Il congresso della discordia

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Il congresso mondiale della famiglia, a Verona, passerà probabilmente alla storia come il congresso della discordia. Mai forse si era litigato e ci si era divisi tanto già alla vigilia. In primo luogo all’interno del governo, dove i due vicepremier Di Maio e Salvini e, sulla loro scia, il premier Conte e il ministro della famiglia Fontana, hanno dato dell’evento un’opposta valutazione.

Stessa spaccatura fra le forze politiche: il PD, contrarissimo, ha accusato fin dall’inizio il convegno di essere un tentativo di ritorno al medioevo, mentre Lega e Fratelli d’Italia hanno negato decisamente ogni intento reazionario.

Perfino il fronte dei difensori della famiglia si è rotto in questa occasione, con Adinolfi, fondatore e leader del «Popolo della famiglia», che ha accusato i promotori, tra cui il suo ex alleato Gandolfini, di strumentalizzazione del tema della famiglia per scopi partitici.

Spaccato, manco a dirlo, anche il mondo cattolico, al cui interno don Ciotti e tanti altri preti e laici hanno definito questo convegno una vergogna, accusando i suoi organizzatori di voler difendere una visione della famiglia e della donna che la stessa Chiesa si è ormai lasciata alle spalle, mentre il vescovo di Verona, Zenti, notoriamente simpatizzante per la Lega, ha accettato di partecipare, portando il suo saluto.

Una posizione mediana è stata espressa dal segretario di Stato vaticano, il card. Parolin, che ha definito condivisibile nella sostanza l’obiettivo del convegno, esprimendo però riserve sulle modalità con cui lo persegue.

Il cartello della Cirinnà e la crisi dell’alleanza cattolici-socialisti

In questo bailamme, secondo la logica del virtuale e della post-verità, l’effettivo contenuto dei discorsi del convegno sembra destinato a passare in seconda linea, rispetto alle immagini che di esso proiettano le diverse interpretazioni in conflitto tra loro e impersonate da figure emblematiche.

E la prima di esse è quella della senatrice del PD Cirinnà, notissima per aver promosso la legge oggi in vigore sulle unioni civili, che l’8 marzo scorso, per rivendicare i diritti delle donne nella famiglia, in polemica col convegno ormai prossimo, brandiva un cartello con la scritta: «Dio – patria – famiglia: che vita de merda!».

La foto, ampiamente ripresa dai giornali e sui social, merita qualche riflessione. Una, sul piano strettamente politico, è che, in una formazione come il Partito Democratico, nato per unire tra loro socialisti e cattolici, questa presa di posizione pubblica (quali che siano le intenzioni soggettive della Cirinnà) non sembra la più adatta a favorire il rispetto e la cooperazione reciproci. Si potrà sostenere che quella della senatrice PD è una posizione isolata.

Ma, date la sua carica istituzionale e la notorietà del personaggio, in questo caso sarebbe stata indispensabile, da parte dei vertici del partito, una presa di distanze che non c’è stata. Forse il PD ha un’eccedenza di voti e vuole scaricare quelli della sua componente cattolica…

In realtà da tempo, ormai, la linea della “sinistra”, orfana del marxismo e del suo impegno nel sociale – che avrebbe dovuto essere il terreno comune con i cattolici – si è concentrata sulla difesa indiscriminata dei diritti degli individui, venendo paradossalmente a coincidere con l’impostazione tradizionale della destra liberale.

Inevitabile, a questo punto, il conflitto con la logica comunitaria – per cui libertà e responsabilità sono inscindibili – che rientra nel DNA del cattolicesimo e a cui si ispira la sua visione della famiglia.

La questione dei valori

Questo ci porta a un’altra notazione, questa volta relativa al problema dei valori.

Quelli tradizionali sbeffeggiati dal cartello della Cirinnà oggi, nella proposta della “sinistra” – ma più in generale, nella cultura libertaria della nostra società neocapitalistica, in cui questa proposta rientra perfettamente –, hanno come unico sostituto quello della libertà individuale, intesa come assenza di vincoli, col solo limite del rispetto dell’analoga libertà degli altri individui.

Ma questo crea un corto-circuito, perché la libertà per se stessa è protesa a potere scegliere qualcosa che non sia se stessa. Non si è liberi per… essere liberi. Anche perché poi si potrebbe continuare il gioco all’infinito.

Una libertà così intesa rischia di assomigliare a quei servizi di piatti che le nostre nonne tenevano nei cassettoni gelosamente incartati, rifiutando di usarli per paura di sciuparli e che di conseguenza, a dispetto del loro nome – servizi – non servivano a nulla.

Conferma, purtroppo, questa lettura la presa durissima di posizione dei vertici del PD nei confronti di quella capogruppo dello stesso partito, la quale qualche tempo fa aveva firmato una mozione del consiglio comunale di Verona dove, senza in alcun modo contestare la legge 194, si raccomandava di valorizzarne la parte relativa alla prevenzione degli aborti, approntando una serie di sostegni alle donne in maternità.

Non l’avesse mai fatto! Lei sì, a differenza della Cirinnà, è stata censurata ufficialmente per aver violato il solo principio rimasto sacro, quello dell’assoluta libertà di scelta – in questo caso quella di chi vuole abortire.

In questa logica la famiglia, come veniva intesa, non ha più senso, e non tanto per la questione dell’etero o dell’omosessualità degli sposi (non a caso nel cartello non distingueva), ma perché si fonda su un impegno di fedeltà reciproca che costituisce sicuramente un legame vincolante.

Le contraddizioni dei paladini della famiglia

Sull’altro fronte sta l’immagine del leader leghista Salvini che dichiara di voler partecipare per testimoniare la sua piena adesione all’ideale della famiglia, in piena consonanza con l’insegnamento di papa Francesco. E che Salvini creda fermamente nella famiglia lo dimostra il fatto che, nella sua ancor giovane vita, ne ha voluto far nascere diverse.

Una, fondata sul matrimonio, da cui è nato un figlio, che dopo qualche anno è finita con un divorzio; un’altra, di fatto, durata anch’essa qualche anno, da cui è nata una figlia; poi ha convissuto con una conduttrice televisiva; e proprio in questi giorni le cronache rosa ci annunziano festanti che ha intrapreso un nuovo rapporto con la figlia di Verdini.

Guarda caso, anche Giorgia Meloni, l’altra paladina dei valori tradizionali della famiglia, presente a Verona per testimoniarli di persona, vive more uxorio con un compagno che non è suo marito e ha un figlio nato fuori del matrimonio.

A chi gliel’ha fatto notare (la Gruber, in una tempestosa trasmissione televisiva) ha risposto che però lei non pretende almeno i vantaggi che spettano alle coppie sposate. Resta il problema di uno stile di vita personale che, se si tratta di valori etici, come nel caso della battaglia per la famiglia, non può essere irrilevante.

Perché quello che il convegno di Verona solleva non è un problema meramente tecnico, ma il modo di concepire e di vivere la famiglia nella società di oggi e di domani. Per questo, ciò che Salvini e la Meloni testimoniano, con la loro vita, è esattamente l’opposto di quello che dicono.

Il vangelo di Salvini

Da questo punto di vista forse il leader leghista ha ragione di appellarsi, come ha spesso fatto in questi ultimi mesi, al vangelo, giurandogli fedeltà. Ma non per quel passo in cui si dice che l’uomo non deve separare ciò che Dio ha unito, citato sempre dai difensori del vincolo matrimoniale, bensì per quell’altro in cui si dice: «Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno» (Mt 23,3). Solo che Gesù dice questo dei farisei, che, con il loro falso attaccamento alla tradizione, in realtà perseguivano il proprio potere.

E non si può evitare l’impressione, di fronte alla sfilata di gerarchi della Lega al convegno di Verona, che alla fine quello che resta sia un’operazione mediatica, l’ennesima dell’incessante campagna elettorale che Salvini conduce indefessamente, da prima delle elezioni del marzo scorso in poi, e la cui meta non è certo far passare concrete misure di sostegno alle coppie sposate con figli, di cui ci sarebbe urgentissimo bisogno (di queste non si parla…), ma il rafforzamento della sua immagine di “difensore dei valori”.

La famiglia sconfitta

Così la vera sconfitta, nella vicenda di questo convegno, è la famiglia, rifiutata apertamente da chi lo ha contestato, ma il cui declino è stato forse ancora più tragicamente confermato, col linguaggio spietato dei fatti, da chi del convegno è stato sostenitore.

Perché la sola soluzione a quel declino, al di là degli opposti slogan ideologici e propagandistici, sarebbe il superamento di un clima culturale e di un contesto economico-sociale oggi dominanti e fatali ai rapporti stabili propri della comunità familiare.

Una cultura e un assetto economico che sia la “sinistra” che la “destra” non intendono rimettere in discussione, perché in realtà non hanno (e neppure cercano) vere alternative da proporre. Eppure qualcuno dovrà provarci. La posta in gioco è troppo alta. Perché, se la famiglia muore, muore anche l’essere umano.

Giuseppe Savagnone è direttore dell’Ufficio per la pastorale della cultura dell’arcidiocesi di Palermo, scrittore ed editorialista. Il post è stato pubblicato nella sua rubrica «I chiaroscuri», ospitata sul sito www.tuttavia.eu, lo scorso 28 marzo 2019.

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