Savona: Ritrovare il filo del credere

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«Sogno una Chiesa che ha il coraggio di mettere la propria tenda fuori dalle mura, per incontrare gli sfiniti dalla vita e i delusi dalla Chiesa, e camminare insieme, accettando il rischio della fede. Aiutiamoci a costruirla, giorno dopo giorno! Vi benedico con affetto, e chiedo a voi di benedirmi».

Si conclude così l’interessante lettera pastorale Cominciando da Gerusalemme per ritrovare il filo della fede del vescovo di Savona-Noli, Calogero Marino, che preferisce firmarsi «il vostro vescovo Gero».

Una fede da riscoprire

Uscita nella festa della Natività di Maria 2017, presenta interessanti spunti per tutti coloro che guardano a Maria come a “Colei che ha creduto” e per questo è detta Beata da tutte le generazioni, comprese le nostre un po’ disincantate o, quantomeno, con un po’ di polvere depositata sulla fede ricevuta dai padri. «Le cose più preziose della vita – nota fin dalle prime righe il vescovo – vanno sempre riscoperte e ritrovate: quando le diamo per scontate possono ricoprirsi di polvere e perdere trasparenza e bellezza». E significativamente riprende, in una sorta di ouverture, una bella citazione di Paolo e Vittorio Emanuele Giuntella: «Dopo aver tanto cercato, dubitato, sperato, cantato, pianto, pregato, ritroveremo il capo e la coda del gomitolo della fede, solo apparentemente disperso nella storia degli uomini perché lo trasmettessero di padre in figlio, disseppellendolo ogni volta dalla polvere, per ritrovare la traccia del sentiero fino a quel mattino di sole e di luna quando tutti insieme là canteremo per sempre il grande alleluja del raccolto».

Come si può costatare leggendola nel dettaglio, la lettera intende «ricordare a me e a voi il cuore incandescente della nostra fede; per ritrovare la bellezza del nostro essere Chiesa; evidenziando, infine, alcuni tratti (da ritrovare!) della fede in Gesù, crocifisso e risorto».

Abituati come eravamo a lettere o piani pastorali con un accento diciamo così “organizzativo”, qui si passa decisamente alle radici e ai fondamenti da cui tutto il resto dipende; quasi a dire che, se anche il contesto di una Chiesa particolare vive le sue sfide e le proprie difficoltà, del resto abbastanza comuni oggi, solo puntando ai fondamenti si potrà uscire dall’impasse di un dirsi credenti ormai per forza d’inerzia, che si va affievolendo, per ripartire invece da quelle esperienze fondamentali che segnarono la vita degli apostoli, spaventati e delusi dal venerdì santo e dintorni, per subire l’impatto rigeneratore di quel «È il Signore» che li ha rigenerati e corroborati poi con il soffio dello Spirito creatore che rinnova i cuori e la faccia della terra.

I tre capitoli

Non a caso il primo capitolo riporta «al cuore della nostra fede: l’impossibile della risurrezione». Così «il luogo della morte diventa il luogo della risurrezione: è il paradosso cristiano, è l’impossibile bellezza della nostra fede». E subito commenta il vescovo: «Il cristiano, allora, è chiamato a vivere sul filo dell’impossibile e della sua bellezza, che riempì di gioia il cuore dei discepoli la sera di Pasqua, tanto che “per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore”».

Questo primo impatto, o riscoperta, apre al cammino (secondo capitolo): è una bella notizia che ci mette in movimento, fino a diventare «Chiesa in uscita», come chiede papa Francesco. Si tratta di iniziare processi, sottolinea mons. Marino, più che possedere spazi.

È insomma un filo nuovo del credere da ritrovare come singoli e come Chiesa (terzo capitolo). Questo riguarda l’umanità della fede, tocca “il cantiere famiglia”, rende attuale la fede e non più un reperto che ci si passa e che raramente giunge ai giovani; è una fede da vivere nella sua semplicità, riscoprendo il Vangelo e la preghiera, vivendo il Giorno del Signore per riportarlo ferialmente nella quotidianità.

La fede va riscoperta come base della vita. «“Tu sei bellezza”, canta san Francesco…, ma noi l’abbiamo un po’ dimenticato e ci siamo invece abituati a pensare Dio nell’ottica della potenza, della giustizia e del miracolo che “aggiusta” le situazioni». Occorre «ritrovare il filo d’oro della bellezza che attraversa tutte le Sacre Scritture, che permea la liturgia, che innerva la testimonianza cristiana». La fede deve farsi concreta nella carità ed ecclesialità (il noi della fede), ravvivando anche il tessuto ecclesiale.

E perché non tentare un Sinodo? chiede provocatoriamente il vescovo: un’avventura a partire dal 2018, riprendendo “i tavoli di lavoro” del convegno ecclesiale di Firenze con le promettenti cinque vie: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare, con un occhio tutto particolare alle nuove generazioni a cui trasmettere una fede viva e pulsante dentro la vita.

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Un commento

  1. Franco Fossati 30 dicembre 2017

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