L’arte, il brivido del sacro e gli affari

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Il 15 novembre scorso il dipinto Salvator Mundi, attribuito a Leonardo, è stato venduto alla stratosferica cifra di 450 milioni di dollari. Il compratore è il principe saudita Bader bin Abdullah Mohammed bin Farhan al-Saud che ha promesso di esporre l’opera nel nuovo museo del Louvre ad Abu Dhabi.

Leonardo da Vinci è diventato il Nostradamus del semioccultismo che ormai affiora indissociabilmente legato alle questioni di cultura artistica. L’ultima pazzesca vendita all’asta del Salvator Mundi, un’icona di Cristo del tardo Quattrocento che quattro studiosi hanno voluto attribuire al genio toscano (come usa dire in culturalese corrente) e che, sulla fiducia, ha fatto sborsare a un’asta battuta da Christie’s la cifra strabiliante di 450 milioni di dollari, non fa che dimostrarlo. Seppure indirettamente.

La gente non compra quadri solo per amore dell’arte. Ma perché certi acquisti si rivelano un affare. Ma anche i grandi affari hanno bisogno di quella bolla auratica che fa di un oggetto un feticcio senza prezzo. Nemmeno troppo considerato fino al primo novecento, anzi relegato in quel realismo di talento che era il lato oscuro dell’apollinea idealità dell’arte classica, Leonardo è una riscoperta tutto sommato recente, portata a livello di religione popolare dalla bravata del furto al Louvre agli inizi del secolo scorso.

Da allora la Gioconda è diventata il quadro più famoso del mondo e Monna Lisa il soggetto più chiacchierato del pianeta. Intrisa della sua congenita androginia essa ha cominciato ad attrarre le speculazioni di misterologi e enigmisti di ogni genere, fino alla fanfaronata letteraria di Dan Brown, che ha diffuso presso il senso comune questo occultismo per intenditori, trasformandolo in quella passione fantastorica per la quale nessuna pubblicazione su figure di grandi artisti destinata al largo pubblico può ormai evitare di avere nel titolo o nel sottotitolo la parola “segreto”.

La narrazione dell’arte è oggi soprattutto rivelazione del mai detto, svelamento dell’occultato, scoprimento dell’insaputo, serpeggiante quella densa dietrologia che al giorno d’oggi, in modo più o meno interessato, i fabbricanti mediali del prodotto culturale insinuano a bella posta su qualsiasi racconto tradizionale dato per assodato. Se a sfondo religioso, meglio ancora.

Il sottotitolo più politicamente corretto dell’epoca deve sempre promettere “tutto quello che non vi hanno mai detto su”. Verità alternative, scenari insospettabili, storie nascoste che tornano alla luce, un’inclinazione generale verso la scoperta di evidenze passate e nascoste contro la sospetta consuetudine del sapere ricevuto. Tutto ammantato di un indeterminato e inconfessato sapore paranormale che sembra presentarsi come l’ultima frontiera, estetica e semicolta, di ineliminabili bisogni spirituali.

Il brivido del sacro sorge oggi nella ricerca del nascosto. L’ultima scoperta nel merito è quella di un sedicente ricercatore che, in rete, annuncia di aver scoperto uno strano oggetto che si formerebbe nel dipinto della Gioconda se i due lati opposti venissero accostati, come se Leonardo avesse dipinto l’opera avvolgendola su una colonna cilindrica facendone una superficie continua. Questo oggetto misterioso (un’urna? un vaso? una teca?) spiegherebbe le origini del famoso ritratto.

Irrisa sulla rete, la formulazione di questa ipotesi è una delle tante che infoltiscono la pratica dell’indagine devota di cui è oggi oggetto il patrimonio artistico, specie quello circonfuso di proiezioni misteriche. Solo un clima di questo genere può fare in modo che il rinvenimento, da un oscuro deposito e da una bancarella di paese, di un Leonardo autentico sia anzitutto un desiderio, un’aspettativa, una speranza, il nascosto anelito a un miracolo che tutti accolgono con fede quasi cieca e attraversati da un brivido di sensazione e meraviglia. Su premesse così solide si possono fare grandi affari. Che quello sia o non sia Leonardo.

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