Sei vecchio e malato, non ti curiamo

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Il 30 marzo 2020 il Comitato etico della mia Regione ha diffuso un documento intitolato: “Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili” in occasione del Covid-19.

Il documento si rifà esplicitamente alle raccomandazioni della SIAARTI (Società italiana anestesia rianimazione e terapia intensiva) pubblicato il 6 marzo 2020 (versione 01).

criteri cure medicheIn sostanza che cosa dicono le Raccomandazioni degli anestesisti e rianimatori? Se si determina uno squilibrio tra risorse disponibili (posti letto) in terapia intensiva, occorre privilegiare «la maggior speranza di vita». In altre parole, il criterio da seguire è di curare «chi ha più probabilità di sopravvivenza e secondariamente chi può avere più anni di vita salvata» (n. 3).

L’introduzione del documento afferma ancora: «Il bisogno di cure intensive deve pertanto essere integrato con altri elementi di “idoneità clinica” alle cure intensive, comprendendo quindi: il tipo di gravità della malattia, la presenza di comorbilità, la compromissione di altri organi e apparati e la loro reversibilità».

Non si potrà seguire, secondo le raccomandazioni, il criterio del «primo arrivato primo curato». L’età naturalmente influisce sulla scelta dei malati da curare: chi è troppo malato o vecchio ha meno probabilità di guarire. Il tutto è giustificabile perché saremmo in presenza di una «medicina delle catastrofi».

E chi non è ammesso alle cure intensive che fine farà? Genericamente si suggerisce che «sia valutata ogni possibilità di trasferimento verso centri con maggiore disponibilità di risorse».

Sappiamo bene che le presunte risorse erano il nulla. Anziani lasciati nelle case o nei centri a loro dedicati con scarse cure, fino a rasentare l’abbandono.

Le comunicazioni ufficiali hanno sempre sottolineato che i morti positivi al Covid-19 avevano comorbilità e un’età avanzata. Tradotto significa «piangete ma non troppo, perché molto presto sarebbero comunque morti». Basta saperlo, così chi arriverà a quella condizione si preparerà alla fine. La sanità, in prospettiva, sarà dedicata a chi ha «speranza di guarigione», non certo per chi ha troppe malattie.

Se fossi magistrato, indagherei se i trasferimenti dagli ospedali alle case per anziani sono stati supportati da raccomandazioni “scientifiche”. Non comporterebbe un reato penale, ma indicherebbe immoralità civile e morale, non meno grave di quella penale.

Le riflessioni sulle scelte suggerite sono due.

Non si comprende a quale titolo medici chiamati a curare ogni tipo di malattia, come suggeriscel’etica professionale – come hanno ricordato i Medici di medicina generale – stabiliscano delle priorità. Probabilmente perché si fa discriminazione tra curare e guarire, dimenticando che le previsioni di guarigione, in presenza di malattie complesse, si fondano sostanzialmente sulla ricerca che, nel caso di Covid-19, è appena iniziata.

Si sono impossessati di un diritto che non è loro. La vita è preziosa fino all’ultimo istante. Le cure palliative intervengono dopo l’espletamento di tutte le cure mediche possibili. Selezionare prima significa privare del diritto alla cura, condannando troppi alla morte.

Era loro diritto far presente la drammaticità della situazione, senza la pretesa di stabilire criteri di selezione.

La seconda riflessione è per un passaggio del documento degli anestesisti nel quale si dichiara che le scelte di selezione tra chi curare e chi no sono state per loro «emotivamente gravose». Una “scusa non richiesta”. I loro 15 principi nascondono uno stile talmente “arido” da rasentare la disumanità. Un vecchio vizio della scienza che distingue le persone dai loro malanni.

Una maggiore considerazione alle storie umane avrebbe suggerito altri approcci: probabilmente contrari, almeno parzialmente, ai criteri indicati.

La vita umana comprende nascita e morte. Un equilibrio difficile da mantenere. Il futuro è composto da ciò che verrà, a partire da ciò che è stato. Guai a separare i due momenti. Se, nelle vicende di ognuno, nascita e morte sono distanti, nella storia dell’umanità c’è continuità. Non vivono giovani senza vecchi, né vecchi senza giovani.

Un pensiero commosso e deferente è per i 152 medici morti per essersi confrontati (spesso a mani nude) con il virus, fedeli alla loro missione, pagando con la vita.

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