Don Milani: più per domani che per oggi

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scuola

A cento anni dalla nascita, sembrano acquistare particolare valore alcune intuizioni cui giunse don Milani, in un’appassionata, sofferta vicenda pastorale che lo portò a vivere sulla pelle quel rapporto Chiesa-cultura-scuola che troppo spesso noi viviamo in rarefatte considerazioni di carattere speculativo prive del mordente stimolo di esperienze dirette.

Personalità segnata dal peso di un’esperienza pastorale particolarmente dura a motivo dell’ambiente e delle condizioni di solitudine umana in cui visse. Caratterizzato da un temperamento difficile a definirsi, sottoposto a uno sforzo in cui fedeltà e ribellione si contendevano la vittoria. Si definiva il disubbidiente ubbidientissimo, perché appena arrivava l’ordine ubbidiva subito, e questo perché aveva bisogno della Chiesa, del perdono dei peccati, dei sacramenti, di ciò che nessun altro poteva dargli e che per lui valeva infinitamente di più di ogni sua posizione o idea.

Oltre la biografia

È stato tollerante, non accomodante. Battagliero, non avventuriero. La sua breve permanenza terrena non rimane costretta dentro l’arco biografico della nascita e della morte: 1923-1967; la supera ed obbliga contemporanei e posteri a tutto rivedere e ben riconsiderare. Non è necessario farne un’icona o cedere a letture oleografiche. Non bisogna cedere a operazioni di politicizzazione, ideologizzazione, teologizzazione o operazioni di teorizzazioni pedagogiche della sua figura.

Don Lorenzo, a fronte di un temperamento sanguigno e apparentemente scabro, rivela un’intimità col Signore e una struttura di personalità ben radicata in Cristo, scevra da ogni spiritualismo disincarnato. È una personalità asciutta e penetrante, austera ma profondamente umana, radicale ma fin troppo consapevole della fragilità umana. Un prete dalla spiritualità sobria e intensamente evangelica.

Nessuna difficoltà ad ammettere che don Milani è stato un uomo difficile, diciamo pure tormentato e tormentatore. Certi tratti del suo carattere lo fanno somigliante ai profeti dell’antico patto e ai riformatori di tutti i tempi.

Don Lorenzo è una di quelle figure talmente complesse, così proiettate nella ricerca continua della verità che era, ed è, difficile afferrarlo una volta per tutte. Se la sinistra tende ad esaltarlo come “prete-contro”, fino a fare di lui addirittura un precursore del sessantotto, la cultura laicista – non tutta per fortuna – tende a mettere in dubbio la validità della sua esperienza e darne giudizi drasticamente negativi, anche con falsificazione di dati.

Anche se la cosa può sembrare scontata e banale, don Lorenzo Milani era un prete, un prete e basta, un prete che ha tentato di applicare il Vangelo senza compromessi ed alibi. Un prete che aveva fatto “una scorpacciata di vangelo”, come ebbe a dire il suo padre spirituale, don Bensi, e come ha ribadito Papa Francesco nel portarsi il 20 giugno 2017 presso la sua tomba a Barbiana.

Il ministero

Per capire don Lorenzo, le sue scelte, le sue battaglie occorre partire dalla scelta fondamentale che fece improvvisamente, a 20 anni, di servire Cristo e i suoi poveri, attraverso il sacerdozio, per salvare e salvarsi l’anima. Fu costante in don Milani la meditazione della vita di Cristo, di cui è testimonianza quel laborioso progetto di catechismo in forma di vita di Gesù, cui lavorò soprattutto nei primi anni. Il ministero di don Milani si svolse in un costante impegno di conoscenza del suo popolo, soprattutto dei suoi giovani con i quali condivise bisogni spirituali e materiali.

Urge chiedersi cosa egli abbia voluto dirci con le sue intuizioni, le sue esuberanze, le umiliazioni subite, il servizio reso ai poveri. Importa cogliere il proprium della sua fede, della sua cultura. Egli da ricco divenuto povero, da intellettuale e artista fattosi maestro elementare, capace di prendere per mano adulti e fanciulli, è stato prete tutto d’un pezzo.

Siamo chiamati ad accettare in maniera sempre più profonda le provocazioni che don Lorenzo ha seminato nella sua breve esistenza terrena: la determinata ricerca dell’Assoluto; la povertà vissuta “sine glossa”; l’obbedienza senza servilismo; un’azione pastorale che va all’essenziale; la consapevolezza del suo ministero sacerdotale.

È nella stretta connessione tra il suo compito educativo e la sua missione sacerdotale che si chiarisce la sua caratteristica profetica. Dalla figura del Priore di Barbiana traspare la coscienza di un educatore che ha avuto il coraggio di scegliere gli ultimi, di scommettere sui non garantiti, poiché questo significava scommettere sull’uomo in nome di quel messaggio di salvezza destinato a tutti: il vangelo.

Don Milani ha operato nell’arco di secolo che va dal 1947 al 1967, durante anni di grandi cambiamenti e resistenze, di slanci e di contrasti, di lotte e di vivacità ideologica. Egli ha saputo dar voce alle rivendicazioni degli strati sociali più emarginati dell’Italia del dopoguerra e del boom economico. Infatti, don Milani da subito dimostra la sua autonomia di pensiero e tutta la sua portata rivoluzionaria nel denunciare le contraddizioni e le ingiustizie della società italiana nel suo complesso.

Linguaggio e comunità

Don Milani è convinto che non si può dare trasmissione di un messaggio senza il comune possesso di un codice, il quale aiuta a esprimere e sviluppare le potenzialità di ciascuno. Il linguaggio, la padronanza del lessico, l’uso e la conoscenza, il primato della parola sono per don Milani la chiave di volta di un qualsiasi sistema educativo che voglia dirsi tale.

Diceva che la cultura ha una duplice funzione: sociale, perché il sapere consente al povero di elevarsi alò rango del ricco; pastorale, in quanto l’istruzione aiuta la comprensione dell’insegnamento religioso, anche se riteneva le due funzioni rigidamente distinte.

Don Milani è un uomo che ha afferrato in maniera vivissima il primato della parola, intesa nei suoi significati umano e biblico-teologico. Egli ha colto la parola nella sua pregnanza biblica, nella sua potenza creativa, nella sua dignità vivificatrice, nella sua capacità di piegare, di trasformare, di costruire.

C’è tutta la dottrina biblica sulla forza creativa e formativa della parola: la parola che fa essere uomo. Nella misura in cui si insegna a parlare, si insegna tutto. Ma per insegnare a parlare ci vuole la scuola. E la scuola, come egli sottolinea spesso, è tutto un modo di essere. Il primato della parola è insomma la più profonda, la più costante, la più coerente intuizione della sua vita.

Condotto dalla stessa tradizione familiare a vedere nella cultura il mezzo indispensabile per compiere scelte responsabili, don Milani riteneva che solo l’istruzione avrebbe consentito di ricostituire quell’unità tra fede e vita che la cristianizzazione della società aveva spezzato.

La scuola avrebbe dovuto tuttavia rivolgersi non solo ai figli dei sedicenti fedeli, ma a tutti, con preferenza per i i figli degli operai e dei diseredati che, più degli altri, scontavano le conseguenze della loro ignoranza. Ecco, allora, lo scopo fondamentale dell’azione pedagogica di don Milani: dare la parola ai poveri che non l’hanno, ossia ad educarli ad esprimersi, a capire, a documentarsi. Le finalità educative che nel più ampio orizzonte di promozione degli emarginati, egli attribuiva alla scuola, si possono ridurre schematicamente a due: lo sviluppo dell’autonomia personale di giudizio e al tempo stesso attivazione di un forte senso della solidarietà umana.

Egli diceva che durante i secoli a questi ragazzi era stata negata la cosa più grande dei mondo: la cultura. Per questo si arrabbiava e quindi i preti, i medici, tutte le persone, dovevano mettersi in ginocchio davanti a questa povera gente della montagna che era stata trattata male per tanto tempo. II suo scopo era quello di difendere il povero, di difendere il debole, ma tutte queste cose le faceva in un modo che non si faceva intendere.

Questo il credo del Priore di Barbiana: dare, donare la parola ai poveri. È soprattutto nei poveri, secondo don Milani, che il nesso parola-verità potrà ricostituirsi nella sua realtà originaria. Questa è l’intuizione e l’esperienza pastorale di don Milani: liberare l’uomo dallo stato di passività qualunque sia l’istituzione in cui si trovi, la parrocchia o la casa del popolo. Emerge nell’opera educativa milaniana un nesso inscindibile tra istruzione e salvezza che è proprio della sua concezione della parola.

La dignità dell’educare

Don Milani ci ha insegnato e ci insegna che sperare per dare dignità all’impegno educativo non è altro dall’evangelizzazione, perché appassionare l’uomo alla ricerca della verità, offrirgli gli strumenti della conoscenza, educarlo al discernimento critico, far maturare il desiderio di una pienezza di senso, significa consegnarlo a Colui che è via, verità e vita: Cristo redentore dell’uomo.

Illuminanti le parole del sacerdote che l’ha amato di più, aiutato di più, stimato di più, don Raffaele Bensi, il suo padre spirituale: “Don Lorenzo Milani era illuminato, un profeta, un testimone unico nel suo genere. È un gran bene che ci sia stato. Sarebbe un disastro se ce ne fossero altri, voglio dire proprio come lui, e senza essere quello che lui era. Non so se riesco a farmi capire. Era un cristiano, ma anche un ebreo; un piede, a suo modo, nel Vecchio Testamento l’ha sempre tenuto. Di qui il suo rigore, le sue collere, la sua consapevolezza, la sua spaventosa intransigenza. Chiedeva tutto, esigeva il massimo, la perfezione; in questo, se si vuole, era anche un po’ disumano.

Ma io so che pagava per primo, che non si concedeva indulgenze, e quel che chiedeva alla Chiesa, al Vescovo, lo chiedeva per amore. La sua ostinazione, per esempio, nel chiedere al Vescovo che restituisse a lui, prete colpito, calunniato, esiliato, l’onore che gli spettava, non era per se stesso, ma per il sacerdozio, per il sacerdote, soprattutto per i suoi ragazzi. Ma queste son cose che si capiranno bene soltanto col tempo. Don Milani è più per domani che per oggi, di questo son sicuro”[1].

Mi chiedo: questo “domani” è arrivato? Che cosa c’è nel messaggio milaniano di attuale per il nostro cammino di Chiesa e per una scuola a servizio dell’uomo nella sua integralità? Che cosa rimane ancora da attuare del suo pensiero?

Rasserenanti e cariche di speranza le considerazioni autobiografiche che leggiamo in una lettera di don Milani indirizzata ad una sua zia Silvia. Tradiscono la sua sofferenza e al contempo la sua fede adamantina: “Combatti fino all’ultimo sangue a costo di farti relegare in una parrocchia di novanta anime in montagna, e farti tirar via dal commercio, sì tutto, ma senza perdere il sorriso sulle labbra e nel cuore; e senza un attimo di disperazione e di malinconia o di scoramento o di amarezza. Prima di tutto c’è Dio, e poi c’è la Vita eterna”[2].

Una vita, dunque, vissuta sempre sul filo del rasoio, ma abitata dalla serenità d’animo e dalla fede. È risaputo che egli volle essere sepolto con gli scarponi da montagna ai piedi. È un simbolo ed è un invito a camminare, a mettere in conto che le ardue frontiere della giustizia e dell’amore non si varcano senza sudori, lacrime e sangue.

Per don Milani conviene ricordare ciò che venne detto ai funerali di Leon Bloy, il polemista francese al quale don Lorenzo rassomigliava per molti tratti della sua fisionomia spirituale, per certe ribellioni e provocazioni brucianti: “Aveva numerosi amici, tra cui alcuni convertiti. Siamo in molti, grazie a lui, ad essere ritornati da lontano. Se ci fu qualche esagerazione e qualche violenza nel suo linguaggio, Dio terrà conto, a suo favore, di tutto il bene che ha voluto fare ed ha realmente compiuto”.

Anniversario

A cento anni dalla nascita di don Lorenzo sentiamoci tutti chiamati a “tornare da lontano” per avvicinarci alla semplicità e parresia del vangelo che promana dalla vicenda umana e spirituale di questo profeta che come tutti i profeti è più per domani che per oggi[3]. Mi piace, infine, mettere sulla bocca di don Lorenzo un’accorata implorazione, immaginando che nei suoi soliloqui con il Cristo egli rivolgesse per tutti i preti, prendendo in prestito le parole di Giovanni Papini.

“Ama i tuoi preti, Cristo, amali tutti e non solo i puri e gli ardenti, ma anche quelli che ti seguono a guisa di servitori rassegnati, anche quelli che dubbi e tentazioni consumano, anche quelli che ripetono le tue parole di fuoco come lo scolaro stanco ripete la lezione tante volte imparata e mal ricordata”[4].


[1] M. Landi, “Tutto al suo conto”. Don Lorenzo Milani con Dio con l’uomo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2023, p. 69.

[2] G. Lentini, Vivere con gioia. Don Lorenzo Milani, Rogate, Roma 1982, p. 185.

[3] L. Bloy, Il sangue del povero, Paoline, Milano 1962, pp. 14.

[4] G. Papini, Cristo e i santi. Seconda preghiera a Cristo, Mondadori, Milano 1962, p. 722.

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Un commento

  1. Tobia 29 maggio 2023

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