Satira blasfema: un diritto?

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In Francia la blasfemia è compresa nella libertà di espressione. Ma offendere la religione significa mancare di rispetto alle persone che la professano.

È indubbio che la satira, implicando quello spirito di ironia che è forse una delle manifestazioni di creatività più efficaci che qualifica l’intelligenza umana, sia una tipica manifestazione della libertà di espressione e possa persino giustificarsi come bisogno di riscatto individuale e collettivo.

Ma di quale libertà si parla e di quale riscatto? È possibile in nome della libertà di espressione mortificare e deridere chi professa una determinata fede religiosa? Quali rapporti intercorrono tra libertà di manifestazione del proprio pensiero e tutela del sentimento religioso, laddove la prima sfoci in espressioni o condotte blasfeme?

Il tema è venuto alla ribalta dopo l’orrenda decapitazione, il 16 ottobre 2020, di un professore della banlieue di Parigi che, durante una lezione di educazione civica, aveva mostrato agli alunni le caricature di Maometto tratte dal giornale satirico Charlie Hebdo.

Ma il tema è tornato di attualità soprattutto dopo le ripetute dichiarazioni del presidente francese Emmanuel Macron in difesa della «libertà di blasfemia» garantita dalla legge «sur la liberté de la presse» promulgata il 29 luglio 1881– e sue successive modificazioni – e interpretata alla luce del principio di laicité che completa e rafforza il trittico repubblicano della liberté, égalité, fraternité.

Macron e la libertà di blasfemia

Il 1° settembre di quest’anno, infatti, a Beirut, Macron, a proposito del processo che si sta svolgendo in Francia nei confronti degli imputati della strage del 7 gennaio 2015 nella sede di Charlie Hebdo, ha testualmente dichiarato: «Dall’inizio della Terza Repubblica c’è in Francia una libertà di blasfemia che è intimamente connessa con la libertà di coscienza».

Lo aveva fatto in altre due circostanze. Il 12 febbraio 2020, in occasione delle minacce di morte rivolte ad una studentessa sedicenne che aveva postato su instagram un video nel quale inveiva contro l’islam usando un linguaggio decisamente scurrile: «La legge è chiara: da noi è riconosciuto il diritto alla blasfemia; noi abbiamo il diritto di criticare, anche in modo caricaturale, le religioni». E il 31 gennaio 2020, inaugurando il Festival d’Angoulême (grande manifestazione dedicata al fumetto): «Nel nostro Paese la libertà di espressione è protetta come in pochi altri paesi al mondo. Da noi è protetta la libertà di blasfemia, così come è protetta la libertà di criticare e provocare i leader».

Le reazioni alla dichiarazione dell’arcivescovo di Toulouse

Il presidente Macron non è il solo a teorizzare tale diritto.

Venerdì 30 ottobre 2020, a seguito dell’attentato nella cattedrale di Nizza che ha provocato la morte di tre persone, l’arcivescovo di Toulouse, Robert Le Gall, si è detto contrario alla libertà di blasfemia nei confronti delle religioni.

Gli ha risposto, il 2 ottobre 2020, il ministro dell’Interno Gérald Darmanin: «Nel nostro Paese non c’è il reato di blasfemia».

Altrettanto hanno fatto la presidente della Regione Occitanie, Carole Delga («La laicità, la libertà di espressione e il diritto di criticare ogni istituzione religiosa sono indissociabili») e il presidente del Conseil Départemental de la Haute-Garonne, Georges Méric («La libertà di blasfemia è un diritto riconosciuto dalla nostra Repubblica e fa parte della libertà di pensiero e di espressione»).

Il diritto vivente francese

In realtà, mi sembra di poter affermare che anche in Francia la legge non riconosce un vero e proprio diritto alla blasfemia. La libertà di espressione fa parte delle libertà fondamentali, essendo l’oggetto degli articoli 10 e 11 della Dichiarazione dei diritti del 1789 che affidano al legislatore il compito di stabilire dei limiti.

Con la legge del 1881 sulla libertà di stampa, che si applica ad ogni forma di espressione, la Troisième république impose una legislazione liberale i cui limiti, tutti definiti in modo preciso, non costituiscono che eccezioni giustificate alla regola generale della libertà. La legge del 1881 abolisce il reato di blasfemia anche nella sua forma secolarizzata di attentato alla morale religiosa.

Tuttavia, a questo regime di libertà assoluta pone dei limiti la “legge Pleven” del 1972 che modifica la legge del 1881 prevedendo i reati di ingiuria, diffamazione e incitamento all’odio, alla violenza o alla discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

L’introduzione di questi nuovi reati ha creato difficoltà di interpretazione che si sono materializzate mediante decisioni, a volte ondivaghe, dell’autorità giudiziaria sul senso da attribuire al concetto di ingiuria, di diffamazione e incitamento all’odio in ragione dell’appartenenza o meno ad una religione.

Detto diversamente, la questione è stata quella di sapere se insultare una religione in sé o delle figure o dei simboli religiosi significhi offendere i seguaci di questa religione.

Un processo intentato nel 2007 contro il settimanale Charlie Hebdo per la pubblicazione di caricature di Maometto ha permesso ai giudici di chiarire il loro pensiero. In Francia è possibile insultare una religione, i suoi simboli e le sue figure anche con lo strumento della satira particolarmente spinta. Ma è vietato insultare le persone che seguono quella stessa religione.

Analoga motivazione è stata addotta nel 2014 per assolvere un disegnatore satirico, autore di una vignetta pubblicata sul suo sito web che raffigurava Benedetto XVI nell’atto di sodomizzare un bambino: «il disegno non ha per oggetto lo scopo di stigmatizzare né l’insieme della Chiesa cattolica né l’insieme del clero».

Dal momento però che la differenza tra l’insultare una religione astrattamente considerata e insultare chi concretamente la professa è talvolta molto tenue, vi è un’inflazione di processi «per blasfemia», senza però che il termine sia mai usato.

Conviene, a questo punto, richiamare alcuni consolidati elementi di diritto transnazionale per ampliare il discorso oltre i confini francesi.

I limiti della libertà di espressione nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo

La libertà di espressione, comprensiva del diritto di satira, costituisce un tratto qualificante dei sistemi politici liberali ed è tutelata dall’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani e dall’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Quest’ultimo, al primo comma, dichiara che ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche.

La Corte europea dei diritti umani ha affermato che tale diritto è da considerare alla stregua di pietra angolare delle società democratiche, indispensabile per il progresso e lo sviluppo della personalità di ciascun individuo. La libertà di espressione riguarda non solo le informazioni o le idee che sono accolte con favore o sono considerate inoffensive o indifferenti, ma – con il limite dell’istigazione all’odio, alla violenza e al razzismo – anche quelle che urtano, colpiscono e inquietano. Va affermato pertanto che la democraticità di un ordinamento è direttamente proporzionale al grado in cui la libera manifestazione del pensiero viene riconosciuta e in concreto attuata.

Inoltre, l’esercizio della libertà di espressione comporta doveri e responsabilità. E tra i doveri e le responsabilità, va ricompreso, secondo i Giudici della Corte di Strasburgo, anche il dovere di evitare che la garanzia dell’esercizio della libertà di espressione si traduca in un lasciapassare di espressioni che rappresentano unicamente offese gratuite del sentimento religioso altrui.

La libertà di espressione può, inoltre, essere sottoposta a formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge dei singoli Stati e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui.

Secondo la Corte europea, tra i diritti altrui che abbisognano di una protezione e che possono ergersi a limite della libertà di espressione ben può essere, in determinate situazioni, ricompreso, il diritto a non sentirsi offesi nei propri sentimenti di credenti, pur ammettendo che una società democratica si contraddistingue in quanto società aperta e plurale e, come tale, in grado di sopportare anche critiche radicali del credo religioso che si professa.

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la tutela del sentimento religioso

L’articolo 9 della medesima Convenzione, in tema di Libertà di pensiero, di coscienza e di religione, dichiara che ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti.

La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge dei singoli Stati e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui.

Secondo il diritto vivente della Corte europea dei diritti umani, il sentimento religioso costituisce elemento tra i più essenziali dell’identità dei credenti e della loro concezione della vita. Esso è un bene prezioso anche per gli atei, gli agnostici e gli scettici, assicurando loro piena parità di trattamento rispetto ai credenti. L’insulto alla religione può rappresentare un’offesa per i sentimenti dei credenti. Per questo si può limitare legittimamente la libera manifestazione del pensiero nella misura in cui le «espressioni» incriminate costituiscano un attacco gratuito, virulento e non insignificante a ciò che è ritenuto dai credenti «intoccabile».

In particolare – ed è il contenuto di una sentenza della Cedu relativamente recente – gli Stati potrebbero limitare il diritto alla libertà di espressione sancito dall’articolo 10 della Convenzione, qualora il suo esercizio inciti all’intolleranza religiosa e sia motivo di turbamento della pace religiosa nel singolo paese.

Blasfemia e tutela della dignità della persona umana

Alla luce della giurisprudenza consolidata della Corte di Strasburgo, mi sembra che si possa aderire a quella dottrina che afferma che la satira volgare, triviale e blasfema (come la rappresentazione delle Persone della Santissima Trinità in atti sessuali incestuosi) non ha nulla a che fare con la libertà di espressione e con un concetto di laicità non ideologico e non fondamentalista. Porre limiti a questo genere di satira non significa intaccare in alcun modo il grado di effettività di un diritto fondamentale come è la libertà di espressione.

La fede religiosa è qualcosa che differisce sostanzialmente da una fede, ad esempio, politica. È un codice di personalità. È un modo d’essere del soggetto che ne segna nell’intimo l’esistenza. Offendere pubblicamente i valori fondanti di una persona rischia di essere una mancanza di rispetto che potrebbe travalicare i limiti posti dalla satira. Fare oggetto di risate e di allusioni oscene contenuti o simboli che godono di venerazione religiosa e che definiscono una persona significa fare di quest’ultima oggetto di risate e di allusioni oscene, violandone la dignità. Offendere la religione in sé significa sempre mancare di rispetto alle persone che la professano.

Un anticorpo efficace per bilanciare l’esercizio smodato di un diritto fondamentale, come la libertà di espressione anche nella sua forma più spregiudicata e pungente rappresentata dalla satira, è costituito dal riconoscimento della dignità della persona umana che non è soltanto, a sua volta, un diritto fondamentale in sé, ma costituisce la base stessa dei diritti fondamentali.

Come ha avuto modo di affermare in più occasioni la Corte Costituzionale, la dignità, come valore di priorità assoluta e di carattere fondante nella scala di valori espressi dalla Costituzione, permea di sé il diritto positivo e gioca, pertanto, un ruolo decisivo nell’interpretazione di tutte le norme dell’ordinamento giuridico.

Significativo quanto scrive – proprio con riferimento anche all’esercizio del diritto di liberamente manifestare il proprio pensiero – il presidente emerito della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick: «La dignità umana assolve ad una funzione di limite della libertà: quindi, all’esercizio dei diritti che proprio dalla dignità scaturiscono e su di essa si fondano. La dignità ben può fondare un dovere di astensione e di rispetto: sia con riferimento al comportamento ed all’esercizio dei diritti dei terzi, che devono rispettarla nell’altro; sia con riferimento al comportamento del suo titolare, che deve anch’egli rispettarla verso gli altri e verso se stesso, nell’esercizio dei propri diritti» (Giovanni Maria Flick, Elogio della dignità, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2015, pag. 77).

La prudenza: virtù umana che dovrebbe sempre accompagnare la libertà di espressione

In occasione del viaggio apostolico in Sri Lanka e Filippine nel gennaio 2015, papa Francesco ebbe modo, dialogando in due circostanze con i giornalisti durante il volo verso Manila (15 gennaio) e durante quello di ritorno dalle Filippine (19 gennaio), di commentare la strage commessa il 7 gennaio a Parigi da terroristi islamici ai danni dei redattori del giornale satirico Charlie Hebdo.

Al giornalista francese Sébastien Maillard, che gli poneva una domanda sul rapporto che intercorre tra il rispetto dovuto alle diverse religioni e la libertà di espressione, papa Francesco il 15 gennaio rispose nei termini che seguono.

«La libertà di espressione e la libertà di religione sono due diritti umani fondamentali. Ognuno ha diritto di praticare la propria religione, senza offendere, liberamente. Non si può offendere, fare la guerra, uccidere in nome della propria religione, cioè in nome di Dio. Questa è un’aberrazione. Quanto alla libertà di espressione, ognuno non solo ha il diritto, ma anche l’obbligo di dire quello che pensa per il bene comune. Ma senza offendere. È vero che non si può reagire violentemente. Ma se qualcuno mi dice una parolaccia contro mia mamma, è normale che gli arrivi un pugno! Abbiamo l’obbligo di esercitare liberamente la libertà di espressione, ma senza offendere.

Ma non si può provocare, insultare prendere in giro la fede degli altri, come se le religioni o le espressioni religiose fossero una sorta di sottocultura: tollerate sì, ma ritenute poca cosa non facente parte della cultura illuminata. Chi sparla delle religioni, che le prende in giro, chi giocattolizza la religione altrui non fa altro che provocare. Ci sono limiti da rispettare. Ogni religione, che rispetti la vita umana e la persona umana, ha dignità. Io non posso prenderla in giro. E questo costituisce un limite alla libertà di espressione».

Alla giornalista spagnola Valentina Alazraki che gli chiedeva di precisare la frase sul “pugno” che può arrivare a chi offende la madre altrui, il giorno 19 gennaio papa Francesco così rispose: «Davanti ad una offesa o ad una provocazione non è mai cosa buona reagire con violenza: nella teoria siamo tutti d’accordo. Ma, dato che siamo umani, dobbiamo esercitare la virtù della prudenza, che è una virtù della convivenza umana. Insultando e provocando continuamente una persona rischio di farla arrabbiare. Rischio una reazione non giusta. Per questo dico che la libertà di espressione deve tenere conto della realtà umana e deve sempre essere accompagnata dalla prudenza, la virtù umana che regola i nostri rapporti».

«Offendendoci, non facciamo che alimentare la violenza»

Concetti, quelli di papa Francesco, non molto dissimili da quanto ha scritto, dopo la tragica decapitazione dell’insegnante parigino Samuel Patty, in un post del 18 ottobre 2020 Carlo Rovelli, fisico, saggista, filosofo della scienza, ideatore di una delle due teorie più accreditate che cercano di descrivere in modo coerente la struttura dell’universo.

«Uccidere è imperdonabile e terribile: è ovvio. Ma io non capisco: che bisogno c’è di offendere i musulmani? La libertà di stampa vuol dire la libertà di offendere i musulmani? La libertà di pensiero vuol dire libertà di offendere gratuitamente? Che gusto ci prova la gente a vedere e pubblicare immagini offensive di Maometto? Io non amo la Chiesa cattolica: ma a me ha dato fastidio quando Charlie Hebdo pubblicò una vignetta in cui il papa inculava una monaca. È questa la libertà di stampa? Non penso che debbano esserci leggi che vietano di pubblicare questo o quello.

Ma penso che offendere, e poi – dopo essersi resi conto che offendere ferisce delle persone –, continuare ancora a offendere, non sia un comportamento né apprezzabile, né ragionevole. Dobbiamo vivere insieme su questo pianeta. Non possiamo farlo rispettandoci? Non costa proprio niente evitare di offendere i musulmani pubblicando immagini offensive di Maometto. E, diciamoci la verità: le avete viste? Sono davvero offensive. Crediamo forse di essere più democratici, più paladini della libertà, offendendoci a vicenda?

Offendendoci, non facciamo che alimentare la violenza, dividerci in gruppi in conflitto, mostrare il grugno duro io non mi faccio spaventare da voi anche se mi uccidete! Io sono più duro di te! Ci comportiamo come gli scimpanzé quando gonfiano il petto per fare i duri e far vedere che sono i più forti. C’è comportamento più fascista di questo? Non è meglio, molto semplicemente, evitare di offenderci l’un l’altro, quando tutto quello che è in gioco sono delle vignette… vuote di senso?».

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4 Commenti

  1. Federica 19 maggio 2021
  2. Giovanni Di Simone 17 novembre 2020
  3. Alberto Mancini 16 novembre 2020
  4. Davide 16 novembre 2020

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