Galantino: Nel cuore della vita

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recensione

Il principio che indirizza la storia a partire dalla Modernità non è più l’epimeteica Provvidenza, ma il prometeico Progresso. Il modello culturale prevalente si traduce oggi, sul piano filosofico, nel soggettivismo radicale per poi sfociare a livello esistenziale nell’individualismo libertario (cf. N. Galantino, Sulla via della persona. La riflessione sull’uomo: storia, epistemologia, figure e percorsi, San Paolo, Cinisello Balsamo 2006, pp. 90-109).

Tale situazione ha portato con sé non solo l’affrancamento degli uomini e delle donne, ma anche moderni organismi di schiavitù legati al tramonto di tutti i valori e ad un esacerbato nichilismo che ha innalzato l’uomo nella sua autarchia, disancorandolo da ogni forma di relazione. Si è tratteggiato un soggetto umano senza volto, afono, impersonale, che non conosce il patire, né vive le tragedie e le fragilità dell’esistere.

In tale contesto si avverte non tanto la dimenticanza dell’essere, come amava sottolineare Heidegger, ma quella del “tu” o meglio del “noi”, direbbe Nunzio Galantino, il filosofo che più di ogni altro ha valorizzato il lascito della tradizione neo-ebraica.

E, se l’uomo vive nel dirupo emozionale dell’auto-solipsismo dell’io, la parola degenera spiritualmente, frantumando i fondamenti stessi della vita, che assume quel connotato di disperazione che non può che finire con l’eclissi esistenziale.

Si assiste – secondo Galantino – all’innestarsi «di uno stato d’animo e situazione emotiva dal forte carattere pervasivo e penetrante che coincide con una mancanza di attesa e con l’assenza di progetti da realizzare. […] Viene meno, insomma la «dimensione del futuro» (p. 243). E dove c’è anemia di futuro «l’ospite inquietante» – il nichilismo, secondo la definizione del filosofo Galimberti – non si attarda a fare la sua comparsa.

Per contrastare la deriva anti-umanistica del secolo scorso che ha reso l’uomo un “frammento della natura”, del tutto spersonalizzato e sprovvisto di ogni reminiscenza storica e, parimenti, oggetto manipolabile dalle escogitazioni della tecnologia e dell’ingegneria genetica, ha preso le mosse quella linea di pensiero denominata personalismo comunitario che, insieme al pensiero di ispirazione neo-ebraico, non accettando l’oblio della questione Persona, ha dato vita ad una sorta di “svolta antropologica” concentrata a recuperare teoreticamente quelle categorie di pensiero personali – relazione e reciprocità – che contribuiscono a superare le varie forme di anti-umanesimo contemporaneo e a rispondere di più e meglio alla domanda: “chi è l’uomo?”.

Molte e importanti sono state le voci che hanno dato corpo a questa “svolta antropologica”. Fra queste voci spicca quella di Nunzio Galantino che – sul tema dell’antropologia – ha offerto apporti apprezzabili, Dire “Uomo” oggi. Nuove vie dell’antropologia filosofica e Sulla via della persona. La riflessione sull’uomo: storia, epistemologia, figure e percorsi, che possono essere considerati due “classici” dell’antropologia personalista italiana.

Oggi, lo scenario nichilista, che la pandemia ripropone come localizzazione del tipo secondario – per dirla con l’idioma degli oncologi – degli esiti citostatici della tarda Modernità, sembrerebbe infiltrare anche l’epitelio cellulare dei nostri giorni che, a causa del contagio, ha reso tetraplegiche le relazioni, sta logorando come un acido il legame sociale, assottigliando, in tal senso, l’armonia della comunità. Citando le parole di Elias Canetti, autore caro a Nunzio Galantino, si afferma che la paura del «contagio, […], fa sì che gli uomini si isolino gli uni dagli altri» (E. Canetti, Massa e potere, Adelphi, Milano 1981, 331).

Pertanto, in un contesto segnato dall’emergenza sanitaria, non stupisce il fatto che il pensatore di Cerignola, che si è sempre posto nella posizione di essere responsabile del proprio tempo, ispirando la pratica quotidiana dell’impegno di chi ha a cuore il bene dell’uomo e della società, si sia concentrato sulla ricerca degli “anticorpi” necessari per il recupero dell’autenticità dell’uomo e il rilancio di idee per prenderci cura del mondo, «riportandoci nel cuore della vita e contribuendo a farci scoprire chi siamo, ma soprattutto chi potremmo essere e chi vogliamo ancora diventare» (p. 19). Infatti, nonostante i riduzionismi antropologici, il pensare filosoficamente strutturato vive come forza di opposizioni, a tutela della persona e delle sue libertà. Galantino non demonizza la turbolenza dell’acquiescenza acritica del presente, anzi «il paradigma della complessità sfida l’intelligenza e accresce il senso di responsabilità» (p. 130).

Nel cuore della vita, Idee per prendersi cura del mondo – che lo storico del cristianesimo Andrea Riccardi non esita, nella pregiatissima Prefazione, a definire «un breviario di umanesimo quotidiano» (p. 9) e don Luigi Ciotti nella puntuale Postfazione «un prezioso vademecum […] una guida per trasformare questo tem­po segnato da incertezza, dolore e morte in un’alba di speranza» (p. 276) –, l’accademico emerito di Posillipo ci offre le coordinate epistemiche per costruire una nuova fenomenologia dell’umano che, a partire dalla relazione, interpreta gli altri come «un’umanità che spesso in­vade spazi, ma che sempre vuole condividere un desti­no, attraverso incontri che trasformano gente scono­sciuta in “prossimo”» (p. 23).

Per Galantino, il volto dell’altro è carico di un appello alla libertà personale. Accedere al rapporto con l’altro porta alla consapevolezza che, senza l’altro, il profilo dell’io è sfuggente, sommario, destinato a un disorientamento della sua tipicità.

Il testo, che già nel titolo ne compendia il messaggio, articolato in nuclei tematici, si pone come «luogo di incontro» di diversi «orientamenti e sensibilità», ma, prima di tutto, di diverse discipline e quindi di statuti epistemologici. Antropologia, filosofia, teologia, sociologia, pedagogia e letteratura sono tenute insieme, in un percorso che distingue per unire: con tutti i rischi dei dialoghi interdisciplinari, ma con tutto il fascino e la consapevolezza di una scommessa da giocare e da vincere.

Il tentativo di Galantino, dunque, è quello di comprendere l’uomo e il suo destino disegnando «un itinerario in sei tappe che non può essere percorso in solitaria» (p. 20). L’uomo è colui che costitutivamente si trascende per incontrare l’altro, partecipando così all’essere altrui senza annientarlo, in una relazione costruttiva e propositiva che Galantino, riecheggiando Buber (e forse anche Mounier), non esita a chiamare agapica.

Non è un caso che il «viaggio intorno all’uomo, segnato da parole chiave» (p. 20) è approcciato con le coordinate ermeneutiche dell’antropologia filosofica, ben individuate ed esplicitate, al fine di evitare il più possibile bizzarrie interpretative nel penetrare quel filo rosso che tesse l’ordito di una trama inevitabilmente complessa.

Dice bene Andrea Riccardi nella Prefazione: «In queste pagine non si trova un credente inchiodato sui princìpi […] ma l’uomo interrogato dalla vita e l’intellettuale in ricerca» (p. 9) che, «come mendicante in cerca di scintille di senso» (p. 224), vive «la prossimità, allarga gli orizzonti, crea situazioni nuove e relazioni impreviste» (p. 27).

La mendicanza, dunque, per Galantino è metafora di vita. In questa ottica l’attenzione alla storia risulta fondamentale se si vuole comprendere in profondità Nel cuore della vita, che non si origina in modo asettico ma da un confronto critico e responsabile con le sfide poste dal suo tempo: «Non c’è persona dove manca l’impegno a prendersi cura del mondo» (p. 20).

La fedeltà alla terra – per dirla con Dietrich Bonhoeffer di cui Galantino raccoglie l’eredità, i riferimenti al teologo luterano tedesco sono ciclici nelle sue opere fin dalla prima giovinezza – e la riconquista del mondo richiedono, dunque, una metamorfosi dello spirito, che è possibile facendo i conti con i nostri limiti e recuperando il senso delle parole per accompagnare la trasformazione dell’archetipo antropologico da unicità irrelata a struttura dialogale.

La “parola” così come il “limite” per Galantino possiedono essenza antropologica: l’enigma uomo è congiunto al mistero della parola: «l’uomo è l’essere che parla in una natura silente».

«Ogni vita reale è incontro» (cf. M. Buber, Io e Tu, in Il principio dialogico e altri saggi, San Paolo, Cinisello Balsamo, Milano 1993, 67) e l’incontro accade nella parola. Ciò implica il dissequestro della Parola da codificazioni segnate dall’indigenza della banalizzazione, che non di rado nella contemporaneità rasenta – dice Galantino – quella «sciatteria» (p. 267) che «rispecchia un vuoto o un malessere interiore» (p. 267), al fine di poter abitare in modo più consapevole il destino della nostra esistenza e vivere in pienezza di apertura la nostra identità.

Non è un caso, quindi, che alla valenza dialogica della Parola e alla presa d’atto del proprio limite come «opportunità di crescita» (p. 231), cioè come spazio e apertura verso il futuro, l’autore dedichi nuclei tematici a parte.

Per questo l’opzione ermeneutico-fenomenologica che fa da nota sottostante alle diverse aree del volume impone che la giustificazione della verità dell’uomo assuma come punto di partenza l’esperienza che lui stesso definisce «un sapere vitale e concreto» (p. 138). Un metodo, il suo, di rosminiana memoria – non dimentichiamo che Galantino è tra i più accreditati interpreti contemporanei del roveretano –, che parte dalla soggettivi­tà e dalla coscienza, quindi dall’immanenza, ma senza ri­solversi in essa, anzi scoprendovi dentro un principio og­gettivo e trascendente, l’idea dell’essere, forma della ra­gione e causa formale della conoscenza. In lui vi sono risposte o accenni o riscontri a tutte le istanze della contem­poraneità.

Per cui l’impianto dell’intero volume non nasconde «la pretesa, che per certi versi è anche l’obiettivo», di rivolgersi alla cura dell’uomo, per toglierlo dal vuoto speculativo e dal mutismo esistenziale, indicandogli la via per vivere una nuova ipotesi di umanità.

Da questa proposta possono nascere nuovi germi di speranza con l’obiettivo di rifondare eticamente ogni forma dell’agire umano, politico e sociale, considerato che l’unica via da percorrere, se si vuole uscire da questo tunnel, è la risignificazione cristiana della persona, poiché – secondo l’antropologo pugliese – è a partire da come pensiamo la persona umana e il modo in cui dovrebbe vivere che costruiamo, per quanto ci è possibile, un certo tipo di società e di esistenza individuale.

In un tempo in cui ogni assoluto appare relativizzato, ogni verità frastagliata e il futuro sembra buono perché nuovo, anche là dove è effimero, scorrere le pagine di Nel cuore della vita significa tornare ad un nuovo inizio del pensiero, che vede l’uomo restituito alla sua dignità di persona, quindi, non più prevaricabile da alcuna altra forma ideologica e idolatrica.

Il saggio, abbozzando significativi prolegomeni per un’antropologia, che definirei un «vocabolario per la vita», non è una lezione che termina senza domande. Esso non si limita ad esporre un determinato contenuto, proferito in modo unilaterale, senza attendere alle reazioni che suscita.

È un testo che recepisce e include nel proprio bagaglio tutta una serie di questioni che riceve per contagio dalla realtà verso la quale si proietta. Da qui, si desume che il suo discorso non è mai astratto né disincarnato, ma sempre diretto verso l’uomo, motivo predominante di ogni sua riflessione.

In sintesi, un discorso serio ma argomentato con agilità linguistica: che sa catturare lettori e ammiratori a livelli disparati del mondo culturale. Anche in questo, Galantino è un campione: sa coniugare la serietà speculativa con la varietà scorrevole di una proposta divulgativa. Ne è un indice eloquente l’abbondante bibliografia ricca nei concetti e nei percorsi tracciati, oltre che sempre rilucente allo specchio di un pensiero abbiente di brio e di profondità.

  • NUNZIO GALANTINO, Nel cuore della vita. Idee per prendersi cura del mondo, Prefazione di Andrea Riccardi, Postfazione di Luigi Ciotti, ed. Solferino, Milano 2021, pp. 304, € 17,50, EAN: 9788828206019.
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