Amministrazione Trump: legge naturale e diritti inalienabili

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All’inizio della settimana il Segretario di Sato USA, M. Pompeo, ha annunciato la costituzione di una «Commissione sui diritti inalienabili», insediata presso il Dipartimento di Stato, col compito di ritrovarsi regolarmente (una volta alla settimana?) per produrre idee e suggerire azioni di politica estera atte a «quello che sperò sarà il riesame più profondo dei diritti inalienabili nel mondo dalla Dichiarazione del 1948».

Ricordando che quella Dichiarazione fu frutto della consapevolezza post-bellica della comunità internazionale, marcando una sapienza giuridica la cui riscrittura a opera di un solo stato potrebbe rappresentare la chiusura della «epoca breve» di un diritto posto a salvaguardia dell’umano davanti al potere e monopolio della violenza da parte degli stati nazionali.

Politica estera in vista delle presidenziali USA

Insomma, l’amministrazione Trump condensa intorno al tema dei «diritti inalienabili», e soprattutto al lavoro della loro determinazione (ossia quando «si tratta di un diritto o meno»), una carta della sua politica estera volta, in realtà, a compattare per bene una parte del ceto elettorale statunitense in vista delle prossimi presidenziali.

L’istituzione della Commissione non è un fulmine a ciel sereno, essa era stata infatti presentata secondo i tempi di legge quando, il 30 maggio, sono stati pubblicati sul Federal Register i due paragrafi che delineano i compiti e la filosofia di fondo che regolano e orientano i lavori della Commissione stessa.

Questa ottemperanza dei tempi e modi di legge, rimanda più alla consuetudine parlamentare che all’umoralità presidenziale; tutto ciò lascia pensare che la Commissione, e soprattutto la visione normativa dei diritti che ne determina il compito, sia cosa che raccoglie anche un consenso non irrisorio fra i rappresentanti e senatori repubblicani.

Diritti umani per via giusnaturalista

Sulle pagine del Federal Register che la riguardano, e soprattutto sul taglio effettivo dei lavori e consigli della Commissione in vista della politica estere dell’Amministrazione Trump, bisognerà tornare con più calma e in forma analitica. Quello che si può annotare subito è una comprensione fortemente giusnaturalista dei diritti inalienabili; ossia i diritti che la politica (solo quella estera?) USA è chiamata a proteggere sono quelli che si derivano dalla «legge naturale e dai diritti naturali».

Insomma, i diritti si evincono da una condizione di natura previa e immutabile che conferisce dignità e dovere di protezione solo ad alcuni di quelli che chiamiamo diritti umani.

Tutta la storia delle libertà civili converge nella Commissione

Nell’annuncio alla stampa dell’istituzione della Commissione e della sua composizione, il Segretario di Stato Pompeo è riuscito a racchiudere, in un discorso improbabile, senza soluzione di continuità i padri fondatori della Nazione (che dovrebbero essere i veri ispiratori della politica estera americana), Tocqueville, Eleanor Roosevelt, Reagan, Vlacav Havel e il rabbi Johnatan Sacks.

Riconducendo in maniera omogenea e strumentale queste figure all’intenzione prettamente politica e commerciale che ha portato alla fondazione della Commissione, presieduta da Mary Ann Glendon (professoressa alla Facoltà di Legge della Harvard University).

La fine dei nuovi diritti

Per l’amministrazione Trump è giunto dunque il momento di riscrivere la cartografia dei diritti inalienabili, intendendo con essi solo quelli che vengono determinati dalla natura (umana) e riconosciuti attraverso la ragione che lavora correttamente secondo quella medesima natura.

Appunto, si tratta della ripresa di un giusnaturalismo rigido e confessionale, che immagina di potersi gettare senza troppe difficoltà oltre le controversie storiche e culturali che riguardano la determinazione del concetto stesso di «natura» (che, come ricordava Bobbio, è uno dei più contestati e indeterminati della cultura filosofica).

Bisognerà attendere i primi esiti dei lavori della Commissione per poter mettere mano a una qualche forma di giudizio, ed eventualmente di contraddittorio. Accanto all’evidente strumentalità politica (interna, direi) della decisione di costituire questa Commissione, rimane il suo essere espressione di una reazione (strumentalmente politicizzata) agli sviluppi del diritto e della giurisprudenza in materia di diritti umani, che ha spinto a renderli sostanzialmente questione di scelta a partire da tendenze personali.

Quella, appunto, che chiamerei una privatizzazione dei diritti umani che, dal punto di vista del diritto e del lavoro che esso deve compiere nella società e per la società, rimane sicuramente problematica, perché spinge il diritto dall’università della sua forma a una frammentazione particolarista che lo satura e lo indebolisce rispetto al suo stesso compito.

Non meno problematica è la scelta operata dall’Amministrazione Trump di rivedere tutto il periodo dell’egemonia liberale in materia di diritti vincolandoli inalienabilmente alla predeterminazione della natura e alla deduttività del diritto naturale.

Religione e diritti: le «armi leggere» del Dipartimento di Stato

Insomma, così compresi i diritti inalienabili, insieme alla libertà religiosa, diventano uno degli strumenti politici intorno ai quali l’Amministrazione Trump organizza la parte mediatica della sua politica estera.

Di questi diritti inalienabili il governo statunitense si assume il monopolio rispetto alle altre istanze internazionali (politiche o giuridiche che siano).

Così come lo fa con la questione della libertà religiosa. Nella congiuntura che si profila davanti a noi è chiaro che si tratta di due facce della medesima medaglia, di uno strumento che l’Amministrazione Trump ritiene essere considerevolmente favorevole non solo ai suoi scopi, ma anche alla creazione di una grande coalizione mondiale neo-conservatrice e tecno-liberale – da utilizzare quando gli interessi americani lo suggeriscono, e da abbandonare a se stessa in altri frangenti.

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