Virtù e tentazioni delle donne mature

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Tra le tante certezze che questo cambio d’epoca ha contribuito a far sparire quella che soprattutto noi maschi – dentro e fuori il recinto ecclesiale – facciamo fatica (e quanta fatica facciamo!) a digerire è la supposta esistenza di un sesso debole, cioè di una parte di cielo e di umanità destinata a restare in una sorta di condizione più svantaggiata dell’altra. Parlo ovviamente di quella parte del cielo che è rappresentata dalle donne e che sinora è stata pubblicamente dipinta come “sesso debole”.

Ebbene, proprio gli ultimi decenni ci consegnano l’emergere di una donna non solo sempre più libera da tanti vincoli culturali, biologici, sociali, religiosi, ma sempre di più capace di un protagonismo incredibile. Basterebbe citare il semplice fatto che, a livello planetario, i riferimenti più credibili e di punta sono di sesso femminile: si pensi alla politica (Merkel), alla letteratura (Rowling), alla musica (Madonna e Alice), alla santità (Madre Teresa), all’economia (Lagarde), per non parlare di tanti altri settori prevalenti nella nostra società.

Tutto questo è il risultato di quel processo storico che va sotto il nome di emancipazione femminile, che ha trovato i suoi punti di sostegno nell’accesso al diritto di voto, nell’invenzione e rapida diffusione della “pillola”, nella possibilità di frequentare tutti gli ordini e gradi dell’istruzione, nell’ingresso nel mondo lavorativo sempre più ampio e tutelato, nella decisa riscrittura, quasi una sorta di rifondazione del diritto di famiglia, secondo un profilo paritario e di reciprocità, senza per nulla dimenticare la portata dell’arrivo degli elettrodomestici nella vita spicciola quotidiana: quanto sgravio, e pertanto tempo libero da dedicare a sé, da parte delle donne, ha portato un apparecchio come la lavatrice!

Per questo le virtù delle quarantenni di oggi si condensano in questa nuova posizione di valore, di autocoscienza delle proprie possibilità, di nuova consapevolezza di se stesse: del proprio corpo, della propria intelligenza, del proprio destino rispetto ad un mondo, ormai sepolto per sempre, di prevalenza androcentrico.

Tutto questo andrebbe accolto, da parte dell’universo maschile, con un grande gesto di benedizione e di buon auspicio per il tempo che ci aspetta e non piuttosto – come ancora capita di dover registrare – con risentimento o addirittura con aggressività.

Per evidenziare ora anche qualche “vizio” di queste donne nuove mi faccio aiutare da due voci femminili.

La prima è quella di Lorella Zanardo, autrice di un testo molto importante quale Il corpo delle donne, la quale prova a mettere sotto la lente d’ingrandimento un certo modello di emancipazione femminile che potrebbe essere ancora perseguito da qualcuna e che invece non porta da nessuna parte: «Molte di noi, e io per prima, hanno creduto di aver coraggio a sufficienza per il fatto di aver sovvertito il sistema che ci voleva fuori dalle regole del gioco degli uomini, quelle sulle quali il mondo si organizzava. Alle leve del potere siamo arrivate pagando prezzi altissimi, che difficilmente si ha la generosità di denunciare. Perché è ora di dire che non era quella l’emancipazione che cercavamo. Non volevamo, per diventare visibili, e in un’ultima analisi per esistere, dover abdicare al femminile profondo, che significasse un figlio o semplicemente un modo di essere. Il modello maschile che abbiamo introiettato e che fa sì che ora ci guardiamo come pensiamo che ci guarderebbe un uomo, quel modello che rende una velina sicura di piacersi di più con un seno sproporzionatamente grande perché risponde a un presunto desiderio maschile che lei confonde con il proprio desiderio, quel modello dicevamo, è lo stesso che ci ha fatto aderire a un sistema di vita impostato su valori maschili, al quale ambivamo perché sembrava prometterci una meta incredibilmente attraente: esistere finalmente. Con fatica e sconcerto, alcune di noi stanno prendendo coscienza del fatto che oggi il cambiamento in gioco è molto più grande e faticoso, poiché prevede un nuovo paradigma dove nuove regole, o meglio, nuovi stimoli debbano essere suggeriti da noi donne, per garantire l’esistenza del femminile nostro, ma soprattutto delle giovani donne».

La seconda interessantissima voce è quella di Michela Murgia, la quale nel suo effervescente Ave Mary invita tutti, ma forse di più proprio le stesse donne, a non lasciarsi irretire troppo dal mondo dell’estetica e della cosmetica, a riconoscerne il salto qualitativo ma assolutamente ingannevole del suo linguaggio e del suo immaginario. «La cosmetica così intesa si rivela non tanto la scienza del bello, quanto quella dell’ordine da cui la bellezza discende: utilizzando il cosmetico la donna non doma le rughe, ma il caos universale. Sottrarsi alla religione della cosmetica significa rifiutarsi di impedire la deriva distruttiva dell’esistente, farsi colpevolmente complici della sua entropia. Ecco perché nell’arco di vent’anni si è passati dall’invito alla manutenzione esteriore per apparire più piacenti (questo preparato rende la pelle più morbida e levigata, piacevole al tatto, e simili) a quello più ambiguo della “cura”, che rimanda direttamente a un immaginario patologico. I preparati per il viso non sono più semplicemente nutrienti, ma rigeneranti, rimpolpanti, ristrutturanti, tensori. Sono creme assertive, fanno cose grandi, operano contro eventi descritti come catastrofici: “contrastano il cedimento cutaneo”, “nutrono i tessuti nelle aree fragili del viso” e “proteggono dalle aggressioni esterne”, funzioni più da ronda poliziesca o da architetto di interni che da crema per il viso».

Armando Matteo

Don Armando Matteo, sacerdote della diocesi di Catanzaro-Squillace, è docente di Teologia fondamentale presso la Pontificia università urbaniana. Dal 2005 al 2011 è stato assistente nazionale della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI).

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