Itinerari catecumenali e castità

di:

matrimonio

Il Documento[1] preparato con molta cura dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita è ampiamente articolato e ricco di contenuti. Una sua analisi dettagliata richiederebbe molto tempo e molto spazio e senza dubbio non mancheranno contributi in quella direzione.

L’intento di queste mie brevi considerazioni non è quello di entrare nell’analisi del documento. Esse si soffermano su due punti apparentemente secondari nell’economia di esso, ma hanno – a parere di chi scrive – una non piccola importanza perché consentono di far emergere alcuni presupposti che continuano ad essere presenti negli interventi magisteriali concernenti il matrimonio e la sessualità e che esigerebbero un’adeguata riformulazione.

Un magistero a due polmoni

Il primo punto lo descriverei così: il magistero sta cercando in questo Documento di ricordarsi che deve esprimere una Chiesa a due polmoni, ma non ne ha ancora assunto adeguata consapevolezza.

Ho detto che sta facendo sforzi per ricordarsi di questo. In effetti, i lettori del Documento noteranno che, in almeno sei punti, si adotta una peculiare modalità espressiva:

«è compito di ogni diocesi/eparchia….» (n. 16); «è importante, tuttavia, rimarcare che anche quando una diocesi/eparchia…» (n. 16); «sarà opportuno, dopo aver elaborato il proprio itinerario di catecumenato matrimoniale, che la diocesi/ eparchia lo sottoponga ad un periodo di sperimentazione» (n. 17); «di fronte alla pluralità di situazioni personali, la diocesi/eparchia potrebbe prevedere una forma comune di itinerario catecumenale…» (n. 18); «a tal fine, sarà importante prevedere un’adeguata formazione dei formatori […] coinvolgendo esperti e creando sinergia, per esempio, con i consultori di ispirazione cristiana o i progetti pastorali di educazione all’affettività approvati e conosciuti dalla diocesi/eparchia o dalla conferenza episcopale» (n. 30); «Una prima tappa di preparazione prossima, più lunga, di durata variabile; una seconda tappa di preparazione immediata, più breve, e una terza tappa di accompagnamento delle coppie nei primi anni di vita matrimoniale, che si conclude con l’inserimento della coppia nella pastorale familiare ordinaria della parrocchia e della diocesi/eparchia» (Conclusione, p. 97).

La peculiare dizione adottata (“diocesi/eparchia”) fa chiaro riferimento all’esistenza di due terminologie giuridiche nella Chiesa cattolica, quella latina (diocesi) e quella orientale (eparchia). Si può dire che gli estensori abbiano voluto in tal modo mostrare l’attenzione alla presenza del polmone occidentale e di quello orientale nella Chiesa cattolica.

La cosa è sicuramente degna di nota; anzi, si può dire che è pienamente da condividere.

Tuttavia, non si può evitare di osservare che in nessun punto del Documento si tiene conto che le Chiese orientali cattoliche – ovvero la stragrande maggioranza delle Chiese rituali componenti la comunione cattolica – hanno numerosi presbiteri sposati e seminaristi che si preparano al matrimonio, dopo il quale – secondo le condizioni proprie previste dalle varie Chiese – potranno essere ordinati diaconi e presbiteri.

Nel Documento non si prevedono percorsi peculiari per essi, pur parlando esplicitamente dei seminaristi al n. 86,[2] anzi in vari punti emerge il presupposto tipicamente latino che sacerdozio ministeriale e matrimonio sono vocazioni e stati di vita che non si incontrano nella stessa persona in linea di principio.[3]

Inoltre, non viene in alcun modo ripreso l’invito di Amoris laetitia, 202 a tener conto – nella trattazione dei complessi problemi della famiglia – dell’«esperienza della lunga tradizione orientale dei sacerdoti sposati».

Ancor meno viene inevitabilmente prestata attenzione alla peculiare vocazione della donna che aiuta l’uomo ad esercitare il ministero presbiterale nella comunità (la presbytera, secondo la terminologia greca tradizionale).

Continenza e castità

Un secondo punto che è opportuno notare, mi pare, è il richiamo alla virtù della castità. Si tratta di un giusto richiamo, giacché nel Magistero postconciliare la castità si è configurata sempre più come la virtù che salvaguarda la verità dell’amore. Il Documento cita vari testi a conferma, tutti molto significativi. Così nel suo numero 57 dice: «non deve mai mancare il coraggio alla Chiesa di proporre la preziosa virtù della castità (nota 48[4]) per quanto ciò sia ormai in diretto contrasto con la mentalità comune. La castità va presentata come autentica “alleata dell’amore”, non come sua negazione. Essa, infatti, è la via privilegiata per imparare a rispettare l’individualità e la dignità dell’altro, senza subordinarlo ai propri desideri. La castità insegna ai nubendi i tempi e i modi dell’amore vero, delicato e generoso, e prepara all’autentico dono di sé da vivere poi per tutta la vita nel matrimonio (nota 49[5])».

La castità come vissuto virtuoso dell’amore include quello che il Documento al n. 57 indica come «l’astenersi da un uso disordinato della sessualità», ovvero la continenza. La relazione tra castità e continenza, infatti, è così descritta alla nota 50 sulla base del CCC: «La castità deve distinguere le persone nei loro differenti stati di vita: le une nella verginità o nel celibato consacrato, un modo eminente di dedicarsi più facilmente a Dio solo, con cuore indiviso; le altre, nella maniera quale è determinata per tutti dalla legge morale e secondo che siano sposate o celibi. Le persone sposate sono chiamate a vivere la castità coniugale; le altre praticano la castità nella continenza. […] I fidanzati sono chiamati a vivere la castità nella continenza. Messi così alla prova, scopriranno il reciproco rispetto, si alleneranno alla fedeltà e alla speranza di riceversi l’un l’altro da Dio. Riserveranno al tempo del matrimonio le manifestazioni di tenerezza proprie dell’amore coniugale. Si aiuteranno vicendevolmente a crescere nella castità» (Catechismo della Chiesa cattolica, 2349-2350).

Non c’è dubbio che il Documento presenta una buona esposizione del Magistero. Tuttavia, bisogna osservare che il Magistero è andato maturando al proprio interno (insegnamento e prassi giuridica) posizioni che non sembrano essere più in piena armonia tra loro. Per la dimostrazione di questo posso solo rinviare chiunque sia interessato al libro che ho appena pubblicato da pochi mesi.[6] Mi limiterò qui all’argomento essenziale riguardo al rapporto tra castità e continenza.

Come si è appena detto, citando il Documento, l’area di liceità dell’esercizio unitivo della sessualità coincide con quella della condizione coniugale (= matrimonio validamente celebrato); non è considerato invece area di liceità quella del fidanzamento. Il presupposto storico di tale distinzione è appunto che i fidanzati non sono sposati, ovvero non sono uniti da un legame matrimoniale valido e sono dunque privi del diritto all’atto che è considerato proprio degli sposi: tra l’altro, è questo il motivo per cui l’unione sessuale è nella manualistica indicato con il termine actus coniugalis.

L’apparente chiarezza di questa prospettiva nasce dal fatto che il Documento continua a dare per ovvio che l’amore coniugale si possa dare solo nel matrimonio legittimamente costituito, come diritto/dovere proprio degli sposi.

Eppure, specialmente nel corso del secolo XX, è sempre più emerso con chiarezza che l’amore coniugale, inteso qualitativamente come tenerezza coniugale e forma di donazione/alleanza esistenziale, non coincide con l’amore coniugale inteso come diritto/dovere legale scaturente dal reciproco impegno giuridicamente posto.

In questa sovrapposizione di senso c’è un equivoco, che non è sfuggito neppure al diritto canonico, tanto meno alla pastorale, come mostro nel mio libro.

Anche il diritto canonico ha dovuto riconoscere che si può essere validamente sposati senza amarsi con verità coniugale esistenziale, così come la pastorale ha dovuto prendere atto che ci si può amare di piena donazione esistenziale anche senza essere legittimamente sposati: la relazione esistenziale (senso qualitativo della comunione coniugale) non coincide con la condizione giuridica e i diritti/doveri che ne conseguono, essa ha una sua consistenza propria che può coincidere con la situazione giuridica delle persone ma non necessariamente.

Se questo è vero,[7] allora non si vede perché sia moralmente riprovevole il rapporto di comunione corporea tra due persone che camminano insieme nell’esistenza, mano nella mano, nella fedeltà, nell’apertura responsabile alla vita, protesi all’unità crescente della loro vita, senza lesione dei diritti legali ed esistenziali di altre persone.

La virtù della castità è preziosa, quando protegge e veglia sull’autenticità dell’amore interpersonale, sull’amore di piena donazione esistenziale tra due persone, ma niente prova che la piena donazione esistenziale tra le persone si dia solo e necessariamente all’interno dei confini giuridici del matrimonio.


[1] Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale. Orientamenti particolari per le Chiese particolari, LEV, Città del Vaticano 2022, pp. 103. Nel testo esso è indicato con Documento.

[2] 86: «[…] non si può prescindere da una precisazione sull’urgenza di una formazione più adeguata dei presbiteri, dei seminaristi e dei laici (incluse le coppie di sposi) al ministero di accompagnamento dei giovani al matrimonio. Occuparsi in maniera sistematica della formazione e dell’aggiornamento dei presbiteri/religiosi e degli operatori pastorali, in vista del catecumenato matrimoniale, è indispensabile per superare vecchie abitudini e formare ad uno stile di accompagnamento così come alla conoscenza di contenuti (teologici, morali, bioetici e spirituali) adeguati alla realtà delle coppie di oggi, spesso già conviventi e con figli quando si avvicinano alla Chiesa per sposarsi. In molti contesti pastorali, in particolare, si rivela ormai indispensabile una formazione dei seminaristi e dei presbiteri maggiormente centrata sulle nuove sfide della pastorale matrimoniale e familiare, incluse le questioni relative alla morale sessuale, coniugale e alla bioetica, che fanno ormai parte della vita quotidiana delle famiglie in molte parti del mondo».

[3] Si veda ancora il n.86: «Ai fini, poi, di un’efficace ed effettiva partecipazione degli sposi come operatori della pastorale, è indispensabile la comprensione del legame di complementarietà e corresponsabilità ecclesiale che esiste tra ordo sacerdotalis e ordo coniugatorum, per aprire l’azione dei sacerdoti ad una maggiore collaborazione con i laici e le famiglie, riconoscendo loro ruoli pastorali significativi nelle parrocchie e a livello diocesano. Spesso, quello che manca in molte realtà locali è proprio la possibilità per gli sposi di avere spazi per agire nella pastorale, in quanto sposi. È, infatti, indubbio che per esprimere il carattere missionario della pastorale del matrimonio, accanto all’accompagnamento specifico dei pastori, serve la testimonianza delle famiglie e degli sposi: in tal senso, non è bene separare ecclesia docens ed ecclesia discens, proprio in virtù dell’esperienza ricca e concreta della vita nuziale e famigliare che gli sposi possiedono». Anche altrove il presupposto latino emerge chiaramente: «la Chiesa è madre, e una madre non fa preferenze fra i figli. Non li tratta con disparità, dedica a tutti le stesse cure, le stesse attenzioni, lo stesso tempo. Dedicare tempo è segno di amore: se non dedichiamo tempo a una persona, è segno che non le vogliamo bene. Questo mi viene in mente tante volte quando penso che la Chiesa dedica molto tempo, alcuni anni, alla preparazione dei candidati al sacerdozio o alla vita religiosa, ma dedica poco tempo, solo alcune settimane, a coloro che si preparano al matrimonio. Come i sacerdoti e i consacrati, anche i coniugi sono figli della madre Chiesa, e una così grande differenza di trattamento non è giusta» (Prefazione di papa Francesco, p. 8); «In questo modo si ha la possibilità di impostare itinerari pedagogici che, nelle varie fasi di crescita – umana e di fede –, accompagnino i bambini e i giovani alla graduale scoperta della loro vocazione: sia essa al matrimonio, al sacerdozio o alla vita religiosa» n. 14); «c) educare gli adolescenti all’affettività e alla sessualità in vista della futura chiamata ad un amore generoso, esclusivo e fedele (sia nel matrimonio che nel sacerdozio o nella vita consacrata)» (n. 36).

[4] In tale nota si citano i seguenti passi: «È necessario ricordare l’importanza delle virtù. Tra esse la castità risulta condizione preziosa per la crescita genuina dell’amore interpersonale» (Amoris laetitia, 206); «La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici. Dio stesso ha amato l’uomo con amore casto, lasciandolo libero anche di sbagliare e di mettersi contro di Lui. La logica dell’amore è sempre una logica di libertà» (Patris corde, 7).

[5] «Non può mancare, in questo periodo, anche una leale e coraggiosa educazione alla castità, all’amore come dono di sé. La castità non è mortificazione dell’amore, ma condizione di autentico amore. Infatti, se la vocazione all’amore coniugale è vocazione al dono di sé nel matrimonio, è necessario arrivare a possedere sé stessi per potersi veramente donare». (Pontificio Consiglio per la Famiglia, Preparazione al sacramento del matrimonio, 24).

[6][6] B. PETRA’, Una futura morale sessuale cattolica. In/fedeltà all’apostolo Paolo, Cittadella Editrice, Assisi 2021, Tutta la parte prima (pp. 9-32) è dedicata a: L’etica sessuale cattolica tra diritto e morale. Dall’apostolo Paolo ad oggi. La parte conclusiva (pp. 83-99) è dedicata poi a Camminare in/fedeltà a Paolo, oggi. Ovviamente nessuno è obbligato a leggere tali pagine; tuttavia, chi critica alcune mie affermazioni senza averle lette rischia di porre critiche senza fondamento.

[7] Rinvio alle pagine indicate nella nota precedente.

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