Libertà di espressione

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La libertà di espressione non deve dimenticare il dovere della fraternità, altrimenti diventa un ingiustificato e odioso insulto.

Pedro Casaldáliga, il vescovo catalano di São Félix do Araguaia (Stato del Mato Grosso, nell’Amazzonia brasiliana), morto lo scorso mese di agosto e sepolto tra un péon (bracciante giornaliero di povera condizione, ndtr.) e una prostituta, era solito ricordare che «la libertà con la fame è come un fiore su un cadavere».

Dopo i tre sanguinosi episodi

Parafrasando questa affermazione, oso sintetizzare ciò che, a mio avviso, è più importante nel dibattito sorto in seguito alla decapitazione del professor Samuel Patyen a Parigi, all’assassinio di tre persone nella cattedrale di Nizza e agli attentati di Vienna (Austria): rivendicare il diritto alla libertà di espressione, dimenticando il dovere della fraternità, assomiglia tanto a deporre un fiore su un cadavere.

Questo, credo, è ciò che intendeva dire l’arcivescovo di Tolosa – anche se in modo leggermente sfumato – quando ha dichiarato che «la libertà di espressione ha dei limiti» e che è inaccettabile «prendere in giro le religioni». Andando avanti di questo passo, ha proseguito, vediamo già i risultati. Con le caricature di Maometto è stata versata «benzina sul fuoco».

Le reazioni non si sono fatte attendere. Per Jean-Luc Melenchon, leader della Francia del dissenso, i limiti tollerabili vengono superati quando, come nel nostro caso, «un vescovo giustifica i crimini».

Da parte sua, il vescovo di Nizza ha dichiarato: «Io non sono Charlie (in riferimento al movimento di solidarietà con il settimanale satirico massacrato dai terroristi nel gennaio 2015), io sono André Marceau! Dobbiamo essere noi stessi, con le nostre convinzioni, queste caricature non mi riguardano. Indubbiamente, la libertà di espressione è sacra in Francia, ma ognuno è responsabile di come la usa. Ci sono identità su cui uno non si può scherzare alla leggera». E così si è riaperto il dibattito sulla libertà di espressione e la sua articolazione con la fraternità. Ma non solo in Francia. Segnalo due contributi che trovo particolarmente interessanti, oltre che sensati.

Due intelligenti contributi

Secondo Marco Politi, cronista per molti anni del quotidiano italiano la Repubblica, tutti siamo favorevoli alla libertà di espressione e contro il fondamentalismo e il terrorismo islamista. E, addentrandosi nel nodo gordiano del dibattito, sottolinea che il presunto diritto alla blasfemia è comprensibile nella tutela illimitata della libertà di parola e di stampa contenuta nel primo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti. Alla luce di esso, tutto può essere dialetticamente attaccato, criticato e tradotto in satira. Non esistono santuari politici, etnici, religiosi né istituzionali. Ma, in conformità con la tradizione culturale occidentale, esiste anche il diritto inalienabile di sottoporre tutto ad una analisi critica. Pertanto, non esiste fumetto, articolo, libro, video o pagina web che possa sottrarsi a questo diritto.

E, applicandolo ai fatti, sottolinea che nessuno dubita che il Mein Kampf di Hitler fosse un prodotto della libera (e cattiva) espressione di un individuo. Come nessuno dubita che lo siano le pubblicazioni suprematiste (il suprematismo è un movimento ideologico, basato sull’idea generale che i bianchi gsiano superiori agli altri gruppi etnici, ndtr) tipiche della mentalità razzista negli Stati Uniti, o le vignette antisemite. Se queste espressioni di libertà possono essere sottoposte a giudizio critico, allora lo sono anche le illustrazioni che mostrano Maometto nudo a quattro zampe con una stella gialla sul sedere.

Esercitando questo diritto – scrive Politi –, ritengo che detta vignetta non abbia nulla a che vedere con la denuncia e la lotta al terrorismo. Come non lo avrebbe anche disegnare Abramo o Mosè per denunciare il terrorismo ebraico di Baruch Goldstein quando massacrò – 25 anni fa – 29 fedeli musulmani a Hebron. O Cristo, per condannare i torturatori fascisti dell’America Latina quando sostenevano di prendere la difesa della civiltà cristiana. O Buddha, per denunciare i fanatici buddisti che in Myanmar si accaniscono contro i Rohingya.

Se qualcuno si esprimesse liberamente in questo modo, il suo contributo potrebbe essere considerato – in nome del sacrosanto diritto alla critica – come un’espressione ripugnante.

Ebbene – conclude M. Politi –, applicando la stessa logica, va detto che la caricatura di Maometto a quattro zampe è burlesca e umiliante. Alimenta il disprezzo e l’odio verso quella parte del mondo che – in conformità con un diritto altrettanto inalienabile – professa questa fede religiosa e non ha nulla a che vedere con il terrorismo. In definitiva, si tratta di un ignobile messaggio di incitamento al disprezzo e all’odio, più che cieco, poiché nella lotta al fanatismo terrorista l’imperativo è unire la comunità, non romperla.

D’altra parte, il salesiano Jean-Marie Petitclerc, coordinatore del Don Bosco Social Network (RBAS), ha sottolineato che, in Francia, di fatto, la libertà di espressione ha i suoi limiti poiché non tutto può essere detto, disegnato e scritto. Per esempio, non si possono dipingere la svastica sulle tombe né insultare i genitori e gli insegnanti. Ma c’è di più. Questo diritto è legato al dovere della fraternità e questo si esprime nel rispetto delle convinzioni di ciascuno, credente o no, e quindi evitando disprezzo e scherno.

La caricatura è un’arte che, esplicitando possibili pregiudizi e presupposti, invita a riflettere sorridendo, non insultando. Quando prevale quest’ultimo atteggiamento, ci troviamo davanti ad una volgarità che distorce la convivenza. Questo è ciò che accade con le caricature di Charlie Hebdo.

La laicità francese – prosegue – è di concordia tra tutti i cittadini, quali che siano le loro convinzioni, religiose o atee. Ma non possiamo ignorare l’esistenza di un laicismo che, con la pretesa di sradicare e demonizzare ogni convinzione e appartenenza religiosa, intende ciò come una lotta, diventando un’ideologia antireligiosa. La nostra laicità – conclude – è quella dell’armonia, non della rottura e della divisione.

Ribadisco, alla luce di questi due contributi, che la libertà di espressione non articolata con il dovere della fraternità è un fiore deposto su un cadavere. La verità è che non mi piacciono affatto le onoranze funebri, anche se – per rispetto della convivenza fraterna – mi vedo obbligato a parteciparvi.

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3 Commenti

  1. Giuliana Babini 17 novembre 2020
  2. Giampaolo Centofanti 14 novembre 2020
  3. andrea 12 novembre 2020

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