Belgio: no all’eutanasia negli ospedali cattolici

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ospedali cattolici

Il 30 marzo una lettera del card. Luis Ladaria, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha tirato una linea netta: non è lecito nelle istituzioni ospedaliere cattoliche praticare l’eutanasia, anche quando la legge civile lo permetta. Il testo è indirizzato alla provincia belga della Congregazione dei Frères de la Charité dopo una lunga vicenda che ha interessato il superiore generale e le istituzioni centrali della Congregazione, i dicasteri dei religiosi e il Sant’Ufficio. Ne ha dato notizia La Croix (6 maggio).

La Chiesa cattolica «afferma il valore sacro della vita umana», «l’importanza della cura e dell’accompagnamento per i malati e gli handicappati» e «l’inaccettabilità morale dell’eutanasia», come anche «l’impossibilità di introdurre questa pratica negli ospedali cattolici, anche per casi estremi, e di collaborare in questo con le istituzioni civili». Poiché l’organizzazione belga «non corrisponde a tali principi», «gli ospedali psichiatrici gestiti dall’associazione del provincialato dei Fratelli della Carità in Belgio non potranno più essere considerati istituzioni cattoliche».

Dignità del vivente

La vicenda nasce nell’aprile del 2017[1] quando l’Associazione che, a nome della famiglia religiosa, gestisce 15 ospedali psichiatrici di sua proprietà nel Belgio fiammingo, ha ritenuto di consentire l’intervento eutanasico non solo per i pazienti in fase terminale, ma anche per i malati psichici non terminali. L’indirizzo approvato dal consiglio direttivo dell’Associazione (cui partecipano 3 religiosi su 11 componenti) viene criticato (giugno) dal superiore generale, René Stockman, che si oppone e chiede ragione della posizione assunta.

Intervengo i vescovi locali ribadendo le considerazioni fatte in un documento del 2015 dal titolo “La dignità della persona umana anche se demente”. Il 12 settembre 2017 l’Associazione risponde difendendo il suo testo di orientamento. Investito del problema, il dicastero dei religiosi si affianca alla condanna del superiore generale e del consiglio. Per la delicatezza del tema e dei rapporti viene chiamata a intervenire anche la Congregazione per la dottrina della fede.

Per p. Stockman, «nonostante tre anni di dialogo, la visione dei responsabili dell’Associazione è rimasta purtroppo invariata» e obbligherà ad una difficile decisione sia per i confratelli interessati (alcuni condividono l’indirizzo dell’Associazione), sia per le proprietà degli ospedali che conta 5.500 posti-letto, 12.000 dipendenti, 30.000 fra volontari, studenti e tirocinanti. Un gruppo che costituisce un riferimento centrale per una vasta area del paese sul tema della malattia mentale.

La congregazione religiosa è nata in Belgio (Gand) da Pierre-Joseph Triest, nel 1807. Conta 572 religiosi consacrati all’educazione e alla cura dei malati, in particolare psichici in una trentina di paesi nel mondo. I primi confratelli liberavano dalle prigioni i “matti” per permettere loro una vita più dignitosa e rispettata. Una lunga tradizione che ha portato le istituzioni ospedaliere dei Fratelli ai vertici di una competenza riconosciuta.

La crisi delle vocazioni e il pieno sostegno economico dello stato hanno aperto le porte alla collaborazione dei laici. Il cambiamento della cultura sociale ha legittimato il parlamento ad approvare nel 2002 una prima legge sull’eutanasia, la cui validità è stata allargata nel 2014 anche ai minori.

ospdali cattolici

Gli stretti limiti della prima legislazione sono stati ampiamente superati dalla pratica e dalle disposizioni successive. Da 203 casi del 2003 si è passai a 2.309 nel 2017. In 40 si fa espresso riferimento alla malattia psichica. Ha avuto una certa risonanza il caso di un transessuale minore che ha ottenuto l’eutanasia perché si sentiva infelice dopo il cambiamento di sesso.

I pro e i contro

Il testo di orientamento dell’Associazione, in corrispondenza alla legge civile, prevede l’eutanasia per un paziente che la chiede con lucidità, libertà e ripetutamente. La situazione medica deve essere senza uscita. Al consenso del paziente si aggiunge il consenso dei medici, con un’équipe interdisciplinare, dei familiari e di un gruppo di supporto. Si prevede nei propri ospedali la libertà del medico e del personale di procedere o meno e un controllo “terzo” sia prima sia dopo la decisione e pratica dell’eutanasia. Fino a quel punto la pratica corrente era quella di appoggiare il paziente che insisteva per l’eutanasia ad altro istituto ospedaliero (pubblico).

Un indirizzo che, per il superiore generale, ha quattro punti inaccettabili:

  • la riduzione del valore della vita da «assoluto» a «fondamentale»;
  • la contraddizione di prevedere una malattia psichica “inguaribile”, frutto di una cattiva psichiatria;
  • il fatto di andare oltre la lettera della legge che non prevede l’eutanasia per i dementi e non la riconosce come semplice «atto medico»;
  • la contraddittorietà di prevedere l’eutanasia in una istituzione di ispirazione cattolica.

I vescovi, nell’intervento citato, scrivono: «Riaffermiamo qui la nostra profonda stima per la professionalità e la cura attenta di tante persone che assicurano la presa in carico di pazienti con malattie psichiche gravi e di lunga durata…, ma non possiamo essere d’accordo che (l’eutanasia) sia praticata su pazienti psichiatrici non in fase terminale. Condividiamo simile posizione con cittadini ben al di là delle tradizionali frontiere ideologiche. Il nostro parere non significa per nulla  abbandonare le persone al dolore.

Siamo coscienti che la sofferenza psichica può essere immensa e che una persona può trovarsi in totale disperazione e senza alcuna prospettiva. Ma è precisamente in questa situazione che bisogna rimanerle vicino e non abbandonarla. Con la proposta di cure palliative appropriate alle persone con gravi disturbi psichici, resistenti alle terapie».

Deriva non arginabile

Pur in un contesto in cui le leggi sono frutto di una maggioranza democratica e in un orizzonte culturale in cui viene enfatizzata la libertà personale, la deriva legislativa preoccupa ben oltre i confini ecclesiali.

Nel novembre del 2019 i vescovi sono intervenuti per suggerire una riflessione critica alla proposta legislativa di ridurre l’aborto a un semplice intervento medico ordinario, allargando la possibilità fino a 18 settimane della gravidanza e riducendo il tempo di riflessione da 6 giorni a 48 ore.

L’eutanasia minaccia di ripercorrere la stessa china in nome della pietà, fino a diventare normale non appena la malattia sia ritenuta inaccettabile. Come ha scritto p. Stockman: «Si diventa, forse involontariamente, alleati di coloro che vogliono sempre più estendere l’applicazione della legge, divenendo così corresponsabili di una tendenza che banalizza l’eutanasia, alla fine riconosciuta come un diritto del paziente e, nel caso peggiore, considerata come un dovere che, in certe condizioni, può essere imposto da terzi. Quando la porta è accostata si sa per esperienza che non ci vuole monto ad aprirla del tutto».


[1] Cf. Su Settimananews: Belgio: eutanasia e ospedali religiosi; Eutanasia in ospedali cattolici?; Eutanasia anche per i minori.

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Un commento

  1. Adelmo Li Cauzi 10 maggio 2020

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