Il reato di pedopornografia

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«Giustamente si insiste sulla gravità di questi problemi per i minori, ma di riflesso si può sottovalutare o cercare di far dimenticare che esistono anche problemi per gli adulti e che il limite di distinzione fra la minore e la maggiore età è necessario per le normative giuridiche, ma non è sufficiente per affrontare le sfide, perché la diffusione della pornografia sempre più estrema e degli altri usi impropri della rete non solo causa disturbi, dipendenze e gravi danni anche fra gli adulti, ma incide effettivamente anche sull’immaginario dell’amore e sulle relazioni tra i sessi. E sarebbe una grave illusione pensare che una società in cui il consumo abnorme del sesso nella rete dilaga fra gli adulti sia poi capace di proteggere efficacemente i minori… La rete ha aperto uno spazio nuovo e larghissimo di libera espressione e scambio delle idee e delle informazioni. È certamente un bene, ma, come vediamo, ha anche offerto strumenti nuovi per attività illecite orribili e, nel campo di cui ci occupiamo, per l’abuso e l’offesa della dignità dei minori, per la corruzione delle loro menti e la violenza sui loro corpi. Qui non si tratta di esercizio di libertà, ma di crimini, contro cui bisogna procedere con intelligenza e determinazione, allargando la collaborazione dei governi e delle forze dell’ordine a livello globale, come globale è diventata la rete». (papa Francesco, dal discorso del 6 ottobre 2017 ai partecipanti al congresso “Child dignity in the digital world”)

È passibile di condanna penale per il reato di pornografia minorile ex art. 600 ter del codice penale chi induce una minorenne di anni diciotto a farsi selfie a contenuti sessuali per poi inviarli ad un amico su Facebook.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con una sentenza depositata alla fine del mese di agosto[1] che stringe le maglie sul cosiddetto sexting,[2] fenomeno di forte attualità – soprattutto tra i giovani – relativo alla diffusione, tramite social networks, di testi o immagini sessualmente esplicite, condannando il reo a tre anni di reclusione e al pagamento di 18.000 euro di multa.

La sentenza offre l’occasione per illustrare la normativa relativa ad uno dei reati che desta ampia riprovazione nell’opinione pubblica: il reato di pedopornografia.

Il fatto

La decisione prende le mosse dal caso di un ragazzo, minorenne all’epoca dei fatti, che chiede con insistenza alla fidanzata quattordicenne di scattarsi fotografie che la ritraggono nelle sue parti intime o intenta in atti di autoerotismo, facendosele poi inviare sul cellulare intestato alla madre. La ragazza trasmette ventiquattro scatti autoprodotti (selfie).

Dal processo emerge che il giovane ha avuto spesso atteggiamenti violenti e che, quindi, la ex fidanzata ha ceduto al sexting soltanto dietro ricatto. Da qui la condanna in primo grado poi confermata dalla Corte di Appello di Roma.

Nel ricorso per Cassazione il ragazzo si difende, sostenendo che tutti gli scatti erano stati autoprodotti e che, quindi, non vi era stata alcuna forzatura, né sfruttamento della vittima.

Ma per la suprema Corte il ricorso è inammissibile perché, nel corso del procedimento, è stato dimostrato che la volontà della vittima era stata annullata dalle continue vessazioni del ragazzo che l’hanno costretta a subire passivamente le richieste. L’invio degli scatti al profilo Facebook dell’amico ha inoltre concretizzato il pericolo che la condotta fosse idonea a «soddisfare il mercato dei pedofili».

La decisione

La pronuncia è importante, perché alcuni anni fa la Corte di Cassazione[3] aveva escluso la sussistenza del reato di “cessione di materiale pedopornografico”[4] nel caso di una ragazza minorenne che si era scattata volontariamente e senza costrizione dei selfie erotici per poi inviarli ad alcuni coetanei che avevano condiviso le fotografie con gli amici. In quel caso i ragazzi vennero tutti assolti perché per i giudici non c’era stato “sfruttamento” della minore che si era fotografata liberamente.

La nuova sentenza sottolinea però che il discrimine tra autodeterminazione e costrizione è spesso di difficile accertamento e che la strumentalizzazione del minore non è sempre agevole da provare. Va infatti valutato anche lo stato di «soggezione psicologica in cui versa la vittima quando decide di scattarsi le fotografie erotiche».

Il ricatto, anche indiretto, può essere considerato una forma di prevaricazione in grado di rappresentare una strumentalizzazione del minore che fa sussistere il reato punito con la reclusione fino a dodici anni. Anche se il minore acconsente a scattarsi le fotografie ciò non esclude la manipolazione. Non occorre, poi, che ci sia la richiesta di denaro: basta che l’autore abbia sfruttato la fragilità della vittima.

Il reato di pornografia minorile

Il reato di pornografia minorile, introdotto dall’articolo 3 della legge 3 agosto 1998 n. 269 (nota come “legge anti-pedofilia”)[5] e disciplinato dall’articolo 600 ter del codice penale, prevede una pluralità di fattispecie incriminatrici, ciascuna delle quali costituisce uno specifico livello della pedopornografia:

  • l’utilizzo di minori di anni diciotto per realizzare esibizioni o spettacoli pornografici o produrre materiale pornografico, punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 000 a euro 240.000 (comma 1, n. 1);
  • il reclutamento o l’induzione di minori degli anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici o a trarne comunque profitto, puniti con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 000 a euro 240.000 (comma 1, n. 2);
  • la messa in commercio del materiale pornografico utilizzando minori di anni diciotto, punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 000 a euro 240.000 (comma 2);
  • la divulgazione, la distribuzione, la diffusione o la pubblicizzazione, al di fuori delle ipotesi 1-2-3, del materiale pornografico, anche per via telematica, punite con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 2.582 a euro 51.645 e con aumento di pena in misura non eccedente i due terzi se il materiale è di ingente quantità (comma 3);
  • la distribuzione o la diffusione, al di fuori delle ipotesi 1-2-3, di notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, punite con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 582 a euro 51.645 e con aumento di pena in misura non eccedente i due terzi se il materiale è di ingente quantità (comma 3);
  • l’offerta o la cessione, anche a titolo gratuito e al di fuori delle ipotesi 1-2-3-4-5, del materiale pornografico, punito con le reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 549 a euro 5.164 e con aumento di pena in misura non eccedente i due terzi se il materiale è di ingente quantità (comma 4);
  • l’assistere, salvo che il fatto costituisca più grave reato, a esibizioni o spettacoli pornografici in cui siano coinvolti minori di anni diciotto, punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 500 a euro 6.000 (comma 6).

Il delitto può essere commesso da qualsiasi persona, senza che al riguardo sia richiesta una particolare qualifica soggettiva. Autori del reato possono essere anche gli stessi minori.

Il termine minori utilizzato dal legislatore per indicare le vittime del reato non va inteso alla lettera, nel senso che l’illecito si realizzerebbe solo in presenza di una pluralità di minori. In realtà, il reato di pornografia minorile può dirsi integrato in tutti i suoi elementi anche quando si utilizza un solo soggetto di età inferiore ai diciotto anni.

La tutela penale, ai fini pedopornografici, è estesa a tutti i minori di anni diciotto, ancorché il nostro ordinamento riconosca, in tema di atti sessuali con minorenne, libertà di autodeterminazione sessuale a minori che hanno compiuto i quattordici anni di età.[6]

Ponendo l’accento sul carattere lascivo dell’esibizione che coinvolge il minore o parti del suo corpo, la norma qualifica come pornografia minorile «ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali».[7]

Il termine utilizzo va inteso come sinonimo di reificazione, di riduzione del minore ad oggetto, ovvero come vera e propria degradazione del minore ad oggetto di manipolazione, non assumendo rilevanza alcuna il consenso eventualmente prestato dalla vittima,[8] mentre le nozioni di produzione e di esibizione richiedono l’inserimento della condotta in un contesto di organizzazione almeno embrionale e di destinazione, anche potenziale, del materiale pornografico alla successiva fruizione da parte di terzi.[9]

Per materiale pedopornografico deve intendersi qualsiasi cosa ritragga o rappresenti visivamente un minore degli anni diciotto implicato o coinvolto in una condotta sessualmente esplicita, quale può essere anche la semplice esibizione lasciva dei genitali o della regione pubica.[10]

Il reato intende fissare per i minori una tutela anticipata rispetto ai rischi connessi a documentazione di carattere pornografico, sanzionando, indipendentemente da finalità di lucro o di vantaggio, azioni, comunque di per sé degradanti, pericolose per la successiva eventuale diffusione che il materiale prodotto o raccolto può avere.[11]

Le Sezioni unite penali della Corte di Cassazione, con una decisione nota per ora solo nel dispositivo sintetizzato dall’informazione provvisoria resa dopo l’udienza del 31 maggio 2018,[12] disattendendo un orientamento in vigore dal 2000,[13] hanno stabilito che, per la contestazione del reato di produzione di materiale pedopornografico, non è più necessaria la diffusione e hanno, di conseguenza, ritenuto che sia sanzionabile nella maniera più grave anche la semplice produzione a uso personale.

La persona minorenne vittima del reato di pornografia minorile «può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti».[14] Il termine “può” va inteso come dovere del giudice di accogliere l’istanza.[15]

Bene giuridico tutelato

Il reato di pedopornografia è posto a tutela della personalità del minore intesa nella sua interezza, ossia nella sua dimensione interiore (psico-fisica e morale) ed esteriore (sociale). Personalità che può essere lesa o comunque posta in pericolo non solo da forme di sfruttamento pregiudizievoli al benessere del minore ma soprattutto dalla violazione della sua dignità, venendo egli di fatto trattato alla stregua di un oggetto di scambio e strumento di profitto. Non a caso il reato è collocato nel titolo XII del codice penale relativo ai delitti contro la persona e, più in particolare, nel capo III, che raggruppa i delitti contro la libertà individuale, nella sez. I, dedicata ai delitti contro la personalità individuale, subito dopo i reati di riduzione o mantenimento in servitù o schiavitù (articolo 600 c.p.) e di prostituzione minorile (articolo 600 bis c.p.).

Con le incriminazioni sopra richiamate il legislatore ha voluto, dunque, non colpire le offese alla moralità pubblica o al buon costume, ma esclusivamente salvaguardare la dignità del minore, apprestando a suo favore un sistema di tutela marcatamente rafforzato e stigmatizzando tutte quelle situazioni in cui il minore potrebbe trovarsi a vivere esperienze non adeguate al suo livello di maturità sessuale raggiunta.

È di tutta evidenza, infatti, che la reificazione del minore non viola soltanto la sua autodeterminazione sessuale, ma è destinata a pregiudicare in senso più ampio lo sviluppo della vita di relazione e dei rapporti affettivi, alterando la stessa percezione che il minore ha di sé, della propria dignità, del proprio corpo, della propria immagine, anche nel rapporto con gli altri.

È reato anche in caso di pornografia virtuale

Nel 2006 il legislatore, introducendo una specifica norma, ha ampliato e rafforzato la tutela penale contro la pornografia minorile e la detenzione di materiale pedopornografico, estendendola anche alla pedopornografia virtuale.

Rientrano nel concetto di “materiale pornografico”, infatti, anche immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli anni diciotto o parti di esse, ma la pena è diminuita di un terzo.[16]

Per immagini virtuali si intendono immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali.

In tema di pornografia virtuale, è di grande interesse una pronuncia dello scorso anno della Corte di Cassazione[17] che ha inflitto una pena ritenuta di giustizia ad un imputato che, attraverso un noto sistema di condivisione c.d. peer-to-peer, si era consapevolmente procurato e deteneva circa 95.000 immagini a contenuto pornografico raffiguranti minori di anni 18, consistenti in disegni o rappresentazioni fumettistiche ritraenti soggetti, chiaramente minorenni, intenti a subire atti sessuali, definiti dal primo giudice «in svariati casi abietti e raccapriccianti».

Vi si afferma che coloro che producono, diffondono e detengono materiale pedopornografico virtuale vanno perseguiti perché, con simili condotte, alimentano «l’attrazione per manifestazioni di sessualità rivolte al coinvolgimento di minori», mettendone in pericolo il bene intangibile della personalità ancora in formazione.

Lo scopo della criminalizzazione delle condotte di produzione, diffusione e possesso di immagini pedopornografiche virtuali consiste nell’evitare che tali immagini possano divenire lo strumento «per sedurre dei soggetti minori od invitarli a partecipare ad attività sessuali».

Da tutto questo discende che la pedopornografia virtuale rileva sul piano penale anche quando viene realizzata senza utilizzare immagini di “minori reali”, dal momento che ad essere tutelata non è soltanto la libertà sessuale della persona reale eventualmente effigiata, ma anche la personalità e lo sviluppo dei soggetti minorenni intesi come categoria in generale.


[1] Cassazione penale, sez. III, sent. n. 39039 del 28 agosto 2018.

[2] Il termine “sexting”, deriva dall’unione delle parole inglesi “sex” (sesso) e “texting” (pubblicare testo). Si può definire sexting l’invio e/o la ricezione e/o la condivisione di testi, video o immagini sessualmente esplicite. Spesso sono realizzate con il telefonino e vengono diffuse attraverso il telefonino stesso (tramite invio di mms o condivisione tramite bluetooth) o attraverso siti, e-mail, chat, whatsapp o snapchat.

[3] Cassazione penale, sez. III, sent. n. 11675 del 21 marzo 2016.

[4] Articolo 600 ter, comma 4 del codice penale.

[5] E successivamente modificato dalla legge 6 febbraio 2006 n. 38 e poi dalla legge 1° ottobre 2012 n. 172.

[6] Articolo 609 quater del codice penale.

[7] Articolo 600 ter, comma 7 del codice penale. Il 14 dicembre 2017 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sull’attuazione della direttiva 2011/93/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, la quale, tra l’altro, afferma che, invece del sintagma “pornografia minorile”, sarebbe preferibile adottare l’espressione “materiale contenente abusi sessuali su minori” per definire i reati di cui agli articoli 5 e 2, lettera c), della direttiva 2011/93/UE.

[8] Cassazione penale, Sez. III, sent. n. 27252 del 12 luglio 2012.

[9] Cassazione penale, Sez. III, sent. n. 17178 dell’11 marzo 2010.

[10] Cassazione penale, Sez.III, sent. n. 5143 del 1. febbraio 2013.

[11] Cassazione penale, Sez. III, sent. n. 47239 del 6 dicembre 2012.

[12] Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate a seguito dell’ordinanza n. 10167 del 6 marzo 2018 della terza sezione penale della Suprema Corte, che ha confermato la condanna a 9 anni e 8 mesi di reclusione di un prete di Sciacca (Agrigento) per i reati di prostituzione minorile (articolo 600 c.p.) e di pornografia minorile (articolo 600 ter c.p.). Va ricordato che, a decorrere dal 3 agosto 2017, per effetto della legge 23 giugno 2017 n. 103 (art. 1-comma 66) che ha introdotto il comma 1-bis nel corpo dell’articolo 618 del codice di procedura penale sulle decisioni delle sezioni unite, «se una sezione della corte ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza, la decisione del ricorso».

[13] Con sentenza n. 13 del 31 maggio 2000 le Sezioni Unite della Cassazione avevano stabilito che la condotta di chi impiega uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici è punibile, salvo l’ipotizzabilità di altri reati, solo quando abbia una consistenza tale da implicare il concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto.

[14] Articolo 76, comma 4 ter, del Testo Unico Spese di Giustizia (D.p.r. 30 maggio 2002, n. 115).

[15] Cassazione penale, Sez. IV, sent. n. 13497 del 15 febbraio 2017.

[16] Articolo 600 quater. 1 del codice penale, rubricato “Pornografia virtuale”.

[17] Cassazione penale, Sez. III, sent. n. 22265 del 9 maggio 2017.

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