Fuori dall’eresia non c’è santità

di:

barbara alberti

Un’atmosfera da fiaba avvolge la sua infanzia, trascorsa in quella stupenda fascia appenninica fra Toscana e Lazio. Quando racconta di quegli anni lontani la sua voce si increspa. Ogni volta pare non sappia decidersi se cantare la luce dei paesaggi umbri, o se cedere all’epica di un paese misterioso, circondato da mura medievali, in cui la religione era padrona.

La prima volta però, seduti nel suo accogliente pensatoio a Roma, non ebbe esitazioni. Le avevano parlato di Dio come di un poliziotto dietro la luna, per il quale tutto era peccato, anche mangiare la marmellata o guardarsi troppo allo specchio. Non dimenticava la rozza malizia dei confessori, e l’idolatria delle suore dalle quali andava a scuola, e i colpi di riga sui geloni («ma soltanto ai bambini poveri»).

Ma il vigore che l’accompagnavano in quei racconti sapeva di un profonda amarezza, di una nostalgia per un non-so-che. Ne nacque un vivo dialogo, fra colpi di fioretto e salti da balletto, da allora mai finito.

Barbari Alberti ama dirsi «eretica, ma non miscredente». Il sacro infatti è personaggio non secondario della sua narrativa. Non sappiamo però se è lei a seguire motivi cristiani o se piuttosto siano proprio essi ad inseguirla.

Secondo Maria

Alla fine di quella nostra prima conversazione mi mise nelle mani un libro e ci salutammo.

Fui così catapultato in una storia irriverente e originalissima: Vangelo secondo Maria (1979). La ragazza di Nazareth ha lì un animo indomito, fiero, curioso, amante della conoscenza, della propria autonomia, della libertà. Lotta senza tregua contro un destino non cercato. È come se la scrittrice trentaseienne non faccia altro che rileggere la vicenda di Maria non a partire dal fiat, ma da quella enigmatico verso di Luca: «L’Altissimo ti coprirà con la sua ombra» (Lc 1,35). Questa ombra dell’Onnipotente si allunga su tutto il racconto, piomba d’un colpo come una cappa infernale, toglie il respiro. È facile immaginare a quale esito ardito possa condurre questa lettura in controluce. L’epilogo pare una messa in scena di quella celebre sentenza di Nietzsche, dirompente in Italia dopo il Sessantotto.

In tutta risposta tirai fuori dal mio arsenale un altro testo, un controcanto a quella novella e lo infilai nella sua buca delle lettere: Maria, donna dei nostri giorni. Anche lì la giovane di Nazareth salta fuori dalla nicchia, nella quale per troppo è stata relegata. E sogna, canta, danza, corre, vola: incarna una libertà che è molto più che libero arbitrio.

Non sarebbe possibile raccontare per filo e per segno ciò poi che ne seguì. Certo Barbara fu toccata dal racconto di Antonio Bello. E sulle sue labbra quelle pagine tornarono a vivere con quel colore che solo la sua voce potrebbe darle. Mi disse perfino di averlo citato in una conferenza in Puglia, restando sorpresa del consenso che lì godeva quel Bello, prima a lei sconosciuto.

Fuori dal coro

Una donna come lei non si può archiviare in categorie preconcette. Il suo ottimismo estroverso cela bene un fondo di malinconia; il desiderio di esultanza della sua anima si accompagna come ad un tormento segreto; la facilità nell’esprimere le sue opinioni in televisione tradisce una cultura imponente; il suo sguardo benevolo appartiene ad occhi che hanno visto troppo.

Nell’alchimia fra questi accenti ciò che prevale all’esterno è forse solo il suo gusto per la provocazione. La sua voce è sempre fuori dal coro. Non che questo poi non abbia un prezzo, come sa bene chi conosce le leggi della critica letteraria. Strano però che non ci si sia ancora resi conto che non si tratti di un vezzo, del partito preso del bastiancontrario.

Ama sì il verso del libro, l’altro lato del velo, il rovescio del tappeto. Ma la provocazione per lei è solo il veicolo per una maggiore libertà. Libertà per ognuno, fosse anche quella di un bimbo non ancora nato. È per questo che amo vederla a volte come una sacerdotessa laica, beffardamente evangelica.

Diversamente non potremmo spiegarci come proprio l’autrice del Vangelo secondo Maria abbia poi scritto: Non mi vendere, mamma! (2016). Una fiaba magnifica, scritta tutta d’un fiato, in un momento in cui in Italia si imponeva il dibattito sull’utero in affitto. La riedizione di un’altra schiavitù, il trionfo del ricco sul povero, una raffinata sopraffazione sulla donna e sul nascituro.

Fratello Francesco, sorella Chiara

Da una scrittrice così possiamo aspettarci davvero di tutto. Devo dire però che persino per me è stato un vero colpo di scena quanto è accaduto nell’ultimo anno. Il direttore dell’Osservatore romano ha infatti proposto alla scrittrice un’imprevedibile collaborazione.

Così a partire dal 7 agosto 2017 l’Osservatore ha pubblicato in più puntante il suo romanzo: Fratello Francesco, sorella Chiara[1]. Una vera rivelazione. Ne ho letti molti di racconti sul patrono d’Italia, mai uno così. C’è da pensare che ora le case editrici faranno a gara per accaparrarsi un tale gioiello. È come se i dipinti di Giotto iniziassero a parlare; come se le Fonti francescane rivestissero d’un colpo una forma romanza. Folate d’aria fresca da ogni pagina. Una leggerezza che sa di santità. L’incanto di un mondo possibile e non di un’isola che non c’è. L’eco delle risate del giullare di Dio, la sua passione per ogni creatura; un amore di cristallo fra lui e Chiara; la sovrana noncuranza nei confronti del male, della sofferenza; la spensieratezza con cui si beffa dei demoni bricconi.

I lettori saranno grati alla Alberti per aver reso l’umanità più bella dopo questo libro, per aver incoraggiato la «perfetta letizia».

La sua penna ha dunque raggiunto il vertice di quella leggerezza tanto cara a Calvino. Un’opera così non può che essere ispirata, ricompensa all’artigiano che a lungo ha sudato. A me pare che in queste pagine la scrittrice umbra abbia trovato finalmente il proprio destino. Al compiersi del suo 75 compleanno è dunque lei a porgerci un regalo. Così per vincere l’imbarazzo, dal momento che è lei la festeggiata, le offro una sentenza (non poco provocatoria) tratta proprio dall’esergo di quel libro donatomi anni fa: cara Barbara: «Fuori dall’eresia non c’è santità».

gianluca de candiaGianluca De Candia è Privatdozent presso il Dipartimento di questioni filosofiche fondamentali della teologia dell’Università di Münster e collaboratore del direttore del Dipartimento prof. Klaus Müller. Oltre a una serie di ritratti biblici, ha pubblicato su Settimana News gli articoli Il “catechismo” di Donald Trump (2 giugno 2017); Individualisticamente democratico (7 giugno 2017); Terza Repubblica o il «terzo regno» (5 giugno 2018).

 


[1] http://www.osservatoreromano.va/it/news/libera-di-sentire-il-divino

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