Verdini e il Credito cooperativo fiorentino

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Sei anni fa la banca del Credito cooperativo fiorentino, presieduta da Denis Verdini, fu commissariata dalla Banca d’Italia per gravi irregolarità nell’amministrazione e gravi violazioni normative. Intervistato dal quotidiano “Il Tirreno”, don Antonio Cecconi, già vicedirettore di Caritas italiana e parroco di Calci in Valgraziosa, reagì così.

Don Antonio, cosa pensa della vicenda del Credito cooperativo fiorentino?
M’indigna, mi amareggia, mi fa schifo e mi fa perfino dubitare se riusciremo mai a levare le gambe da questa palude di arroganza e malaffare.

– Un giudizio severo.
Ovviamente c’è un’inchiesta in corso e finché non ci sarà una conclusione vale il principio di innocenza. Però quello che emerge è un mondo di gente che le ha inventate tutte per mandare avanti i propri affari. Credo che, sia come società civile (esiste ancora?) che come chiesa, dobbiamo preoccuparci seriamente per il fatto che una banca che si chiama Credito cooperativo sia stata coinvolta da Verdini in una vicenda di questo tipo.

– Da cosa nasce la sua indignazione?
Dal nome: Credito cooperativo. Credito significa fiducia, collaborazione e invece…

– Invece cosa, don Antonio?
Beh, quello che emerge e che speriamo non sia vero è che una banca di tradizioni cattoliche e solidaristiche viene accostata alla cosiddetta P3.

– Già le piccole banche cattoliche.
Sì, le banche del Credito cooperativo sono nate con il movimento cattolico. Il nome ricorda le “banchine” paesane, spesso con dietro anche un prete, che si preoccupavano di sostenere l’artigiano e il coltivatore diretto, che agivano su una base di fiducia e trasparenza, dove poteva raccomandare anche un disgraziato per tirarlo fuori dai guai. E sempre nel nome c’è il valore aggiunto della cooperazione. Se un agricoltore doveva comprare l’aratro e le sementi bussava allo sportello di queste banche che una volta si chiavano rurali.

– La cooperazione intesa come solidarietà.
Le cooperative le abbiamo intese e praticate – tra i miei peccati di gioventù anch’io ho contribuito a fondarne un paio – come il tentativo generoso, idealista, di far lavorare anche chi altrimenti non avrebbe lavorato mai, di dare dignità sociale ai perdenti, ai problematici, agli sfigati, a chi non sarebbe mai arrivato primo e neanche penultimo…

– Diranno che lei sostiene posizioni di sinistra.
Qui non è questione di politica, di destra o sinistra, di stato centrale o federalismo. Qui corriamo il rischio che nessuno creda più a niente e ognuno pensi ad arrangiarsi come può, perché tanto quelli che ci comandano (democraticamente eletti) pensano solo per sé.

– Queste piccole banche conservano ancora oggi lo spirito delle origini?
In base alla mia esperienza io ricordo che, quando ero vicedirettore nazionale della Caritas, spesso trovavamo in queste banche una sponda importante per i nostri progetti. Mi sembra che il legame con il territorio le caratterizzi anche oggi.

– Con il welfare in crisi queste banche potrebbero avere un ruolo importante, non crede?
Certamente. Penso, ad esempio, alle cooperative sociali che ogni mese devono pagare i loro soci lavoratori mentre però i committenti pagano dopo molto tempo. Avere una banca che anticipa i soldi, che sostiene queste cooperative e i loro progetti sociali è fondamentale. Però, temo, che i tempi siano cambiati.

– In che senso?
Che la finanza dei grandi gruppi bancari di fatto influenzi anche i piccoli istituti di credito. Lo spazio per un credito sociale è ristretto, difficile.

– E la Chiesa cosa può fare?
Ritengo che anche le Chiese della Toscana – o almeno qualche parrocchia toscana, qualche associazioni di laici cattolici ferventi, qualche ufficio diocesano della pastorale sociale e del lavoro – insieme a tante altre preoccupazioni che ci affliggono e urgenze che ben sappiamo, abbiano l’obbligo di dire qualcosa, se vogliamo continuare a parlare di quella dottrina sociale che ha tra i capisaldi la giustizia, la solidarietà e il bene comune.

– Giovanni Paolo II, a proposito del credito, parlò di peccati individuali e di strutture di peccato.
Mi sembra una distinzione attuale. Se le vicende che riguardano il Credito cooperativo fiorentino verranno confermate, penso che si possa parlare a ragione di una struttura di peccato. Alla quale il cristiano, in nome del Vangelo, deve ribellarsi. Tanto è cresciuto il volume della finanza e tanto si impone un risveglio di consapevolezza sociale e etica.

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