Globalizzazione comunque?

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Globalizzazione, parola magica?

La mondializzazione non è nata oggi: storicamente è possibile scorgere non solo tracce ma forme già date di essa: gli esempi sono l’immenso territorio politico costruito da Alessandro Magno; secoli dopo, lo stesso Impero romano e, in tempi più ravvicinati, le esplorazioni e i commerci transnazionali del XVI sec., il fenomeno della colonizzazione nel tardo Ottocento…

Tra gli anni ’80 e ’90 del Novecento si diffonde il termine globalizzazione che esprime il modo nel quale si configurano gli sviluppi della mondializzazione, soprattutto a causa dell’enorme sviluppo e della vastissima diffusione delle nuove tecnologie.

Ormai è chiaro: la globalizzazione è un processo che non conosce limitazioni: infatti interessa tutto il mondo (mondializzazione), tutto il pianeta (planetarizzazione), l’intera umanità (universalizzazione). Le sue due spinte maggiori sono, da una parte, il mercato, l’economia, il sistema finanziario e, dall’altra, le nuove tecnologie della comunicazione, cioè l’informatizzazione della società

Il dibattito non si chiuda

Il dibattito sulla globalizzazione è diramato in tante direzioni (anzitutto quella commerciale ed economico-finanziaria;[1] ma non vanno trascurate le dimensioni antropologica, culturale, pedagogica culturale).[2] E, come negli anni ’60 era stata l’idea di “modernizzazione” ad acquistare il primato all’interno delle scienze sociali, così oggi è la nozione di “globalizzazione” a costituire il cantus firmus dei nostri giorni.[3]

La globalizzazione, nella sua realizzazione di fatto, si presenta prevalentemente come la forma assunta dal capitalismo per controllare il mercato e le risorse disponibili e per ottenere profitti su scala mondiale. Essa si basa su una potente coesione fra strati sociali e gruppi di potere privilegiati che sfruttano per il proprio interesse principi di pianificazione, coordinamento, centralizzazione e autorità.

L’ideologia della concorrenza e del libero mercato mira ad aumentare l’esercitabilità del potere sui cittadini e i lavoratori e per potersi inserire senza freni “burocratici” nelle plaghe deboli del sistema mondiale.

Un altro vistoso segno del processo di globalizzazione è dato dalla costante tensione fra le dissonanze d’ogni tipo che si scontrano al suo interno, fra le quali predomina quella tra opzione globalista e quella scettica, fra tendenza globalista ed esigenza di radicamento locale,[4] tra legge globale e ordini locali.[5]

Oggi si usa il neologismo glocal e “glocalizzazione” per declinare insieme l’istanza del globalismo con l’istanza del localismo sia in educazione sia nella progettualità politica.[6]

In campo educativo, aspetto da privilegiare sempre, parlando della globalizzazione, dei suoi rischi e delle sue virtualità, si ha una sintesi felice con l’espressione local education. Infatti non ha più senso mettere in contrapposizione le due tendenze, perché entrambe contengono elementi di verità.

Ma non sono la complessità, l’inarrestabilità, la velocità, l’incontrollabilità, gli equivoci che mostra e fa sospettare, le virtualità che possiede ad esigere che questo fenomeno epocale sia controllato da una costante riflessione critica, al fine di non perdere le opportunità che promette e le nuove ingiustizie che non risparmia?

Distinguere mondializzazione e globalizzazione

Oggi il fenomeno storico di amplissima portata è un altro e avviene non tanto per vie politiche: è la globalizzazione, una parola che significa anche mondializzazione: sono due termini che, soprattutto in contesto linguistico francese, e spesso, anche in altri contesti, è difficile perfino distinguerli.

La mondializzazione, invece, è il processo crescente dell’intreccio di molteplici fili forti (desideri, progetti, interessi di diverso nome e segno) che legano i soggetti umani, sociali, i popoli, gli Stati considerati all’interno del loro convivere universale. Essa perciò va distinta dalla globalizzazione, che è monotona nel suo costituirsi e nel suo operare dal momento che questa è connotata ossessivamente dalla dimensione economica e finanziaria.[7]

Oggi soprattutto è il caso che i cristiani sappiano marcare la distinzione tra globalizzazione e mondializzazione perché il loro ideale universalistico è più vicino al movimento di mondializzazione.

Fra l’altro, quella distinzione fu operata perché aiuta a decifrare e a comprendere l’attuale ora storica. Infatti, «la mondializzazione, come effettiva realizzazione della mondialità in quanto apertura non pregiudicata dell’umano all’essere-nel-mondo che lo costituisce, potrebbe avere un volto altro o diverso da quello che le è stato impresso dalla globalizzazione o dalla valenza economicistica che ipoteca quest’ultima».[8]

Parole e prospettive che s’accompagnano alla mondializzazione sono internazionalizzazione e interdipendenza, che uniscono all’opera di diffusione e dello scambio dei prodotti un importante «radicamento territoriale»: «In tale quadro non sarebbero impensabili disegni di governance cosmopolitica in una ipotetica comunità di nazioni guidata da principi di giustizia tra i popoli».[9]


[1] Va ricordato che «la spinta alla globalizzazione inizia i primi anni del dopoguerra con l’eliminazione di divieti, di contingentamenti e limiti quantitativi, con l’abbassamento o l’eliminazione di tariffe doganali negli scambi internazionali per i prodotti dell’industria» (A. Fazio, Globalizzazione. Politica economica e Dottrina sociale, Tau Editrice, Todi (PG) 2008, p. 55.
[2] D. Held – A. McGrew, Globalismo e antiglobalismo, Il Mulino, Bologna 2001, pp. 7-12.
[3] D. Held – A. McGrew, Globalismo e antiglobalismo, p. 7.
[4] Cf. D. Held – A. McGrew, Globalismo e antiglobalismo, pp. 97-104.
[5] Cf. Z. Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 113-140.
[6] Cf. S. Latouche, Glocalizzazione, San Paolo, Milano 1999.
[7] Questo aspetto è costantemente notato da tutti i commentatori della globalizzazione.
[8] F. Totaro, Convertire la globalizzazione in una virtuosa mondializzazione, in Servizio Nazionale per il Progetto Culturale della CEI, Processi di mondializzazione. Opportunità per i cattolici italiani. XI Forum del Progetto Culturale (= Processi di mondializzazione), Dehoniane, Bologna 2013, p. 107.
[9] F. Totaro, Convertire la globalizzazione in una virtuosa mondializzazione, in Processi di mondializzazione. Opportunità per i cattolici italiani, p. 108.

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