“Pachamama”: ignoranti e arroganti

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Un vecchio prete salesiano, in una missione vicino a Riobamba in Ecuador, ogni tanto mi citava qualche frase in quechua. Suoni incomprensibili perché – come lui spiegava – i dialetti degli indigeni utilizzano poche parole che assumono significati diversi a seconda dei contesti.

Vita da indigeni

Esistono ancora piccoli nuclei di indigeni non meticciati: abitano nelle vaste pendici delle Ande. Vivono in piccole case sparse, coltivano il mais, si nutrono di cuyes (porcellini d’India), che amano il caldo delle cucine (stanze affumicate, senza camino).

Uno dei luoghi caratteristici della zona che conosco è il mercato del giovedì di Guamote, cittadina nei pressi del vulcano Chimborazo. Unico per la vendita degli animali e dei frutti dei campi: vestiti, cibo, linguaggi, modi di comportarsi ricordano tradizioni andine molto antiche.

Al nord del paese, altri ceppi indigeni sono diversi: Otavallo ne è il centro. Gli uomini, molto eleganti, commerciano tessuti; capelli neri e lunghi, particolari i cappellini delle donne, indispensabili per proteggersi dai raggi violetti che a certe altitudini sono pericolosi.

Infine, gruppi più poveri allevano tra i duemila e i tremila metri animali dalla lana preziosa: il lama, l’apaca, la vigogna.

Il vescovo Corral, di Riobamba, ha costruito in città un ospedale andino, dove, a fianco di procedure e interventi della medicina classica, si usano metodi e cure “andine”. Per un periodo di tempo furono attivate farmacie rurali, offrendo sia farmaci internazionali sia pozioni indigene.

La storia dice che le origini e i costumi attuali degli indigeni si rifà alla cultura Inca, anche se con diverse evoluzioni in Perù, Bolivia, Ecuador: cultura fiorente prima della colonizzazione spagnola.

La “Pachamama”

È facile incontrare reperti archeologici di mille e cinquecento anni prima di Cristo, raffiguranti statuette, animali, ciotole, vasi, volti dai tratti della tradizione Inca. In genere, sono recuperati presso tombe e luoghi sacri dove si svolgevano riti e impetrazioni per la protezione divina.

Tra queste la Pachamama, una donna incinta, è il simbolo della fertilità, espressione della madre terra: una tradizione che inneggia e richiede la fertilità della terra. In alcune circostanze si celebrano riti ai quali nessun occidentale è ammesso, anche per l’utilizzo (sembra) di piante e funghi allucinogeni che, secondo gli indigeni, avvicinano alla divinità.

Una statuetta in legno che rappresenta una donna indigena incinta è stata rubata dalla chiesa di Santa Maria in Traspontina e gettata nel Tevere probabilmente da un gruppo di cattolici integralisti. La statuetta della Pachamama era parte della mostra nella chiesa di via della Conciliazione, a pochi passi da Piazza San Pietro, insieme ad altri oggetti di arte e di artigianato amazzonici, allestita in occasione del Sinodo straordinario dei vescovi sull’Amazzonia.

Il papa, quale vescovo di Roma, ha chiesto perdono per questo gesto irrispettoso.

Il fatto è stato fotografato ed esaltato da un gruppo di neoconservatori cattolici, quali garanti della cattolicità dei luoghi sacri, con un tam tam di social, più o meno esaltati.

Ignoranza e arroganza

Di fronte a questo gesto, si può dire che coloro che vi hanno partecipato sono ignoranti. Se conoscessero la storia della dottrina e della liturgia cattolica, scoprirebbero quanto l’evoluzione dottrinale e liturgica dei riti cattolici e dei sacramenti, quali il matrimonio e la penitenza, devono a connessioni con culture e riti greci, romani e germanici.

Oltre che ignoranti, sono anche arroganti. Fermano la cristianità a difesa di un periodo della storia che non è statico, ma si evolve in forme che le culture dei singoli popoli vivono. La grandezza del cristianesimo non è data dai suoi gesti (liturgici e non), ma dal suo messaggio di rispetto del mondo e dell’umanità, offrendo una visione speciale che oltrepassa i confini temporali per alimentare la dimensione spirituale, in attesa di incontrare il vero Dio.

Il gesto di esporre delle statuette di cultura Inca in una Chiesa cattolica in occasione del Sinodo dell’Amazzonia, voleva significare il percorso della ricerca del divino che aveva avuto tratti antropomorfi della divinità nei tempi antichi, per giungere a una concezione della religione spirituale.

Infine, conoscere altre storie, culture, immagini che, nel tempo, hanno cercato il divino è un fatto naturale, narrato abbondantemente nella Scrittura, soprattutto per l’opera dei patriarchi e dei profeti nel Vecchio Testamento. Allarga il senso del rispetto reciproco che, alla base, fa prevalere la dimensione sostanziale dell’infinito, nello sforzo di elaborazione e di concettualizzazione della religione.

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3 Commenti

  1. Luciano Tanto 5 novembre 2019
  2. Claudio Bargna 30 ottobre 2019
  3. Francesco Grisorio 30 ottobre 2019

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