Francia: leggi bioetiche e consenso popolare

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Le lobby spingono, i parlamenti legiferano, le piazze si contrappongono, ma sulle leggi bioetiche la sensibilità comune è già oltre. I confini etici giudicati invalicabili sembrano privi di consistenza.

È l’impressione immediata davanti alla ricerca del più importante istituto di indagine francese (Isfop), del giornale cattolico (La Croix – che l’ha resa pubblica il 3 gennaio 2018) e del Forum européen de bioéthique, sulle tematiche bioetiche che gli “stati generali” di bioetica affronteranno il 18 gennaio prossimo, in vista di possibili aggiornamenti legislativi.

Il presidente francese Emmanuel Macron ha incontrato i rappresentanti maggiori delle fedi e confessioni cristiane il 22 dicembre scorso, confortandoli con l’affermazione: «la Repubblica è laica, ma non la società». La ricerca sociale (per quello che può valere) sembra affermare che anche la società è laicizzata.

leggi bioetiche

Le leggi bioetiche sono giudicate importanti dall’89% degli intervistati (92% dei cattolici). Favorevoli all’estensione della procreazione assistita alle lesbiche il 60% (56% dei cattolici) e alle donne celibi il 57% (53% dei cattolici). Utero in affitto? 64% sì (60% dei cattolici). Il suicidio assistito e l’eutanasia? 89% sì (89% dei cattolici). Modificazione dei geni? 80% sì (81% dei cattolici). Banche dati informatici delle informazioni mediche? Per essere meglio seguiti 38%, per la ricerca medica 32%, no 30% (per i cattolici, 38%, 34%, 28%). Conservare gli ovociti e gli spermatozoi? Gratuitamente 90%, anonimi 85% (cattolici 88% e 91%).

Dati che vanno letti con maggiore accuratezza e che non vanno applicati semplicisticamente al caso italiano, ma che rimangono sorprendenti.

Meglio il Vangelo dei principi non negoziabili

Anzitutto per la rapidità dei mutamenti. Nel 1990 solo il 24% era a favore della procreazione assistita alle lesbiche, nel 2013 diventa il 47%, nel 2017 il 60%.  Poi per la sostanziale uniformità fra opinione laica e adesione religiosa, compreso l’islam (anche se qualche variazione è rilevabile fra cattolici frequentanti e no e, per alcuni casi, fra cattolici e altri). Anche le differenze generazionali e di posizione politica non sono decisive. Infine, per la contraddittorietà delle riposta: aprire all’utero in affitto entra in rotta di collisione con la richiesta della gratuità e dell’anonimato.

Sembrano confermarsi i processi di de-cristianizzazione e i mutamenti radicali nell’ethos collettivo. Dalla ripetizione della tradizione al contratto sociale, all’io «auto-poietico» (che si fa da sé). «La vecchia matrice strutturante della società che era chiaramente di ispirazione cristiana è in via di scomparsa a grande velocità» (J. Fourquet).

«I consensi etici, parzialmente fioriti sul cristianesimo, sono fragili se non  sbriciolati: valore del corpo e dell’unità della persona, indisponibilità mercantile del corpo e della persona, durata del legame matrimoniale, rapporto sessualità-procreazione, negazione di principio sulla ricerca embrionale, incompatibilità dell’eutanasia con la professione medica, centralità della cura del più debole e del bene del bambino, solidarietà nella cura» (B. Saintôt).

L’autonomia e la libertà personale sono diventati i riferimenti consueti. Premesse di una società che privilegia la legge del più forte: gli uteri in affitto saranno quelli delle donne più povere, così come l’intervento eutanasico sarà sugli anziani più indifesi. La forma “compassionevole” con cui si giustificano le leggi (per evitare la sofferenza di non avere figli, di affrontare la morte ecc.) nasconde il privilegio concesso ai forti.

Senza rinunciare alla conquista dei diritti individuali e senza nostalgie autoritarie, l’apparire di un individualismo privo di ascolto «dell’altro» dovrebbe far pensare. Un sociologo italiano, V. Cesareo, parlava quattro anni fa di «narcisismo minimo», connotandolo così: autorefenziale, chiuso agli altri, culto dell’apparenza, disinteressato alla realtà esterna e alla dimensione temporale, con legami sociali deboli, indifferente alle distinzione qualitative, privo di elaborazione simbolica (cf. Sociologia, n. 2, 2014). Un peso di rilievo lo riveste la potenza dell’apparato tecnico: se si può fare, lo si deve fare. Provare il contrario sta a chi si oppone.

La Chiesa e le religioni

Tutto questo modifica significativamente il ruolo della Chiesa e delle religioni. Così si esprime il vescovo di Havre, mons. J.-L. Brunin: «Per lungo tempo la Chiesa ha creduto che la sua antropologia fosse ancora largamente appoggiata. Forse incoraggiata da certi discorsi sulle radici cristiane d’Europa che vogliono far credere che il fondo della nostra cultura sia ancora cristiano. Ci siamo facilmente accontentati di richiamare i principi, il “dover essere” secondo noi. Il dibattito attorno alla legge “matrimonio per tutti” aveva già chiaramente manifestato che un grande numero dei nostri concittadini, anche cattolici, non condividevano più la nostra visione dell’uomo».

Dobbiamo tornare a dire il Vangelo all’interno del discorso pubblico come proposta positiva, attraverso la testimonianza della vita, mettendo in campo la sua ragionevolezza e bellezza: le cure palliative sono meglio dell’eutanasia, la chiamata a fecondità “altre” è meglio dell’accanimento sul diritto a un figlio, il bambino cresce meglio con la doppia figura parentale ecc.

«Dobbiamo assolutamente evitare due scogli:  del disfattismo e della crociata. Nei due casi il pericolo è di ripiegarsi su noi stessi, di chiuderci in “riserve cattoliche”. I risultati della ricerca devono essere letti come una sfida mobilitante, come occasione di una nuova evangelizzazione, non per riempire le chiese, ma per servire l’uomo che cerca il suo futuro» (La Croix, 3 gennaio).

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