Parola, parole e post-verità

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Forse un tempo le società erano credulone, ma «oggi si disfano per discredito reciproco e mancanza di fiducia. Quello che ci manca, dal momento che decidiamo di vivere come uomini, è una parola che rispetta la parola, che ha fiducia nella parola. Ogni parola è un’apertura di credito; tutti quelli che si esprimono presuppongono una fiducia nella propria e altrui parola, una confidenza in quella “istituzione delle istituzioni” che è il linguaggio. Altrimenti le nostre società collassano.

Qui si collocano anche il cuore e il mestiere delle religioni: la fede può essere compresa come questione di affidabilità e credibilità. Le parole fanatiche e di derisione sono patologie che ci riguardano. La nostra sfida è propria delle tradizioni religiose, intese in senso largo, quella cioè di aiutare, assieme ad altri, a pensare, a vivere e a istituire l’affidabilità del linguaggio, il credito che accordiamo alla parola altrui e le regole minime che autorizzano la conversazione».

fiducia nella parola

Protestanti francesi

Davanti all’emergere della post-verità e dell’incattivimento del linguaggio nei social-network e nella comunicazione politica (cf. Settimananews: Facebook è contro la democrazia?), una trentina di intellettuali protestanti francesi (primo firmatario è Olivier Abel) hanno proposto il 17 ottobre scorso una Carta per una parola pubblica credibile. La Parola interpella le parole. Ampiamente introdotta in una nuova edizione del 17 gennaio scorso (da qui è tratta la citazione iniziale).

I nove punti della Carta si preoccupano di favorire un’adeguata cultura del consenso e del dissenso, favorendo la parte più debole e la responsabilità in ordine alla parola. «Nella vita pubblica, nei media, consideriamo prioritario lo smantellamento dei meccanismi di umiliazione, riconoscendo la dignità dell’altro, avversario o oppositore, facendogli spazio o, se lo desidera, rispettandone la discrezione». «Elaboriamo le modalità di una cyber-civiltà» e mettiamola in pratica. Si possono affrontare anche i dibattiti più difficili, rispettando sia il compito del governo sia la pluralità dei convincimenti. «Essere cittadini non significa “consumare” la democrazia, ma farla vivere per tutti». Diventiamo forza di proposta, là dove siamo, negli spazi pubblici e nei luoghi di responsabilità, contribuendo, anche come religioni, a riformulare l’ordine della priorità delle questioni che attraversano l’ambito civile.

Nell’introduzione alla Carta si sottolinea la diversa collocazione della parola nella comunicazione pubblica, condizionata dalla “bolla” auto-giustificatrice con cui rimbalza nei social, dal peso delle emozioni, dai condizionamento delle demagogie securitarie e populiste, come dalle gestioni tecnocratiche e inaccessibili.

La globalizzazione della rivoluzione numerica ha travolto media, culture, tradizioni, società, economia e politica. Siamo sommersi da rappresentazioni, opinioni e segni. Si sono moltiplicate le possibilità di scambio e di informazioni. «Davanti a tale spazio nuovo e vertiginoso, si è creduto troppo presto che la parola pronunciata da ciascuno sarebbe stata corrisposta in forma uguale; troppo presto si è pensato che la libertà di espressione o il contributo critico avrebbero regnato, mentre spesso tutto si riduce alla libertà di insulto». «Non è possibile lasciare infettare la parola e proliferare la calunnia».

Il pensiero protestante si sente legato al ministero della Parola. «Lungo tutta la Scrittura seguiamo un “va e vieni” fra coloro che attestano la potenza della parola e quelli che ne evidenziano la vanità». «La verità che dobbiamo al “Dio vivente” ci libera da ogni parola che pretende di dire la verità uccidendola o di ridurla a una verità morta, immutabile». «Siamo chiamati a parlare davanti a Dio in Cristo (2Cor 12,19; Ef 4,25) secondo una verità-viva e vissuta». La difesa di una laicità inclusiva permette al pensiero protestante sia di orientare dall’interno il pensiero politico – si possono ricordare alcune figure come Michel Rocard, Pierre Joxe, Lionel Jospin – sia di resistere ai suoi abusi. Lontano dalla lotta per il potere, il protestantesimo, con le altre fedi, esercita un’autorità utile e una critica nutriente.

Parole in politica

Sono molte le assonanze con un documento del Consiglio permanente della conferenza episcopale francese (“Ritrovare il senso della politica”, 13 ottobre 2016; cf. Settimananews: Vescovi in Francia: Bastiglia, Vangelo e politica) che ha avuto grande eco. Una parte è espressamente dedicata alla parola. «Tutto ciò che perverte la parola, la menzogna, la corruzione, le promesse non mantenute, ha delle conseguenze molto pesanti». È tempo di dare nuova legittimità alla parola pubblica. «Nei dibattiti, talora complicati, della nostra società, dire chiaramente ciò che sembra bene per la vita comune è una responsabilità di ciascuno. Noi cattolici non possiamo restare indifferenti a tutto ciò che in qualche maniera minaccia l’uomo. Ciò significa interessarsi dei nostri contemporanei, ma anche avere una libertà interiore, capace di manifestarsi con il coraggio dello Spirito, quando, e soprattutto, contrasta con i discorsi comuni e con le casacche ideologiche, di ogni tipo». «Se è necessario dare una testimonianza di fermezza, essa non deve però diventare mai rigidità e blocco. Deve essere ferma sulla base di una paziente confidenza che Dio non cessa di esercitare con l’uomo. La parola nella società è sempre da rilanciare. E i cristiani, assieme agli altri, devono vegliare sulla democrazia in una società divenuta fragile e dura».

A chiusura si possono collocare tre citazioni, fra loro assai diverse.

L’attuale primo ministro francese, Bernard Cazeneuve: «La situazione è così grave da chiedere profondità e saggezza, invece dell’invettiva, destinata a danneggiare le stesse persone».

Per il filosofo e saggista anglosassone, Roger Scruton: «È innegabile che l’emergere di Donald Trump al posto di potere maggiore del mondo democratico, è un avvenimento di rilievo. È una chiara prova non solo del potere delle nuove reti sociali, ma anche del fatto che coloro che le utilizzano sono immunizzati contro la volgarità, l’ignoranza e il narcisismo. In effetti, vedono queste inclinazioni non come difetti ma come prove che Trump è uno dei nostri, un normale “ragazzo” che non è stato ridotto a nulla dal “politicamente corretto”, qualcuno che dice ciò che pensa e, allo stesso tempo, ciò che noi pensiamo».

Nel messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali (pubblicato il 24 gennaio per la ricorrenza del 28 maggio), papa Francesco scrive: «L’accesso ai mezzi di comunicazione, grazie allo sviluppo tecnologico, è tale che moltissimi soggetti hanno la possibilità di condividere istantaneamente le notizie e diffonderle in modo capillare. Queste notizie possono essere belle o brutte, vere o false. Già i nostri antichi padri nella fede parlavano della mente umana come una macina da mulino che, mossa dall’acqua, non può essere fermata. Chi è incaricato del mulino, però, ha la possibilità di decidere se macinarvi grano o zizzania. La mente dell’uomo è sempre in azione e non può cessare di “macinare” ciò che riceve, ma sta a noi decidere quale materiale fornire» (cf. Cassiano il Romano, Lettere a Leonzio Igumeno).

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Un commento

  1. Emanuela Compri 10 settembre 2019

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