Don Bosco, l’educatore

di:
«L’educazione è cosa di cuore…»

È nota l’espressione di san Giovanni Bosco (1815-1888):[1] «L’educazione è cosa di cuore e Dio solo ne è il padrone».[2] Il cuore per don Bosco è il cuore biblico, il luogo in cui l’uomo decide l’orientamento da dare alla sua esistenza, fortifica la sua volontà e opera scelte concrete, la prima delle quali è l’opzione fondamentale della sua vita.[3]

P. Duvallet, per vent’anni collaboratore dell’Abbé Pierre nell’apostolato di rieducazione dei giovani, rivolgendosi ai salesiani, ha affermato: «Voi avete opere, collegi, oratori per i giovani, ma non avete che un solo tesoro: la pedagogia di Don Bosco. In un mondo in cui i ragazzi sono traditi, disseccati, triturati, strumentalizzati, il Signore vi ha affidato una pedagogia in cui trionfa il rispetto del ragazzo, della sua grandezza e della sua fragilità, della sua dignità di figlio di Dio. Conservatela, rinnovatela, ringiovanitela, arricchitela di tutte le scoperte moderne, adattatela a queste creature del ventesimo secolo e ai loro drammi, che Don Bosco non poté conoscere. Ma, per carità, conservatela! Cambiate tutto, perdete, se è il caso, le vostre case, ma conservate questo tesoro, costruendo in migliaia di cuori la maniera di amare e di salvare i ragazzi, che è l’eredità di Don Bosco».[4]

Un educatore che sapeva motivarsi e motivare

Luogo delle motivazioni che muovono interiormente ad agire, il cuore rivela la densità e la profondità delle aspirazioni che solo Dio conosce fino in fondo. «L’uomo – infatti –  guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore» (1Sam 16,7). Don Bosco non è anzitutto un teorico dell’educazione, preoccupato di elaborare una sua antropologia e un suo sistema pedagogico. Egli è essenzialmente un educatore, un formatore, che propone ideali, traccia progetti di vita con sapienza e buonsenso, commisurandoli alla realtà di ogni giovane e al concreto ambiente in cui egli può crescere e maturare.

Accade che, mentre è debitore alla teologia e all’antropologia dell’Ottocento, la sua prassi educativa adottata supera il suo tempo. In tal modo, si realizza una verità cui occorre porre mente: nessuna pedagogia è degna dell’educazione e questa, quando è autentica, nasce dal cuore e porta al cuore e, perciò, è in grado di misurare, di correggere, d’integrare e perfino di smentire teorie e proposte pedagogiche. D’altra parte, c’è una dipendenza genetica della pedagogia dall’evento educativo, dal momento che la scienza dell’educazione nasce in gran parte dall’esperienza dell’educare.[5]

Un educatore aperto alle voci del tempo

Educatore di cuore, don Bosco ha ispirato e ispira ancora l’educazione del cuore. La sua opera pedagogica, è fortemente innestata nella tradizione spirituale-umanistica di Francesco di Sales (1567–1622), di cui coglie l’importanza di due parole (carità e dolcezza), le quali, se bene armonizzate fra di loro, generano una terza parola, decisiva per la pedagogia di don Bosco, l’amorevolezza: «La carità e dolcezza di Francesco di Sales mi guidino in ogni cosa».[6]

Questo grande maestro di cuore, peraltro,si apre all’accoglienza dei nuovi fermenti, dei nuovi bisogni della società ottocentesca, cercando di corrispondervi con cuore appassionato e creativo. Con Francesco di Sales, perciò, don Bosco condivide il convincimento che la persona umana si realizza nell’amore e, perciò, deve essere educata all’amore e con cuore. In tal modo don Bosco riconosce che il processo educativo permea le fibre più intime del cuore e tocca le soglie più profonde della persona umana.

Questa educazione conosce una progressione,o climax, le cui fasi ascensive sono: imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a vivere insieme, imparare ad essere.[7] Davvero educata è la persona coerente con le sue convinzioni interiori, che sa operare scelte responsabili, non indotte dalla spinta e dal trascinamento dell’ambiente o dall’adeguamento supino ad esso.

Le motivazioni di una “pedagogia del cuore”

Alla base dell’educazione sognata da don Bosco c’è la scoperta e il riconoscimento pieno dell’altro, che si realizza nell’incontrarlo, ossia nel raggiungerlo nella profondità del suo cuore. Don Bosco era convinto che «per educare bisogna scendere col proprio cuore nel cuore del giovane e, quando questo risponde, tutta l’educazione è assicurata».[8]

In un tempo, come il nostro, popolato di solitudini laceranti e fortemente segnato dall’individualismo, si sente un cocente bisogno di relazioni interpersonali, che s’esprime come l’essere con l’altro (la compagnia) o l’essere per l’altro (il servizio), ma anche nella consapevolezza crescente dell’essere grazie all’altro (la ricettività). Si delinea così un paradigma cristiano sull’uomo e sull’educazione. Vi agisce il principio trinitario della reciprocità, dell’Amante che inizia e dona (Padre), dell’Amato che risponde e riceve (Figlio), dell’Amore che unisce e distingue (Spirito). Questa infinita esperienza di relazione dentro la vita trinitaria è la fonte di ogni esperienza di prossimità, di vicinanza, di presenza, di convivialità. Per un cristiano, perciò, è anche la fonte ineguagliabile di ogni approccio educativo.

Un’educazione poggiata su una parola prestigiosa

Benché non avesse mai usato il termine reciprocità, don Bosco ha tenuto questa parola, di fatto, come filigrana nascosta del suo pensiero pedagogico e della sua opera educativa. Anzi, le sue relazioni di maestro, che realizzavano e mostravano in pienezza il senso della parola (magis-ter), sono state una vera scuola di reciprocità, intesa come scuola di vera umanità. Con ciò si vuole affermare che la reciprocità è più dell’altruismo: è, prima ancora, il nome dell’uomo e della sua esistenza.

È assai singolare che la reciprocità – la parola che indica il vertice del rapporto comunionale, che si realizza dentro la Comunità trinitaria – sia anche il nome che indica laicamente la carità cristiana. Vivere incontri di reciprocità, come quelli che ha vissuto e insegnato don Bosco, suppone amare l’altro con cui si entra in relazione in modo tale da non farlo sentire inferiore, dipendente, subordinato, ma nella favorevole condizione di ricambiare col dono di sé.

Per far questo occorre detronizzarsi, porsi dalla parte dell’altro in una situazione di parità reale (cf. Martin Buber) o – se si è capaci dell’eroismo dell’amore – intronizzando l’altro e ponendolo prima di noi (cf. Emanuel Lévinas). Sul piano della comunicazione educativa questo non implica l’azzeramento delle differenze di ruoli e di funzioni (nella società umana), né di carismi e vocazioni (nella comunità ecclesiale).

Un’educazione come allenamento al dialogo

Il riconoscimento della relazionalità reciproca è una dimensione costitutiva della persona umana: l’uomo è fatto per vivere con l’altro (la compagnia), verso l’altro (il servizio), dall’altro (la ricettività). Questo è il fondale fisso di un’educazione cristiana che don Bosco ha interpretato in modo originale e proprio, in modo liberatore e promuovente. Egli ha vissuto sempre in compagnia con i giovani, ha consumato la sua vita al loro servizio e si è arricchito dei loro valori, della loro generosità, in una circolarità educativa che non ha permesso mai si spezzasse o s’interrompesse.

Nel modello dialogico della reciprocità, i protagonisti dell’incontro sono chiamati ad essere soggetti attivi, capaci di realizzare l’interscambio creativo, con l’attenzione alta a non far precipitare nessuno dei soggetti impegnati nell’atto educativo nel mondo dei mezzi, facendoli uscire dal regno dei fini. Con parola più semplice, il principio della reciprocità per don Bosco ha significato educare a vivere insieme nel modo più degno possibile.

In concreto, questo principio è stato realizzato da lui in tre direzioni: 1) educare alla comunione con Dio, 2) educare i giovani a vivere in sintonia di pensieri e di affetti fra educatori e giovani, 3) educare i giovani a vivere in comunione con la Chiesa.


[1] Il nome di don Bosco è legato al metodo preventivo, il cui principio sapienziale è l’amorevolezza, cioè un insegnamento ed una educazione segnati decisivamente dal “cuore”. I suoi scritti sono: Il sistema preventivo nella educazione della gioventù. Introduzione e testi critici a cura di Pietro Braido, LAS, Roma 1985. (è il famosissimo il trattatello del 1887, che sintetizza il pensiero pedagogico di don Bosco. Di grande importanza e utilità alla comprensione del testo risultano gli apparati delle varianti e delle fonti parallele). Cf. anche: Scritti pedagogici e spirituali, a cura di Jesus Borrego, Pietro Braido, Antonio da Silva Ferreira, Francesco Motto, José Manuel Prellezo, LAS, Roma 1987. L’importanza di questo scritto di don Bosco, risalente ai primi anni Settanta (1873-1875 ca), sta nel fatto che costituisce la fonte primaria per la comprensione della sua mentalità e del suo progetto operativo globale: è, insieme, rievocazione, riflessione e proiezione nel futuro. Al termine del testo, i consueti indici delle materie, dei nomi geografici, dei nomi di persona. In più, vanno ricordate altre due sue opere: Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855. Introduzione e note a cura di Antonio da Silva Ferreira, LAS, Roma 1991; Epistolario. Introduzione, testi critici e note a cura di Francesco Motto, Voll. I-IV, LAS, Roma 1991-2003. Quest’ultima è la corrispondenza tenuta da don Bosco con un numero sterminato di persone e costituisce uno strumento indispensabile e privilegiato per la conoscenza della sua vicenda umana e spirituale, per l’approfondimento della sua spiritualità e del suo metodo educativo.
[2] Dei castighi da infliggersi nelle case salesiane (1883). Una circolare attribuita a don Bosco, a cura di José Manuel Prellezo, in P. Braido [ed.], Don Bosco educatore. Scritti e testimonianze, LAS, Roma 1992, p. 332.
[3] È certamente da ritenere che l’eredità pedagogica fondamentale, insieme all’intuizione della “prevenzione”, stia proprio nel concepire una “educazione del cuore”; si tratta in fondo di una intuizione unica, con un aspetto strategico e uno motivazionale: la sintesi è detta con l’espressione Amore preveniente .
[4] Aa.Vv., Il Sistema educativo di Don Bosco tra pedagogia antica e nuova. Atti del Convegno Europeo Salesiano sul sistema educativo di Don Bosco, Elle Di Ci, Torino 1974, p. 314.
[5] Per una interpretazione penetrante dal punto di vista dello spirito boschiano e insieme scientifico della sua teoria pedagogica, Cf. P. Braido (ed.), Don Bosco educatore. Scritti e testimonianze, a cura di Jesús Borrego, Pietro Braido, Antonio da Silva Ferreira, Francesco Motto, José Manuel Prellezo, LAS, Roma 1992. Cf. ancora di P. Braido (ed): Don Bosco educatore. Scritti e testimonianze, Terza edizione accresciuta, con la collaborazione di Antonio da Silva Ferreira, Francesco Motto, José Manuel Prellezo, LAS, Roma 1996; è una raccolta di scritti e documenti, fra i più stringati e incisivi di don Bosco, in tanta parte classici in rapporto alle sue esperienze e alle sue idee pedagogico-spirituali. Ai documenti frammentari del primo decennio di lavoro educativo a Torino-Valdocco (1845-1854) si aggiungono quelli di pedagogia narrativa (Cenno storico e Cenni storici: 1854-1862) e gli scritti normativi e programmatici (Ricordi ai direttori, Dialogo col maestro Francesco Bodrato, Ricordi ai missionari, Sistema preventivo nell’educazione della gioventù, Articoli generali del “regolamento per le case”, il Sistema preventivo applicato tra i giovani pericolanti: 1863-1878). Concludono la silloge gli avvertimenti e i ricordi dell’anzianità: la lunga lettera sui castighi del 1883, le due lettere da Roma del 1884, il “Testamento spirituale” e tre lettere ai salesiani in America (1885). Seguono gli indici delle materie e dei nomi di persona.
[6] Memorie dal 1841 al 1884-5-6 del Sac. Gio. Bosco a’ suoi figliuoli salesiani, in P. Braido [ed.], Don Bosco educatore. Scritti e testimonianze, LAS, Roma 1992, p. 400. Contro il pessimismo calvinista, Francesco di Sales – il dottore dell’amore – aveva affermato l’armonia tra la natura e la grazia, l’equilibrio dei rapporti tra Dio e l’essere umano. Ne era scaturita una prospettiva spirituale ricca di sapienza pedagogica nutrita del senso della misura, lontana da sterili dualismi, fondata sulla relazione fiduciosa con Dio che vuole la salvezza di tutte le sue creature.
[7] Cf. Rapporto-UNESCO 1996, curato da J. Delors, che considera tali apprendimenti quali pilastri fondamentali dell’e-ducazione.
[8] A. Caviglia, Il Magone Michele: una classica esperienza educativa, in Salesianum 1949, p. 614.

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