Dopo il varo delle unioni civili

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Fiocco unioni civili

Fiocco arcobaleno sulla giacca del ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, durante il dibattito sulla fiducia posta dal governo sul ddl sulle unioni civili nell’Aula della Camera, Roma, 11 maggio 2016 ( ANSA/Giuseppe Lami)

Il voto di fiducia della Camera ha chiuso la pratica delle unioni civili. Le cronache raccontano che il clima della “finale” è stato molto più sereno di quello della “semifinale”: gli umori roventi del momento in cui il governo ha posto la questione di fiducia si sono rapidamente raffreddati quando si è fatta valere la legge del numero. La logica parlamentare sa distinguere ciò che attiene alle controversie regolamentari e ciò che riguarda il merito delle scelte. Accade invece che spesso tale distinzione non abbia riscontro nelle valutazioni esterne, anche autorevoli, forse influenzate dai toni altisonanti delle dichiarazioni, quelle delle minoranze come quelle delle maggioranze. Quali fossero gli umori reali dei rappresentanti del popolo lo si è visto del resto nei numeri della votazione finale sul testo definitivo dove non ha funzionato il vincolo della disciplina di gruppo e dove a quanti avevano votato la fiducia si sono aggiunti i grillini con un’astensione che alla Camera va aggiunta ai “si”.

Smaltito l’influsso della … distrazione procedurale, ha avuto breve durata anche la minaccia di astensione di quel candidato “moderato” alla guida di Roma Capitale il quale, avendo proclamato che non avrebbe mai “celebrato” le unioni civili ha poi saggiamente precisato che non lo avrebbe fatto con la pompa magna ostentata dal sindaco Marino per di più in assenza di una legge. Resta la “direttiva” di Salvini ai “suoi” sindaci e sarà da vedere quanti la seguiranno. Per simmetria va anche annotato che le grida di esultanza dei vincitori non hanno raggiunto una soglia insopportabile. In realtà era chiaro che dopo l’avvenuto superamento dell’ostacolo del Senato, il percorso sarebbe stato in discesa e che la politica avrebbe metabolizzato “la cosa”.

Ipotesi di rivalsa

Tutto tranquillo dunque? Sarebbe avventato ritenerlo perché si tratta pur sempre di una legge che ferisce una sensibilità consolidata, specie in quella parte dell’area cattolica che ha vissuto l’intera vicenda, fin dalle sue lontane origini, come la premonizione di una sconfitta. E che adesso è esposta – perché non ammetterlo? – alla tentazione di imboccare un percorso di ritorsione.

Le possibilità di scelta sono molte. La prima, preannunciata da tempo, è quella del “popolo della famiglia” che per bocca del suo leader, Gandolfini, conferma di voler «scatenare l’inferno» sul governo Renzi in occasione del referendum sulle riforme costituzionali in programma per ottobre. Nel frattempo alcune componenti di quel popolo azzardano un problematico collaudo nelle amministrative di primavera, cominciando da Roma. Sarà interessante analizzarne i risultati.

Ma è già in campo, promotore Giovanardi, l’ipotesi classica del referendum abrogativo ad hoc; e qui bisogna dire che la conformazione della legge offre un facile bersaglio alle tattiche referendarie. Chi non volesse correre il rischio di una disfatta totale scommettendo su un unico quesito avrebbe infatti l’opportunità di proporre l’abrogazione soltanto per la parte della legge che istituisce le “unioni civili” tra persone dello stesso sesso, lasciando intatta l’altra parte, quella che regola le “unioni di fatto”, o convivenze, con una normativa di stampo privatistico. Sarebbe una tattica simile a quella adottata ai tempi dell’aborto, quando, da parte cattolica, si proposero due quesiti: uno detto “massimale” che cancellava l’intera legge (e fu rifiutato dalla Corte) e l’altro detto “minimale” che consentiva soltanto l’aborto terapeutico e che fu respinto dagli elettori.

L’unico inconveniente, se si scegliesse questa seconda ipotesi, sarebbe che essa farebbe sopravvivere un impianto analogo a quello dei “DiCo” (dichiarazioni di convivenza) messi in cantiere dall’ultimo centrosinistra di Prodi e condannati dalla CEI come lesivi di uno dei valori non negoziabili. Ma il tempo trascorso potrebbe aver limato certe asprezze e l’impresa potrebbe essere accreditata o come una mediazione o come una riduzione del danno. Il tutto, ovviamente, mettendo in conto uno smacco di cui davvero non si avverte il bisogno.

Lacune da colmare

Lasciando a chi vuole simili esercitazioni di muscoli e di fantasia, varrebbe invece la pena esaminare i problemi, che esistono e persistono, da un punto di vista meno irrealistico e più costruttivo.

C’è innanzitutto da approfondire, sia in sede di interpretazione sia in sede di attuazione, la “verità interna” della legge testé approvata. In essa è scritto che non si vuole istituire un matrimonio di nuovo genere: è stato affermato solennemente nel dibattito parlamentare ed è criterio obbligato di lettura del testo. Ora si tratta di dare corpo e visibilità a tale impostazione facendo risaltare, oltre le naturali sovrapposizioni con molti aspetti dell’unione matrimoniale, le differenze di immagine e di sostanza che giustifichino la diversità del concetto. La gamma delle opportunità è vasta e non riguarda solo le forme, compresa la modulistica, della registrazione dell’unione civile, che può avvenire senza scandalo in luoghi e con modalità specifiche. Si può operare anche sulla speciale configurazione dei diritti e dei doveri all’interno delle coppie e di esse verso la comunità.

Le questioni penali

Una materia su cui intervenire è stata poi individuata dagli organismi interni della Camera dei deputati e già ampiamente illustrata dalla dottrina. La lacuna rilevata riguarda i riflessi penali della istituzione delle “unioni”. La legge li estende in modo generico a ciascuna delle parti dell’unione ma precisa che lo fa «al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso». Ma al di fuori di tale «solo fine» vi sono molte situazioni che richiedono attenzione. Ad esempio: l’omicidio del partner dell’unione è da considerare aggravato al pari di quello del coniuge? Non è cosa da poco visto che la pena massima passa da 24 a 30 anni di reclusione. Un titolo del Corriere della sera ha messo in evidenza che stando alla lettera della legge la bigamia sarebbe consentita tra partner mentre resterebbe vietata tra coniugi. Uno studio apparso sul sito DPC (diritto penale contemporaneo) enumera ben 29 voci di vuoti da riempire per stabilire se e quali misure penali applicare o meno alle varie ipotesi considerate.

Il governo, che non ha tenuto conto di queste osservazioni in sede di discussione alla Camera, è però impegnato a emanare un decreto di armonizzazione nel quale chiarire, nel bene e nel male, i punti controversi. Ma qui si è già fuori dal perimetro delle ritorsioni e dei risentimenti. Si è entrati cioè in una pars costruens che è davvero tutta da immaginare.

Il destino della famiglia

E qui davvero emerge la distanza che passa tra la realtà del presente – che include, lo si voglia o no, anche le forme di unione testé regolamentate in Italia – e una visione delle cose che risente di impianti culturali e giuridici appartenenti a una narrazione compiuta. Il destino della famiglia si gioca in questo contesto, non in un altro per quanto desiderabile. È la sfida che sta, in particolare, davanti ai cristiani: come innestare in questo tempo che ci è dato di vivere l’impulso di una redenzione umanistica che – citando Giovanni XXIII – non riduca la vita del cristiano ad “un museo di antichità”.

Il Sinodo dei vescovi, appena concluso, e l’esortazione apostolica sull’amore nella famiglia di papa Francesco forniscono al popolo di Dio, anche in Italia, un’ispirazione fondamentale ed anche gli utensili necessari per affrontare, senza la pretesa di risultati immediati ma con la fiducia del seminatore, le realtà vecchie e nuove delle manifestazioni dell’amore nella vita delle persone, delle coppie, della società. Forse – ed è augurabile che il dubbio svanisca – nelle pagine di Francesco si possono trovare le motivazioni e gli impulsi per riproporre, senza pretese imperialistiche, tutte le ragioni della famiglia cristiana da affermare non in virtù di leggi che non verranno più ma in virtù di una testimonianza che si accredita nella quotidianità. Tuttavia, se questa sia la via praticabile lo si può stabilire soltanto dopo averla percorsa.

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