Vivere ai confini

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Da poco di ritorno da una commossa commemorazione a Tarvisio di eventi del ’44 ai confini tra Italia e Slovenia, mi si è accesa la memoria di quella terra. Ricordando, con la stessa emozione, «la signora Wanda», conosciuta a Londra. Così desiderava essere chiamata, semplicemente. Come semplice era lei: sguardo azzurro, volto dolcemente segnato dall’età, capigliatura innevata come la sua regione d’inverno, il Carso. Abitava in una casetta tranquilla di un popolare sobborgo di Londra. Sola. Ma la solitudine «è una tempesta silenziosa, che spezza tutti i nostri rami morti», ricorda Kalil Gibran.

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Quattro passi più avanti, una placca ricordava l’infanzia di Charlie Chaplin. Una somiglianza tra i due? La discrezione e lo stesso amore per questo quartiere. Quando veniva a trovare i suoi amici di infanzia, mi raccontava, l’attore lasciava lontano la sua Rolls Royce e arrivava a piedi… Poco traffico, casette basse tutte uguali, giardinetti deliziosi: ogni cosa respira la semplicità. «Non potremo comprenderci, finché non ridurremo la lingua a sette parole» suggerisce il poeta libanese.

Alla sua bella età, la signora Wanda era tornata con figli e nipoti alla sua terra carsica, ancora una volta, l’ultima. «Nascita e morte sono le due più nobili manifestazioni di coraggio» afferma qualcuno. Ed è stata una vera sorpresa per lei: c’era perfino la Tv slovena a intervistarla. La sua, una storia normale di emigrazione, ma con dei passaggi di qualità…

Da piccola, la sua famiglia deve emigrare da San Daniele del Carso sul confine triestino (in seguito passerà in territorio sloveno) alla provincia di Parma, a Fontanellato. Il padre, infatti, maestro, appartiene come tanti altri, secondo le disposizioni del duce, a quella gente di confine da integrare. Lei fa i suoi studi a Parma. Le sue grandi scoperte: la pasta al forno, i cantanti d’opera, le piazze animate, una cert’aria di nobiltà e… la bicicletta, amica inseparabile per una ragazza di allora.

Con la guerra arriva al castello di Fontanellato anche un gruppo di prigionieri inglesi. A un ufficiale inglese, all’ospedale, ha modo di insegnargli un po’ di italiano. Alla fine, come ricompensa, non le viene spontaneo che esclamargli «mi mandi un impermeabile!» (sapendo quanto piove in Inghilterra!).

Terminata la guerra, invece, ecco riapparire in paese il giovane inglese… per chiedere ai genitori la mano della ragazza. Si rivelerà in seguito uno scrittore straordinario: Eric Newby. Autore di una ventina di libri e anche qualche film. Ed è tutto questo che ormai le resta… «Quando vi separate dall’amico, non rattristatevi, la sua assenza può chiarirvi ciò che in lui più amate, come allo scalatore la montagna appare più chiara dalla pianura» annota Gibran.

In tempi in cui era un privilegio viaggiare, Eric viene inviato dall’Observer e dalla BBC in India, in Egitto, nell’Estremo Oriente, sulle montagne dell’Afghanistan, in Australia… e lei sempre insieme.

Desideravano anche vedere i luoghi più difficili, impensati o impossibili come la Libia di allora, Tobruk e i campi di combattimento inglesi. Una stupenda lettera di richiesta a Gheddafi in persona porta di ritorno una sorpresa: l’invito alla coppia come ospiti del colonello! Era stata lei a suggerire l’idea al marito…

Raccontava, poi, insieme a una punta di meraviglia, un sorprendente invito a cena dalla Regina. Prestigioso ricordo di un giorno. Dalla tavola della povera gente del Carso a quella della Regina dell’Impero inglese: straordinaria parabola di un’emigrante. E del desiderio, come per ogni migrante, di aprirsi al mondo. Ma «il desiderio è metà della vita» ricorda sempre Kalil Gibran, mentre «l’indifferenza è già metà della morte».

Ora, la casetta inglese le è rimasta come unica compagnia. Con i tanti libri, i tappeti orientali, le statuette dal Tibet e i ricordi sospesi nell’aria… Però «il ricordo è un modo invisibile di incontrarsi» vi suggerirà lei, delicatamente.

Vivere ai confini, in fondo, è scomoda posizione di ogni vita migrante. Ed è vero soprattutto per la sua, già dagli inizi. Posizione dura, amara e sofferta. Ma «quanto più a fondo vi scava il dolore, tanta più gioia potete contenere» rassicura il poeta libanese. Preziosa esperienza, tuttavia, per entrare in sinergia con l’altro, comprendere la complessità del mondo e costruire qualcosa di nuovo e di originale. Come è stata la sua esistenza di compagna forte e fedele per un inglese curioso del mondo.

Vivere ai confini è lezione di umiltà, di coraggio e di sapiente universalità. Così come «un vero saggio non vi invita ad entrare nella casa della sua sapienza, ma vi guida sulla soglia della vostra mente» concluderebbe sempre Kalil Gibran.


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* Renato Zilio, autore di Dio attende alla frontiera, EMI 36ª edizione (Prefazione del card. Cristòbal di Rabat).

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