Ora di religione: quando è il giudice a decidere

di:
cassazione

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«In materia di scelte riguardanti l’educazione religiosa dei figli mediante l’adesione all’insegnamento della religione cattolica, il criterio guida che deve ispirare ogni decisione è esclusivamente quello del preminente interesse morale e materiale del minore ad una crescita sana e armoniosa.

Qualora i genitori, separati o divorziati, non siano in grado di comporre i dissidi e di stabilire, di comune accordo, le linee educative da adottare nei confronti dei figli minori anche in relazione alla loro frequenza o meno all’ora di religione nella scuola primaria, spetta al giudice ingerirsi, come soggetto super partes e in via del tutto eccezionale, nella vita privata della famiglia per risolvere la controversia.

In funzione dell’interesse superiore del minore, l’ingerenza del giudice può portare ad adottare provvedimenti contenitivi e restrittivi dei diritti individuali di libertà religiosa (positiva o negativa) dei genitori allorquando il loro esercizio provochi conseguenze pregiudizievoli per la salute psico-fisica o lo sviluppo del minore stesso».

È quanto ha affermato la Corte di cassazione con ordinanza n. 6802 depositata l’8 marzo 2023, in tema di insegnamento della religione cattolica ai figli minori in caso di disaccordo dei genitori.

Il fatto

Sull’educazione religiosa della secondogenita di sei anni i genitori separati hanno diverse opinioni.

La madre, presso la quale la minore è collocata prevalentemente, si oppone a che la figlia partecipi – come vuole il padre – all’insegnamento della religione cattolica nella scuola primaria.

A seguito di ricorso all’autorità giudiziaria, il Tribunale decreta che la decisione relativa all’iscrizione all’ora di religione sia assunta dal padre, ritenendo quest’ultimo il genitore più idoneo a curare l’interesse della figlia che, con il consenso della madre, già aveva frequentato l’insegnamento della religione cattolica alla scuola per l’infanzia.

Tenuto conto del contesto familiare e del percorso seguito dalla figlia primogenita non frequentante l’ora di religione, la Corte d’appello il 21 gennaio 2022 ritiene, invece, che la scelta vada riconosciuta alla madre e che non spetti ad un giudice sostituirsi ai genitori nello stabilire se un’educazione religiosa possa garantire una crescita sana ed equilibrata, dal momento che le scelte, anche negative, in materia religiosa sono “insindacabili”.

Avverso il decreto della Corte d’appello, il 29 gennaio 2022 il padre propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi: violazione della Convenzione di New York per i diritti del fanciullo del 20 novembre 1989[1] in punto di mancato ascolto, né direttamente né tramite consulente tecnico, della figlia minore infradodicenne capace di discernimento; violazione della libertà religiosa in relazione al diritto del padre professante la religione cattolica di tramandare le proprie credenze alla figlia minore anche attraverso la scelta dell’ora dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola primaria, avendo il giudice d’appello affidato la scelta sull’educazione religiosa della minore solo alla madre senza indicare perché la scelta del padre di permettere alla figlia di seguire l’ora di religione a scuola potesse comprometterne il benessere psico-fisico; omissione della verifica delle aspirazioni della minore in relazione al dato di fatto che la precedente frequentazione, da parte della piccola, dell’insegnamento della religione cattolica si era rivelato di grande utilità ai fini del suo benessere psico-fisico.

Accogliendo il ricorso del padre, il 24 gennaio 2023 la prima sezione civile della suprema Corte cassa il decreto della Corte d’appello e, con l’ordinanza in esame, motiva il rinvio della controversa alla medesima Corte di appello che, in diversa composizione, dovrà risolvere la questione, conformandosi ai principi di diritto sopra esplicitati e meritevoli di essere presi in considerazione in questa sede.

Quando e come il giudice può sostituirsi ai genitori

Contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale e dalla Corte d’appello, la Corte di cassazione chiarisce che, nelle ipotesi di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio opera non l’art. 316 c.c. rubricato “Responsabilità genitoriale”, norma che presuppone un contrasto in un nucleo familiare unito, ma l’art. 337-ter c.c. rubricato “Provvedimenti riguardo ai figli” (testo applicabile ai procedimenti pendenti al 30 giugno 2023), il quale, facendo riferimento ad un contrasto insorto dopo l’avvenuta separazione fra i genitori, dispone espressamente che, ferma restando la responsabilità genitoriale esercitata da entrambi i genitori, le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione e all’educazione del minore anche di età inferiore ai dodici anni ove capace di discernimento siano assunte di comune accordo, tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli e che, in caso di disaccordo, la decisione sia rimessa al giudice.

La scelta del giudice dev’essere indirizzata non da personali convinzioni, ma esclusivamente dal criterio-guida del «supremo interesse del minore» (Best Interests of Child), con necessità di verificare quale sia l’impegno richiesto dall’iscrizione all’ora di religione (in rapporto alla programmazione scolastica specifica della scuola primaria) e quali siano i bisogni della minore, non sulla base di pregresse scelte riguardanti la sorella maggiore, ma in rapporto all’interesse della piccola ad avere una continuità socio-ambientale nel campo scolastico, in cui si svolge, per la gran parte del tempo quotidiano, la sua sfera sociale ed educativa.

Come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità,[2] il perseguimento dell’interesse del minore può comportare anche l’adozione di provvedimenti, relativi alla sua educazione religiosa, contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà religiosa dei genitori intesa in senso sia positivo che negativo, ove la loro esplicazione dovesse determinare conseguenze pregiudizievoli per i figli minori. Il nostro ordinamento costituzionale, infatti, tutela tanto il diritto di professare una determinata fede religiosa quanto quello di mutare le proprie credenze: esso postula un atteggiamento dello Stato equidistante e imparziale nei confronti di tutte le confessioni religiose e protegge la libertà di coscienza anche di chi non professa alcuna fede religiosa.

Sul punto, l’ordinanza in esame ricorda quanto precisato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con sentenza n. 54032 del 19 maggio 2022 (causa T.C. c. Italia), intervenendo su una questione relativa alle scelte dei genitori circa l’educazione religiosa dei figli: talune limitazioni su alcune modalità di coinvolgimento del minore in un credo scelto da un genitore non costituiscono discriminazione se funzionali ad assicurare, in un contesto il più possibile sereno, il suo superiore interesse ad una crescita sana e armoniosa.

Al riguardo, si può altresì richiamare la recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo n. 27700 del 12 gennaio 2023 (causa K. c. Austria) che ha ritenuto non violato né l’art. 8 (diritto di rispetto alla vita familiare) né l’art. 9 (libertà di religione) della Convenzione europea di diritti dell’uomo, nel caso in cui due minori di nazionalità turca in stato di abbandono e in situazione di gravi carenze igienico-sanitarie – per responsabilità dei genitori di religione islamica – tali da mettere in pericolo la loro condizione di crescita e di educazione, vengono affidati dalla competente autorità a famiglie cristiane austriache particolarmente aperte a culture e religioni diverse e con possibilità di avere regolari contatti con i genitori biologici.

Il minore va comunque ascoltato

Per quanto riguarda l’ascolto della minore, i giudici di legittimità respingono l’osservazione della Corte d’appello secondo la quale, nel caso in esame, la minore, a causa della sua giovane età, non sarebbe stata in grado di esprimere una posizione autonoma e di disporre della necessaria capacità di discernimento, e il suo ascolto diretto l’avrebbe inutilmente coinvolta nella lite tra i genitori, con conseguente turbamento.

«La capacità di discernimento – si legge nell’ordinanza – non è una nozione fissa ed è tendenzialmente ricollegata all’acquisizione di competenze intellettuali e concettuali che aiutino il minore a riconoscere e a valutare razionalmente i dati provenienti al di fuori della propria dimensione personale. La stessa è dunque considerata sussistente in tutte le ipotesi in cui il minore sia in grado di cogliere dati, informazioni e stimoli provenienti dall’esterno, riguardanti la propria sfera esistenziale ed elaborarli secondo il proprio personale sentire, formandosi un proprio convincimento riguardo ad essi, le sue esigenze e i suoi bisogni».

E ancora, «il limite individuato dalla legge di dodici anni è chiaramente soltanto tendenziale, come dato che rispecchia l’id quod plerumque accidit in base alle conoscenze acquisite dalle scienze pedagogiche e dell’evoluzione, ma che ben può essere oggetto di differente valutazione anche per minori di età inferiore».

L’audizione è, quindi, «necessaria in tutte le ipotesi in cui il confronto con il minore può offrire al giudice idonei elementi per meglio comprendere quali siano i provvedimenti più opportuni nel suo interesse».

Va ricordato che anche la recente Riforma Cartabia del processo civile,[3] innovando l’art. 473 bis. 4 c.p.c. (operante per i procedimenti instaurati dopo il 28/2/2023), ha stabilito che «il minore, che ha compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, è ascoltato dal giudice nei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Le opinioni del minore devono essere tenute in considerazione avuto riguardo alla sua età e al suo grado di maturità».

A proposito dello statuto pedagogico dell’ora di religione

Al di là di quanto contenuto nelle vigenti fonti normative che disciplinano l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, le quali fanno inequivocabilmente riferimento, da un lato, al «valore della cultura religiosa» e ai «princìpi del cattolicesimo che fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano»,[4] dall’altro, all’«insegnamento della religione cattolica impartito in conformità alla dottrina della Chiesa»,[5] di rilievo sembra essere quanto la Corte di cassazione dichiara nella parte finale dell’ordinanza relativamente allo statuto pedagogico dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica, che sarebbe «sempre più orientato non già all’adesione ad un credo religioso specifico ma al confronto con il momento spirituale della religiosità, al punto che qualcuno, al riguardo, parla dell’ora delle religioni».

«Del resto – prosegue l’ordinanza –, la crescita del multiculturalismo nelle scuole spinge proprio nella direzione di un esame complessivo del fenomeno religioso, senza particolari gerarchie, alla comune ricerca di premesse per una dimensione spirituale da coltivare, nei modi che matureranno, singolarmente».

A sostegno della natura laicamente scolastica dell’ora di religione, la dottrina[6] invoca il contenuto della legge di ratifica ed esecuzione dell’Accordo di revisione del Concordato lateranense del 1929, il quale fonda l’esistenza della disciplina sul valore della cultura religiosa riconosciuto dalla Repubblica italiana, senza richiedere l’adesione personale ai contenuti del cattolicesimo da parte di chi sceglie di avvalersi dell’ora di religione. Il che sta a significare che la scelta dell’ora di religione non è considerata espressione del proprio credo religioso, ma solo richiesta di formazione culturale in materia religiosa: trattasi, cioè, di un insegnamento non destinato solo ai cattolici, ma di una proposta scolasticamente aperta a tutti.

Si potrebbe aggiungere – come da sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 24414 del 9 settembre 2021 in tema di esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche[7] – che il principio di laicità italiana non è neutralizzante: non nega le peculiarità e le identità di ogni credo e non persegue un obiettivo di tendenziale e progressiva irrilevanza del sentire religioso, destinato a rimanere nell’intimità della coscienza dell’individuo.

La laicità della Costituzione italiana riconosce la dimensione religiosa presente nella società e si alimenta della convivenza di fedi e di convinzioni diverse. Il principio di laicità non nega né misconosce il contributo che i valori religiosi possono apportare alla crescita della società; esso mira, piuttosto, ad assicurare e a valorizzare il pluralismo delle scelte personali in materia religiosa nonché a garantire la pari dignità sociale e l’eguaglianza dei cittadini.

La nostra è una laicità aperta alle diverse identità che si affacciano in una società in cui hanno da convivere fedi, religioni, culture diverse: accogliente delle differenze, non esige la rinuncia alla propria identità storica, culturale, religiosa da parte dei soggetti che si confrontano e che condividono lo stesso spazio pubblico, ma rispetta i volti e i bisogni delle persone.

Ed è una laicità che si traduce, sul piano delle coscienze individuali, nel riconoscere pari pregio dei singoli convincimenti etici nella costruzione e nella salvaguardia di una sfera pubblica ove dialogicamente confrontare le varie posizioni presenti nella società pluralista.


[1] Ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991 n. 176.

[2] Vedasi, ad esempio, Cassazione civile, Sez. I, ordinanza n.  21553 del 27 luglio 2021 e n. 21916 del 30 agosto 2019.

[3] D.Lgs. 10 ottobre 292, n. 149.

[4] Art. 9, comma 2 della legge 25 marzo 1985, n. 121.

[5] D.p.r. 16 dicembre 1985, n. 751.

[6] Sergio Cicatelli, Sulla modifica della scelta di avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica. Un punto di vista scolastico, in www.statoechiese.it, fascicolo 4 del 2023.

[7] Settimananews del 1° ottobre 2021, Andrea Lebra, Il crocifisso nelle scuole: non obbligo ma facoltà.

 

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Un commento

  1. Fabio Cittadini 1 aprile 2023

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