A New York una firma per la Terra e l’umanità

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175 Paesi hanno firmato l’Accordo raggiunto a Parigi a dicembre 2015 in occasione di COP 21. Firma non è ancora ratifica, ai sensi del diritto internazionale, ma è comunque un passo vincolante: chi firma si impegna a non agire in maniera contraria. Un evento che questa volta nessuno ha timore a definire storico. A detta degli osservatori internazionali, mai un trattato aveva raggiunto un così ampio consenso, mentre, per quanto riguarda i risultati a dir poco deludenti delle precedenti conferenze sul clima, neppure a Kyoto (l’incontro più concreto) il risultato poteva definirsi globale.

Nella data oltremodo significativa dell’Earth Day – la Giornata della Terra istituita e celebrata in tutto il mondo a partire dal 1970, su proposta del senatore americano Gaylord Nelson – il 22 aprile rappresenta una tappa che potrebbe davvero cambiare finalmente le cose a livello mondiale.

«Oggi qui dentro battiamo un record, ma là fuori la natura ne sta battendo altri» ha detto il segretario generale dell’ONU Ban-ki Moon, che non nasconde la sua soddisfazione per un risultato che insegue da anni e per il quale si è speso con tutte le sue forze. Sempre con un obiettivo a respiro mondiale, così lontano dall’occhio strabico di quanti si preoccupano solo dell’orto di casa propria dimenticando che la terra, mare e atmosfera sono di tutti e soprattutto un tutt’uno: non esiste più il mio e il tuo, solo il nostro.

Di grande impatto anche l’immagine del segretario di Stato americano John Kerry (già partecipante da giovane senatore nel 1992 alla Conferenza di Rio, quindi non uno dell’ultima ora) che ha firmato con la sua nipotina in braccio e diversi osservatori hanno ricordato quella frase che attraversa tutta l’enciclica di papa Francesco «Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?» (LS 160).

Una domanda ben presente a livello di leader religiosi a livello più ampio, a partire già dalla 1a Assemblea ecumenica di Basilea (1989 dove da parte ortodossa era stata lanciata l’idea di proclamare il 1° settembre Giornata del creato), ma che da troppi cattolici di casa nostra è stato per anni ampiamente sottovalutato.

Dopo un intervento congiunto dell’autunno scorso, alla vigilia dell’apertura della Conferenza di Parigi, ancora una volta i rappresentati delle religioni hanno voluto esprimere le attese delle comunità riconoscendo l’urgenza di assicurare misure adeguate a far fronte ai cambiamenti climatici in atto. Sono 270 i leader religiosi che hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta in vista della firma al Palazzo di vetro: tra questi il segretario del Consiglio ecumenico delle chiese Olav Fykse Tveit, l’arcivescovo Desmond Tutu, il cancelliere della Pontificia accademia delle scienze Marcelo Sánchez Sorondo, il rabbino capo di Haifa Shear Yashuv Cohen, il Dalai Lama.

«La cura della Terra è una nostra responsabilità condivisa. Ciascuno di noi ha una “responsabilità morale ad agire” così come ha espresso con efficacia anche l’enciclica del papa» si legge nel testo.

«Il pianeta ha già superato il livello di guardia dei gas serra in atmosfera. A meno che questi livelli non vengano rapidamente ridotti rischiamo di creare impatti irreversibili mettendo centinaia di milioni di vite, di tutte le specie, severamente a rischio. Le sfide che ci stanno davanti richiedono onestà e coraggio e noi tutti dobbiamo attivarci per ridurre le emissioni.

L’umanità è ad un cruciale punto di svolta. Noi come comunità di fede riconosciamo di dover iniziare una transizione dalle inquinanti energie fossili alle pulite risorse rinnovabili. È chiaro che per molte persone questo implica cambiamenti significativi negli stili di vita. Dobbiamo batterci per alternative alla cultura del consumismo così distruttiva per noi e per il nostro pianeta».

I leader religiosi sottolineano altresì come «la collaborazione globale tra tutte le nazioni è la prova che i nostri valori condivisi sono di gran lunga maggiori delle differenze che ci dividono. Ciò dimostra che il senso della responsabilità collettiva condiviso da tutte le nazioni e le società è più potente dell’incoscienza e della avidità di pochi».

Per questo ricordano come a questo punto si renda sempre più necessario innanzitutto ratificare a livello di singoli governi l’Accordo firmato, poi adottare politiche adeguate volte ad una trasformazione dell’economia e delle modalità di approvvigionamento energetico in direzione di una progressiva decarbonizzazione, e infine promuovere un’effettiva solidarietà con le popolazioni più danneggiate dal cambiamento climatico.

Ma soprattutto ribadiscono l’urgenza di cambiare i nostri stili di vita occidentali in direzione di un’autentica «conversione ecologica»: «Il cambiamento climatico rappresenta per tutta la famiglia umana l’opportunità di intraprendere un cammino di rinnovamento spirituale caratterizzato da una più profonda consapevolezza e una maggiore capacità da azione ecologica. Ogni atto di protezione e cura di tutti i viventi connette gli uni agli altri approfondendo la dimensione spirituale delle nostre vite. Dobbiamo riflettere sulla vera natura delle nostre interdipendenze sulla Terra. Essa non è una risorsa da sfruttare come vogliamo. Essa è una eredità sacra e una cassa preziosa che dobbiamo proteggere».

Quasi l’eco delle parole della Laudato si’: «Desidero proporre ai cristiani – scrive Francesco – alcune linee di spiritualità ecologica che nascono dalle convinzioni della nostra fede, perché ciò che il Vangelo ci insegna ha conseguenze sul nostro modo di pensare, di sentire e di vivere. Non si tratta tanto di parlare di idee, quanto soprattutto delle motivazioni che derivano dalla spiritualità al fine di alimentare una passione per la cura del mondo. Infatti, non sarà possibile impegnarsi in cose grandi soltanto con delle dottrine, senza una mistica che ci animi, senza “qualche movente interiore che dà impulso, motiva, incoraggia e dà senso all’azione personale e comunitaria”» (LS 216).

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