Maternità surrogata: offesa la dignità della donna

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maternità

La pratica della maternità surrogata, quali che siano le modalità della condotta e gli scopi perseguiti, offende in modo intollerabile la dignità della donna, assecondando un’inaccettabile mercificazione del suo corpo.

Il nostro sistema vieta qualunque forma di surrogazione di maternità, sul presupposto che solo un divieto così ampio è in grado, in via precauzionale, di evitare abuso e sfruttamento di condizioni di fragilità di donne che versano in situazioni sociali ed economiche disagiate.

Non è, pertanto, automaticamente trascrivibile il provvedimento giudiziario straniero, e a maggior ragione l’originario atto di nascita, che indichi quale genitore del bambino il genitore d’intenzione, che insieme al padre biologico ne ha voluto la nascita ricorrendo alla surrogazione nel Paese estero, sia pure in conformità della legge in esso vigente.

Nondimeno, anche il bambino nato da maternità surrogata ha un diritto fondamentale al riconoscimento, anche giuridico, del legame sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con colui che ha condiviso il disegno genitoriale.

L’ineludibile esigenza di assicurare al bambino nato da maternità surrogata gli stessi diritti degli altri bambini nati in condizioni diverse è garantita attraverso l’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, primo comma, lettera d), della legge 4 maggio 1983 n. 184.

Allo stato dell’evoluzione dell’ordinamento, l’adozione rappresenta lo strumento che consente di dare riconoscimento giuridico, con il conseguimento dello status di figlio, al legame di fatto con il partner del genitore genetico che ha condiviso il disegno procreativo e ha concorso nel prendersi cura del bambino sin dal momento della nascita.

È quanto affermato dalle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione con sentenza n. 38162 depositata il 30 dicembre 2022.

Trattasi di una pronuncia che torna ad affrontare un problema denso di implicazioni etiche, antropologiche e sociali, prima ancora che giuridiche e che mette in gioco il valore fondamentale della dignità umana, alla quale è preordinato il divieto – stabilito dall’art. 12, comma 6, della legge 19 febbraio 2004 n. 40 – di ricorso alla maternità surrogata, cioè all’accordo con il quale una donna si impegna ad attuare e a portare a termine una gravidanza per conto di terzi, rinunciando preventivamente a reclamare diritti sul nascituro.

Il fatto

Il caso che ha dato origine al giudizio riguarda un bambino nato in Canada nel 2015 da una donna nella quale era stato impiantato un embrione formato dall’ovocita di una donatrice e dal gamete di un uomo di cittadinanza italiana, unito in matrimonio in Canada – con atto trascritto in Italia nel registro delle unioni civili – con altro uomo, pure di cittadinanza italiana, con il quale aveva condiviso il progetto genitoriale.

Quando il bambino viene alla luce, le autorità canadesi formano un atto di nascita che indica come genitore il solo padre biologico, senza menzionare né il padre intenzionale, né la madre surrogata, né la donatrice dell’ovocita.

Accogliendo il ricorso della coppia, nel 2017 la Corte Suprema della British Columbia dichiara che entrambi i ricorrenti devono figurare come genitori del bambino e dispone la corrispondente rettifica dell’atto di nascita in Canada.

Sulla base del provvedimento della Corte Suprema canadese, la coppia nel 2017 chiede all’ufficiale di stato civile italiano di inserire nell’atto di nascita del bambino in Italia come genitore non solo il solo padre biologico ma anche il padre intenzionale.

L’ufficiale di stato civile rifiuta la richiesta.

La Corte d’Appello, invece, accoglie il ricorso della coppia, riconoscendo l’efficacia in Italia del provvedimento canadese.

Avverso la decisione della Corte di Appello l’Avvocatura di Stato nel 2018 ricorre in Cassazione, nell’interesse del Ministero dell’interno e del sindaco del Comune ove era stato trascritto l’atto di nascita del minore.

Si dà così avvio a una vicenda giudiziaria decisamente complessa che è presumibile possa considerarsi ora chiusa con la recente decisione delle Sezioni unite della Suprema Corte. Su di essa, infatti, già si era pronunciata la Corte costituzionale con sentenza n. 33 del 9 marzo 2021,[1] a seguito di una questione di costituzionalità sollevata dalla Prima sezione civile della Corte di Cassazione nell’aprile del 2020. La medesima vicenda era stata ripresa in giudizio dinanzi alla Cassazione la cui Prima sezione civile con ordinanza n. 1842 del 21 gennaio 2022 aveva rimesso gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite che, con la pronuncia del 30 dicembre 2022, hanno affermato il principio di diritto sopra riportato.

La dignità umana: principio giuridico fondante

Scopo della presente nota non è quello di soffermarsi sui profili giuridici della vicenda, ma piuttosto quello di richiamare quanto le Sezioni Unite affermano in ordine all’operatività del principio della «dignità umana» che rappresenta, in ambito giuridico, un’acquisizione relativamente recente, nonostante costituisca da secoli oggetto della riflessione filosofica.

Tale diritto, infatti, fa la sua prima comparsa nelle Costituzioni degli Stati usciti dalla seconda guerra mondiale: Costituzioni che si ispirano, a loro volta, alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata a Parigi il 10 dicembre 1948 che può essere considerata «il più importante punto di riferimento per un dibattito interculturale sulla libertà e dignità umana oggi nel mondo»,[2] ovvero il codice genetico di una rivoluzione giuridica, politica e culturale che è tuttora in atto nel segno della centralità della persona umana.

Commentando la prima parte dell’art. 1 della Dichiarazione universale dei diritti umaniTutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti»), Antonio Papisca, grande maestro di scienza giuridica e di vita, scriveva: «In epoca di assolutismo ci fu chi disse: «L’Etat c’est moi» (lo Stato sono io). In virtù del riconoscimento giuridico dei diritti umani ciascuno di noi può a giusto titolo dire: «La Loi c’est moi» (la Legge sono io), beninteso la legge fondamentale, non il privilegio o il capriccio o il lusso. Dire diritti umani significa dire consapevolezza di altissima responsabilità personale e sociale, da spendere in termini di solidarietà e di servizio alla comunità».[3]

Sfruttamento del corpo delle donne e dignità

Particolarmente rilevante e persuasivo, sul piano non solo giuridico, risulta essere quanto scrivono i giudici delle Sezioni Unite della Cassazione in tema di «dignità umana» che la giurisprudenza costituzionale qualifica a volte come «valore fondamentale» o come «fine dell’ordinamento», a volte come «valore posto dalla Costituzione alla base dei diritti della persona umana» o come «valore costituzionale che permea di sé il diritto positivo».

Come tutti i principi generali, infatti, anche quello della dignità umana è caratterizzato da una sempre attuale eccedenza assiologica rispetto alle norme giuridiche che tendono a realizzarlo nei vari contesti dove la persona umana si trova a vivere.

La sentenza delle Sezioni Unite fa ampio uso del principio di dignità, dando ragione a chi lo considera un elemento decisivo ai fini dell’effettiva tutela dei diritti fondamentali.

Al paragrafo 16 dei motivi della decisione si legge che «nel quadro delle metodiche di procreazione medicalmente assistita, la maternità surrogata riveste una posizione del tutto peculiare rispetto alle ordinarie procedure di fecondazione artificiale, omologa o eterologa, postulando la collaborazione di una donna estranea alla coppia, che presta il proprio corpo per condurre a termine una gravidanza e partorire un bambino non per sé ma per un’altra persona».

A questa prassi il nostro ordinamento attribuisce un elevato grado di disvalore, dal momento che «l’operazione che tende a cancellare il rapporto tra la donna e il bambino che porta in grembo, ignorando i legami biologici e psicologici che si stabiliscono tra madre e figlio nel lungo periodo della gestazione e così smarrendo il senso umano della gravidanza e del parto, riducendo la prima a mero servizio gestazionale e il secondo ad atto conclusivo di tale prestazione servente, costituisce una ferita alla dignità della donna».

Il divieto, penalmente sanzionato, di maternità surrogata «esprime l’esigenza di porre un confine al desiderio di genitorialità ad ogni costo, che pretende di essere soddisfatto attraverso il corpo di un’altra persona utilizzato come mero supporto materiale per la realizzazione di un progetto altrimenti irrealizzabile».

L’offesa intollerabile della dignità della donna recata dalla pratica della maternità surrogata – ricordano le medesime Sezioni Unite – è stata stigmatizzata non solo in più occasioni dalla Corte Costituzionale[4] ma anche dal Parlamento europeo e dalle Corti Supreme di altri Paesi.

Per il giudice italiano delle leggi, «gli accordi di maternità surrogata comportano un rischio di sfruttamento della vulnerabilità di donne che versino in situazioni sociali ed economiche disagiate; situazioni che, ove sussistenti, condizionerebbero pesantemente la loro decisione di affrontare il percorso di una gravidanza nell’esclusivo interesse di terzi, ai quali il bambino dovrà essere consegnato subito dopo la nascita».[5]

Mentre per il Parlamento europeo, la condanna della pratica della maternità surrogata è giustificata dal fatto che essa costituisce una violazione della dignità umana e può esporre allo sfruttamento e alla tratta le donne di tutto il mondo, in particolare quelle più povere e in situazioni di vulnerabilità, come nel contesto della guerra».[6]

Con la sentenza n. 277 del 31 marzo 2022, anche il Tribunale Supremo spagnolo ha affermato che il contratto di maternità surrogata comporta uno sfruttamento della donna e non può accettarsi per principio: il desiderio di una persona di avere un figlio, per quanto nobile, non può realizzarsi al costo dei diritti di altre persone.

Tutela della dignità umana nella sua dimensione oggettiva

La pronuncia è, a mio sommesso parere, condivisibile e merita attenzione in quanto insiste su una visione della dignità umana di taglio fortemente oggettivo, che comporta l’onere per lo Stato di considerare profondamente lesiva della dignità della donna la pratica della maternità surrogata anche laddove essa sia considerata lecita nell’ordinamento di origine, in quanto frutto di una scelta libera e indipendente da contropartite economiche, a nulla rilevando che la materia sia diversamente disciplinata da Paesi vicino al nostro o che una parte del pensiero giuridico e culturale del nostro Paese prenda le distanze dall’idea che il valore della persona possa imporsi alla persona medesima anche oltre quanto da questa voluto in maniera libera, consapevole e non condizionata.

Conviene, al riguardo, citare testualmente alcuni «passaggi» del paragrafo n. 18 dei motivi della decisione.

«Il legislatore italiano […], nel disapprovare ogni forma di maternità surrogata, ha inteso tutelare la dignità della persona umana nella sua dimensione oggettiva, nella considerazione che nulla cambia per la madre e per il bambino se la surrogazione avviene a titolo oneroso o gratuito. Indipendentemente dal titolo, oneroso o gratuito, e dalla situazione economica in cui versa la madre gestante (eventuale stato di bisogno), la riduzione del corpo della donna ad incubatrice meccanica, a contenitore di una vita destinata ad altri, ne offende la dignità, anche in assenza di una condizione di bisogno della stessa e a prescindere dal concreto accertamento dell’autonoma e incondizionata formazione del suo processo decisionale».

«Nella maternità surrogata il bene tutelato è la dignità di ogni essere umano, con evidente preclusione di qualsiasi possibilità di rinuncia da parte della persona coinvolta».

Ancora. «Nel nostro sistema costituzionale la dignità ha una dimensione non solo soggettiva, ancorata alla sensibilità, alla percezione e alle aspirazioni del singolo individuo, ma anche oggettiva, riferita al valore originario, non comprimibile e non rinunciabile di ogni persona. La dignità ferita dalla pratica di surrogazione chiama in gioco la sua dimensione oggettiva».

In conclusione: «Punendo la surrogazione di maternità in via assoluta, cioè a prescindere dalle modalità della condotta o dagli scopi perseguiti, da una parte, si tutela in via immediata la dignità della gestante su commissione, dall’altra, si tende a prevenire, secondo la logica della china scivolosa, eventuali derive estreme di manifestazione del fenomeno, espresse da deprecabili forme di sfruttamento di donne in condizioni di bisogno economico, vulnerabili e presuntivamente prive di apprezzabili margini di autonomia decisionale».

«La storia ricalca le orme degli eccessi delle culture patriarcali dove la donna era considerata di seconda classe, ma ricordiamo anche la pratica dell’utero in affitto o la strumentalizzazione e mercificazione del corpo femminile nell’attuale cultura mediatica» (papa Francesco, Amoris laetitia n. 54)


[1] Cf. Andrea Lebra, «Da tutelare sempre, comunque siano nati», in SettimanaNews del 9 aprile 2021.

[2] Mary Ann Glendon, Tradizioni in subbuglio, a cura di Paolo Crossa e Marta Cartabia, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (CZ) 2008, pag. 49.

[3] Antonio Papisca, La Dichiarazione universale dei diritti umani commentata dal Prof. Antonio Papisca, in www.unipd-centrodirittiumani.it

[4] Sentenze n. 272 del 18 dicembre 2017, n. 33 del 9 marzo 2021, n. 79 del 28 marzo 2022.

[5] Sentenza n. 33/2021.

[6] Paragrafi nn. 12, 13 e 14 della Risoluzione del Parlamento europeo del 5 maggio 2022 sull’impatto della guerra contro l’Ucraina sulle donne. Nella Risoluzione del 13 dicembre 2016 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione Europea nel 2015 il Parlamento europeo aveva condannato «qualsiasi forma di maternità surrogata a fini commerciali».

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3 Commenti

  1. Pietro 29 gennaio 2023
  2. Adelmo Li Cauzi 29 gennaio 2023
    • Pietro 29 gennaio 2023

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