basti pensare qui a Calasso e Carerre, tra i molti che si potrebbe citare). Come interpretare questo fenomeno? Cosa dice all’editoria e dell’editoria cattolica attuale? Vi è sicuramente l’esigenza di una ricerca di senso, quasi una sete di spiritualità o quantomeno un desiderio che la vita non si riduca unicamente al calcolo cosificante degli interessi e vantaggi materiali che si possono selvaggiamente trarre da essa.

Guardando tutte queste cose dal versante dell’editore cattolico, sono persuaso che oggi siano necessari strumenti in grado di orientare verso un’accoglienza intelligente, non difensiva e timorosa, di questa «migrazione» del religioso e dello spirituale in narrazioni non riconducibili alla matrice istituzionale di un’appartenenza di fede.

Quello di cui abbiamo bisogno, come comunità cristiana italiana, è di favorire lo sviluppo di una capacità di narrare in linguaggi nuovi il vangelo di Gesù. La cosa è sicuramente possibile, anzi addirittura riesce e appare feconda spesso – anche se questa «narrazione» contemporanea non rappresenta più l’esclusiva su cui può fare affidamento l’editoria cattolica per sostenere e dare ragione del suo impegno culturale.

Sfide editoria cattolica

Tra umanesimo e Rinascimento la Chiesa era tutt’altra cosa che un’entità monolitica e immobile. Se solo guardiamo con attenzione a questo straordinario periodo della cultura europea, possiamo vedere come allora convivessero insieme teologie, stili di vita e concezioni della Chiesa molto vari e diversificati tra loro.

Gli storici ci ricordano che il XV secolo fu un’epoca di particolare fervore religioso nella Chiesa. Durante questo periodo i laici ebbero sempre più la possibilità di ricevere una buona istruzione, che fece nascere in loro il desiderio di sermoni migliori e di una teologia che li aiutasse a condurre una vita cristiana in una stagione di profondi cambiamenti sociali, economici e politici.

Lutero potrebbe essere visto come una specifica forma di sensibilità rispetto a queste istanze del tempo, che certo ebbe l’abilità di raccogliere adeguatamente ma senza le quali qualcosa come la Riforma non sarebbe stata neanche pensabile.

Oggi viviamo un tempo di straordinaria fioritura degli studi biblici e teologici, che ha reso disponibili tanti strumenti di «divulgazione alta» in grado di aiutare i fedeli ad accostare con sapienza culturale ed evangelica i testi della Scrittura; ma anche a stabilire col testo biblico un rapporto di familiarità che nutre la preghiera personale e plasma la formazione delle coscienze.

Siamo entrati da un po’ in una stagione in un qualche modo inedita per ciò che concerne la diffusione della Bibbia e della stessa teologia. Basti pensare che molte scuole di teologia per laici hanno più studenti frequentanti delle facoltà teologiche o degli stessi ISSR. Certo, la teologia continua ad avere bisogno di essere praticata come una professione a cui la fede dedica tempo e le migliori energie di cui dispone. Ma l’alta frequenza delle scuole di teologia per laici ci dice anche di una domanda per una teologia che, senza rinunciare in nulla alla serietà della sua impresa, sappia tradursi nella forma della «divulgazione alta» a favore dell’edificazione quotidiana della fede.

È questo il livello, accanto a quello scientifico e accademico, verso cui deve andare ad attestarsi anche l’editoria cattolica; il cui compito è quello non solo di essere recettore passivo di proposte di questo profilo, ma di diventarne anche committente con una strategia mirata.

Sfide per editoria cattolicaIn un’epoca in cui il cristianesimo non si trasmette più per osmosi sociale e famigliare, ma è oramai divenuto questione di scelta personale, il senso critico della comunità cristiana non potrà che innalzarsi (o, come alternativa di comodo, fondamentalizzarsi, come dice O. Roy).

L’editoria cattolica deve concorrere a questo innalzamento di qualità e deve prendersene cura con una progettualità corrispondente.

Il tempo per passare da una comoda consuetudine di un mondo cattolico che non esiste più da tempo nel nostro paese a raccogliere le esigenze inscritte nel cristianesimo come pratica della fede scelta personalmente non è molto, anzi si fa sempre più breve. L’urgenza può fare paura e paralizzare, ma può anche generare un buon pensiero e narrazioni accattivanti.

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