Fine-vita: legge e responsabilità

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disposizioni anticipate di trattamento

Con 180 voti favorevoli, 71 contrari e 6 astenuti, il Senato della Repubblica ha approvato in forma definitiva la legge in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento, mettendo fine a un lungo e affannoso iter legislativo durato quasi vent’anni. Ce ne parla Roberto Massaro, docente di teologia morale alla Facoltà di Puglia.

Un po’ di storia…

Era il 28 marzo 2001 quando, con la legge 145, l’Italia ha ratificato la Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina (da tutti conosciuta come Convenzione di Oviedo). In essa, all’art. 9, è ribadita l’importanza di tenere in conto i desideri (souaiths/wishes) precedentemente espressi dal paziente riguardo ai trattamenti medici cui essere sottoposto. Tuttavia, l’art. 3 della legge italiana delega il governo ad adottare uno o più decreti legislativi per adeguare l’ordinamento giuridico italiano ai principi espressi nella Convenzione.

Da allora sono stati numerosi i tentativi messi in atto dal Parlamento italiano e altrettanto numerosi e infuocati i dibattiti che hanno visto ancora una volta contrapporsi “laici” e “cattolici” sull’impervio terreno della bioetica.

Richiamiamo qui, in modo sintetico, i passi più significativi compiuti fino ad ora.

  1. La cosiddetta “Commissione Oleari”, voluta dal Ministro della Salute Umberto Veronesi nel 2000 e presieduta dal dott. Fabrizio Oleari. Il Gruppo di studio sui trattamenti di nutrizione e idratazione nei soggetti in stato irreversibile di perdita della coscienza lavorò in concomitanza con la vicenda di Eluana Englaro con l’obiettivo specifico di operare una chiarificazione terminologica e scientifica sullo stato vegetativo permanente (SVP). Nel documento, infatti, si leggeva che ogni intervento su un individuo umano, sia esso una terapia o un trattamento, deve essere giustificato e pienamente accolto dal paziente mediante l’istituto del consenso informato, regola fondamentale che governa il rapporto medico-paziente. Nelle disposizioni il diretto interessato può decidere anche in merito all’idratazione e alla nutrizione artificiali, considerati dal documento un trattamento medico a tutti gli effetti.
  2. Un secondo pronunciamento degno di nota è quello del Comitato Nazionale di Bioetica (CNB) del 18 dicembre 2003. Il testo predilige l’uso del termine “dichiarazioni” al posto di “direttive”, indicando, in tal modo, sulla scia della Convenzione di Oviedo, che non si tratta né di disposizioni vincolanti da seguire acriticamente, né di desideri puramente orientativi. Ciò per salvaguardare l’autonomia del paziente e non ridurre il medico a semplice esecutore, rispettando altresì la sua autonomia. Le DAT (Dichiarazioni anticipate di trattamento), inoltre, non sono concepite come uno strumento per indicare unicamente entro quale soglia il paziente voglia rimanere in vita, ma devono contenere altre indicazioni riguardanti l’assistenza religiosa, le preferenze terapeutiche. Controversa fu, nel comitato, la discussione riguardante nutrizione e idratazione artificiali.

Disposizioni anticipate di trattamento

Il Parlamento italiano ha discusso diverse proposte di legge sulle DAT. Tra queste ne ricordiamo principalmente due:

  1. Il disegno di legge (Ddl) dei deputati dell’Ulivo Griffagnini e Bracco del 1999. Composta da soli 4 articoli, era incentrata sul rispetto del principio di autodeterminazione del paziente.
  2. Il celebre Ddl del Raffaele Calabrò, datato 26 marzo 2009, nato in concomitanza con la vicenda Englaro. Dall’art. 3 all’art. 8 esso affronta il tema delle dichiarazioni anticipate. Ogni persona, in previsione della perdita della propria capacità mentale, può rinunciare ai trattamenti terapeutici che ritiene sproporzionati o sperimentali. Nutrizione e idratazione, anche somministrate in via artificiale, «sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita» (art. 3 §5). Esse, pertanto, non possono essere oggetto di dichiarazione anticipata.
La legge attuale

Dopo l’approvazione del Ddl, avvenuta alla Camera il 20 aprile scorso, ci sono voluti otto mesi, caratterizzati da forti tensioni, perché il testo venisse approvato anche al Senato.

Composto da sette articoli, esso «stabilisce che nessun trattamento può essere iniziato e proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge» (art. 1).

Il documento valorizza la relazione di cura tra medico (o équipe medica) e paziente, fondata sul consenso informato e sull’interazione tra l’autonomia del paziente e la professionalità e le competenze del medico. In tale prospettiva il consenso, scritto o videoregistrato, può prevedere il rifiuto di qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario, comprese l’idratazione e la nutrizione artificiali.

Compito del medico è quello di alleviare le sofferenze del paziente, evitando ogni forma di accanimento terapeutico e garantendo un’appropriata terapia del dolore o, se necessario, la sedazione palliativa permanente.

Anche a minori e incapaci va garantita un’adeguata informazione circa le scelte riguardanti la salute, seppure il consenso o il rifiuto dei trattamenti spetti, per i minori, a chi esercita la responsabilità genitoriale e, per gli incapaci, al tutore o all’amministratore di sostegno.

Ogni persona maggiorenne e in grado di intendere e di volere può disporre, per iscritto o tramite videoregistrazione, le proprie volontà circa i trattamenti sanitari da ricevere in previsione di una eventuale futura inabilità e può definire, riguardo all’evolversi di una patologia cronica e invalidante, una pianificazione delle cure condivisa tra medico e paziente e alla quale il medico è tenuto ad attenersi. Le DAT possono essere disattese, in un accordo tra medico e fiduciario, solo quando esse appaiano incongrue alla condizione attuale del paziente, oppure nel caso in cui siano state scoperte nuove terapie non prevedibili al tempo della stesura delle DAT.

Si contempla, inoltre, la possibilità, per il paziente, di indicare un fiduciario che operi in sua vece nella relazione con l’équipe medica, in caso di sopravvenuta incapacità.

Il dibattito che da ieri infiamma la discussione (spesso ideologizzata o banalizzata sui social network) si sta articolando su tre fronti: il timore che le disposizioni siano il primo passo verso la legalizzazione dell’eutanasia; quali e se vi siano dei limiti all’autonomia della persona; se nutrizione e idratazione artificiali possano o meno essere sospese, qualora vi sia richiesta esplicita da parte del paziente.

Discernimento

A nostro avviso, il Ddl rappresenta il modo attraverso cui ogni persona ha la possibilità, nel più grande rispetto nei confronti del valore della vita, di decidere della qualità degli ultimi istanti della sua esistenza, come del resto ha fatto lungo tutto l’arco della vita, mediante la consapevolezza dell’incontro inevitabile con la morte e accompagnato da persone (medici, familiari e amici) che si prendano cura di lui e lo accompagnino nelle sue scelte.

  1. Non si tratta di spianare la strada verso scelte che consentano all’individuo di decidere “quando” morire, ma di indicazioni che gli permettano di scegliere “come” morire, cogliendo una sfida importantissima, ben sottolineata dal Gruppo di studio della Bioetica della rivista gesuitica Aggiornamenti sociali, di “custodire le relazioni fino all’ultimo”.
  2. Secondo alcuni, poi, le DAT sarebbero uno strumento che enfatizza una forma di autonomia “selvaggia”. In realtà il Ddl pone attenzione all’autonomia che ogni individuo deve avere nelle scelte che riguardano la sua salute (così come la nostra stessa Costituzione sancisce). Questa autonomia, tuttavia, non appare assoluta, ma relazionale e dialogica: le DAT si redigono mettendo in stretta connessione il paziente con l’équipe Al paziente viene data la possibilità di esprimere i propri orientamenti e di essere tutelato in una situazione di estrema vulnerabilità; al medico viene riconosciuta la possibilità di informare e accompagnare il paziente, interpretandone le volontà. Si tratta di entrare sempre più nella logica della patient-centered care, di una “cura” che rispetti la persona nel profondo. Per tale ragione, riteniamo che, per un miglioramento del Ddl, occorrerebbe rimarcare l’aspetto relazionale delle scelte riguardanti la fine della vita. Se tutta la vita della persona è marcatamente segnata dalle relazioni, per quale ragione gli ultimi istanti dell’esistenza dovrebbero essere lasciati al mero arbitrio personale?
  3. Cosa dire, infine, sull’annosa questione della nutrizione e idratazione artificiali? Conosciamo i pronunciamenti del Magistero sulla necessità di fornire sempre, in linea di principio, la nutrizione e l’idratazione artificiali (pur individuando casi in cui tale somministrazione apparirebbe impossibile). Il Ddl, invece, consentirebbe al paziente di disporne la sospensione. Tale problema morale va, forse, affrontato valutando non soltanto l’efficacia della terapia di sostegno vitale, ma considerandone l’effettiva proporzionalità sulla base dello stato fisico ed emozionale del paziente e nel rispetto delle sue convinzioni più profonde. Nutrizione e idratazione artificiali, infatti, possono costituire a tutti gli effetti un trattamento medico che, in quanto tale, non può sfuggire al giudizio di proporzionalità.

A vent’anni dal primo trattato internazionale sulla bioetica, in cui si è sancita l’importanza di “prendere in considerazione” i “desideri precedentemente espressi” di un individuo in ordine al consenso sulle terapie mediche, dopo anni di aspre opposizioni tra movimenti pro life e pro choice, il nostro Paese ha approvato una legge che, seppur con le imperfezioni che ogni legge porta con sé, sta rivalutando una cura fortemente centrata sul paziente, sulle sue relazioni e sulla sua capacità di discernere la proporzionalità di un trattamento.

Cosa può fare ora la comunità ecclesiale? Non credo che le lotte per ribadire asetticamente principi morali intangibili possano più costituire il nostro stile ecclesiale. Sono, invece, persuaso che sia compito urgente educare, ed educare al discernimento, perché a ogni coscienza sia riconosciuta la sua inviolabile dignità.

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3 Commenti

  1. Patrizia Pane 17 dicembre 2017
  2. Giovanni Semidoppio 16 dicembre 2017
  3. Claudio Bargna 16 dicembre 2017

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