Giovani nella Chiesa da protagonisti

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La Chiesa si accinge a vivere un sinodo speciale dedicato al mondo giovanile e anche noi, vescovi della Toscana, sentiamo l’esigenza di approfondire la riflessione sul rapporto a tratti complesso, ma sempre vivificante e irrinunciabile tra la Chiesa e i giovani.

Ci rivolgiamo a voi, cari fratelli e care sorelle nella fede, Chiesa di Cristo, perché insieme possiamo davvero diventare «collaboratori della gioia» (2Cor 1,24) dei giovani che ci sono affidati dall’amore del Padre.

1. I giovani: forza preziosa e fragile bene per l’oggi del mondo

«Oggi noi adulti – noi, adulti! – abbiamo bisogno di voi, per insegnarci – come adesso fate voi, oggi – a convivere nella diversità, nel dialogo, nel condividere la multiculturalità non come una minaccia ma come un’opportunità. E voi siete un’opportunità per il futuro. Abbiate il coraggio di insegnarci, abbiate il coraggio di insegnare a noi che è più facile costruire ponti che innalzare muri! Abbiamo bisogno di imparare questo».

Così si rivolgeva papa Francesco alle migliaia di giovani accorsi a Cracovia l’anno scorso per la celebrazione della Giornata mondiale della gioventù.

È nei cuori giovani, nei loro desideri, nei loro sguardi capaci di sogni e di futuro che possiamo rintracciare la profezia del Regno.

E sono tante e luminose le testimonianze dei ragazzi e delle ragazze che si impegnano in modo generoso in progetti di volontariato, in iniziative volte al bene comune, grazie a esperienze come quelle del Servizio Civile, dell’Anno di Volontariato Sociale Europeo o che hanno modo di sperimentare servizio, testimonianza e condivisione anche in percorsi animati a livello ecclesiale.

Sono la gioventù piena di coraggio, di visione e di energia per il cambiamento, per l’edificazione del Regno.

È importante riportare l’accento su questa visione, assai distante da quella che quotidianamente rintracciamo nella narrazione dei media e nel conversare degli adulti.

La pericolosa generalizzazione delle analisi sociologiche e delle categorie descrittive, finisce per confondere tutto in una prospettiva cupa, che vede tutti i ragazzi senza voglia di futuro, senza idee e desideri su di sé e sul mondo, spesso fuori dall’educazione e dal lavoro, immobili nel limbo delle «passioni tristi».

2. I giovani al centro della comunità civile: una questione di giustizia

È vero che la bellezza luminosa dei ragazzi è oggi più che mai un bene fragile, misurato a un’attualità di individualismo, di conflitti e di povertà diffusa, spesso frutto di scelte irresponsabili e di politiche distratte.

In Italia, oggi, un ragazzo su cinque non lavora e non studia; l’Italia è terza in Europa per il tasso di disoccupazione giovanile e chi lavora lo fa spesso con contratti precari, atipici e guadagna molto poco.

Anche le misure sociali di sostegno ai giovani sono poche e deboli e sono ormai moltissimi quelli che scelgono di lasciare il nostro Paese in cerca di un futuro migliore.

Di fronte a questo scenario, la Chiesa non può rimanere in silenzio.

Porre di nuovo con forza il tema dei giovani e del lavoro, del loro diritto non solo ad avere un’occupazione, ma a poter far crescere i propri talenti e a contribuire all’edificazione di una società migliore, è una questione di giustizia.

Investire sulle politiche giovanili, individuare strumenti adeguati per la formazione e per l’avviamento al lavoro dei ragazzi diventa una sfida per la tenuta democratica e costituzionale del nostro Paese.

A questo riguardo, iniziative come il Progetto Policoro, da anni promosso dalla Conferenza episcopale italiana, testimoniano un’attenzione e una sollecitudine sincera della Chiesa verso la partecipazione giovanile alla vita del Paese.

3. I giovani e la fede

Una recente indagine dell’Istituto Toniolo ha gettato una luce importante sul rapporto tra i giovani e la fede.

Dai dati raccolti è emerso che ancora esiste con forza un dialogo interiore dei ragazzi con Dio, ma la loro percezione del divino è spesso modulata in modo molto personale.

I ragazzi raccontano con disarmante chiarezza la loro fatica a capire il linguaggio della Chiesa e a partecipare alle sue liturgie. Ci dicono che il cattolicesimo è spesso confuso con una “pratica istituzionale” e l’iniziazione catechistica alla vita di fede è sentita come un obbligo pesante, incapace di dare significato alle loro esistenze.

I ragazzi raccontano dunque non solo di loro, ma anche delle nostre comunità.

I ragazzi non riconoscono alla Chiesa la voglia di sapere chi sono i giovani di oggi, né la curiosità appassionata di ascoltarli per davvero.

Sono stati spesso delusi e non è raro che si siano sentiti fuori posto, al punto da pensare che la fede non li riguardasse più, fosse una cosa di un altro tempo, ormai passato.

La Chiesa può guardare questa ferita di assenza nel rapporto col mondo giovanile, e può eleggerla a feritoia, luogo privilegiato da cui tendere la mano.

Invitiamo i ragazzi oggi a prendere posto nella comunità cristiana.

Diamo loro un posto da protagonisti, immaginiamo insieme a loro luoghi e tempi dove stare bene insieme.

La loro bellezza coraggiosa e nascosta racconta Dio in pienezza, ma chiede l’umiltà e l’apertura all’accoglienza, proprio come davanti al Dio difficile da comprendere nel bambino che giace a Natale in una stalla.

Alla Chiesa, di fronte al mistero dei ragazzi, è chiesta la pazienza di farsi loro compagna di strada, l’energia costosa dell’attesa, la fatica del non comprenderli sempre, ma la fiducia incondizionata nel seme di bene che tengono custodito e a volte nascosto.

Molti ragazzi non frequentano ormai più le nostre parrocchie.

Per questo, oggi non basta più aspettarli.

Siamo, piuttosto, chiamati al viaggio, alla ricerca. Possiamo andare incontro al figlio perduto, fare festa nell’abbracciarlo, percorrere tutta la strada fino a lui, cercarlo come la moneta perduta, come la più preziosa delle pecore del gregge, quella smarrita.

Non basta più aspettare che arrivino a noi, bisogna attrarre a Cristo, invitare all’incontro con la gioia del Vangelo, annunciare la vita piena, chiamare per nome ciascuno di loro.

Auspichiamo dunque che aumentino le iniziativa pastorali dedicate ai ragazzi, che si rinnovino i linguaggi, si moltiplichino i luoghi di riflessione condivisa sugli strumenti, si scelgano segni semplici e un modo di comunicare alla loro portata, capace di raggiungerli.

4. La coraggiosa bellezza di Davide

In questo nostro conversare sui ragazzi, viene alla mente l’icona biblica di Davide che affronta Golia (1Sam 17,13-20).

Il giovane pastorello si era recato sul luogo della battaglia non come soldato, ma per portare viveri ai fratelli e prendere informazioni su di loro e la loro paga, da portare a casa.

Quando ha visto Golia, il Filisteo, avanzare contro le schiere di Israele terrorizzandole si è proposto per il duello. Il re non l’ha preso sul serio: «Tu non puoi andare contro questo Filisteo a batterti con lui: tu sei un ragazzo». Ha insistito chiedendo di essere messo alla prova e con in mano il bastone e una fionda, cinque ciottoli lisci di torrente nella bisaccia, e tanta fede in cuore, Davide, un ragazzo, ha vinto contro ogni ragionevole previsione, il gigantesco guerriero, salvando il suo popolo e diventando l’eroe.

Sono grandi le opere affidate alle vite semplici dei ragazzi.

Possiamo dare fiducia alle loro azioni, incoraggiare il loro coraggio, assecondare la loro voglia di tentare, per quello che sono, con i loro desideri, i talenti sotterrati, le fragilità e i confusi sogni.

Abbiamo la responsabilità grande di prendere sul serio i loro sogni, la possibilità che intimamente racchiudono; favoriamo la voglia confusa di partecipare attivamente alla storia, come Davide alla battaglia.

Diamo loro cittadinanza nelle nostre città e anche nelle nostre Chiese.

5. Ci siete cari!

E a voi, cari giovani, a voi dei quali così lungamente abbiamo parlato, diciamo con tanto affetto: siate coraggiosi e appassionati! reclamate quello che vi spetta! sognate alla grande! ingaggiateci nel dialogo e nelle relazioni! sfidateci alla coerenza! spingeteci al viaggio!…

Anche noi sentiamo per voi quello che san Paolo sentiva per la comunità dei Tessalonicesi: «Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari» (1Ts 2,8).

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