La Summa familiæ di papa Francesco

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Il nuovo motu proprio Summa familiæ (=SF), riformulando la istituzione dell’Istituto Giovanni Paolo II, introduce alcune importanti novità nel panorama teologico e pastorale contemporaneo. Vorrei presentare una breve lettura del documento e considerarlo come uno degli effetti del “lavoro sinodale” culminato con la esortazione apostolica Amoris titia. Anzi, come dirò in seguito, questo motu proprio assume proprio da AL il compito di una profonda autocritica della teologia e della pastorale familiare, per come si sono sviluppate negli ultimi 35 anni.

1. La rifondazione dell’Istituto Giovanni Paolo II

Con un parallelismo assai efficace, il testo di SF pone in relazione il sinodo del 1980, di cui furono conseguenza la esortazione apostolica Familiaris consortio e poi la Fondazione dell’Istituto Giovanni Paolo II, con il doppio Sinodo del 2014-2015, cui è seguita la esortazione apostolica Amoris titia, da cui scaturisce oggi la esigenza di una profonda revisione dell’atto istitutivo dell’istituto, che da allora si era dedicato allo studio della teologia e della pastorale matrimoniale e familiare. Questo sviluppo, secondo il testo di SF, «esige che – anche a livello di formazione accademica – nella riflessione sul matrimonio e sulla famiglia non vengano mai meno la prospettiva pastorale e l’attenzione alle ferite dell’umanità». Pertanto ne viene l’integrazione di una “prospettiva pastorale” e di una nuova attenzione alle “ferite dell’umanità”: una maggiore attenzione alla storia e alla concretezza impone una revisione della impostazione degli studi promossi dall’istituto. Di qui deriva, per conseguenza, una necessità di approfondimento “metodologico”, perché l’approccio al matrimonio e alla famiglia risponda davvero alla realtà contemporanea: «Il cambiamento antropologico-culturale, che influenza oggi tutti gli aspetti della vita e richiede un approccio analitico e diversificato, non ci consente di limitarci a pratiche della pastorale e della missione che riflettono forme e modelli del passato». La fedeltà alla tradizione esige un accordo più radicale tra intelletto d’amore e saggio realismo.

Da tutto ciò discende la necessità di dare “un nuovo assetto giuridico” all’istituto, perché la lungimirante intuizione di 35 anni fa possa aderire meglio alla realtà attuale. Ed ecco la decisione, considerata nel suo centro: «Pertanto, sono venuto alla deliberazione di istituire un istituto teologico per le Scienze del matrimonio e della famiglia, ampliandone il campo di interesse, sia in ordine alle nuove dimensioni del compito pastorale e della missione ecclesiale, sia in riferimento agli sviluppi delle scienze umane e della cultura antropologica in un campo così fondamentale per la cultura della vita». Il fronte di riforma è dunque duplice: da un lato il mutamento della prospettiva pastorale ed ecclesiale, dall’altro il riconoscimento del necessario confronto per la teologia con le scienze umane e la cultura antropologica.

A ciò segue una serie di 6 articoli, con cui si compiono alcuni atti giuridici di diversa rilevanza, di cui sottolineo solo i seguenti:

– viene istituito il Pontificio istituto teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia, che sostituisce di nome e di fatto il precedente istituto. Anche nel titolo si nota l’ampliamento dell’ambito di ricerca.

– le competenze dell’istituto vengono correlate a quelle di altre istituzioni della Santa Sede come la Congregazione per l’educazione cattolica, il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, la Pontificia accademia per la vita.

È evidente che il nuovo istituto, pur collocandosi nella scia della accademia inaugurata 35 anni fa, ne costituisce una significativa riforma almeno per due profili fondamentali:

– da un lato nel modo di intendere la “pastorale familiare”, compresa secondo le direttrici della “conversione pastorale” e della “identità missionaria” potentemente riproposte in Evangelii gaudium e in Amoris titia;

– dall’altro, sul piano squisitamente accademico, richiede metodologie di ricerca differenziate, più ampie e più aderenti alla realtà attuale: è un intero modo di fare teologia che qui viene ripensato e sottoposto ad accurato riesame.

2. “Ci spetta una salutare reazione di autocritica” (AL 35)

Proprio questo grande disegno di ripensamento trova in Amoris lætitia la sua base di formulazione e di orientamento più adeguata. Non solo perché esso cerca di superare quella “morale fredda da scrivania” (AL 312) che spesso si era espressa con particolare insistenza proprio dalle cattedre dell’Istituto GP2, ma perché trova, nei numeri 35-37 di AL, la sua base originaria di argomentazione.

Potrebbe essere utile formulare, quasi in forma di “decalogo”, le principali “voci” di quella “salutare autocritica” che non solo ha portato alla riformulazione dell’assetto giuridico dell’Istituto, ma anche ha contribuito efficacemente a delinearne i nuovi contenuti e le nuove istanze metodologiche.

Le “dieci parole” che qui elaboro – sulla base del dettato letterale di AL 35-37 – possono aiutare anche a giustificare la esigenza di riforma che in SF ha trovato lucida realizzazione. Dato che non pochi di questi difetti sono stati il frutto della impostazione largamente condivisa in seno all’Istituto GP2 – e forse da esso addirittura perfezionata –  si comprenderà bene perché la esigenza di superamento abbia assunto la forma di una vera e propria “rifondazione” dell’istituto:

Ecco dunque il decalogo elaborato da AL per una “salutare autocritica”:

  1. La sterile denuncia: «non ha senso fermarsi a una denuncia retorica dei mali attuali, come se con ciò potessimo cambiare qualcosa» (AL 35).
  2. La pretesa normativa:«Neppure serve pretendere di imporre norme con la forza dell’autorità» (AL 35).
  3. Presentare le ragioni e le motivazioni di una scelta: occorre «presentare le ragioni e le motivazioni per optare in favore del matrimonio e della famiglia, così che le persone siano più disposte a rispondere alla grazia che Dio offre loro» (AL 35).
  4. Modi inadeguati di esporre le convinzioni e di trattare le persone: «a volte il nostro modo di presentare le convinzioni cristiane e il modo di trattare le persone hanno aiutato a provocare ciò di cui oggi ci lamentiamo, per cui ci spetta una salutare reazione di autocritica» (AL 36).
  5. Squilibrio tra fine unitivo e fine procreativo: «spesso abbiamo presentato il matrimonio in modo tale che il suo fine unitivo, l invito a crescere nell’amore e l’ideale di aiuto reciproco sono rimasti in ombra per un accento quasi esclusivo posto sul dovere della procreazione» (AL 36).
  6. Un accompagnamento inadeguato delle nuove coppie: «Non abbiamo fatto un buon accompagnamento dei nuovi sposi nei loro primi anni, con proposte adatte ai loro orari, ai loro linguaggi, alle loro preoccupazioni più concrete» (AL 36).
  7. Astrattezza e idealizzazione teologica: «Abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario» (AL 36).
  8. La presunzione di autosufficienza della dottrina: «Per molto tempo abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia, avessimo già sostenuto a sufficienza le famiglie, consolidato il vincolo degli sposi e riempito di significato la loro vita insieme» (AL 37).
  9. Il matrimonio concepito più come atto che come rapporto: «Abbiamo difficoltà a presentare il matrimonio più come un cammino dinamico di crescita e realizzazione che come un peso da sopportare per tutta la vita»(AL 37).
  10. Non sostituire, ma formare le coscienze: «Stentiamo anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle»(AL 37).

Su ognuno di questi 10 punti il lavoro di ripensamento, nei contenuti e nei metodi – così come lucidamente additato da SF  – indica nello stesso tempo lo spazio esigente tanto per il sorgere di un nuovo istituto quanto per il tramonto di quello precedente. La buona continuità di seri studi sul matrimonio e sulla famiglia aveva proprio bisogno di questa benedetta discontinuità. Per potersi finalmente permettere di tradurre serenamente la tradizione familiare nella lingua degli uomini e delle donne di oggi: che sono più fragili, ma anche più ricchi; che sono più semplici, ma anche più complicati; che vivono famiglie deformate, ma anche informali; che attestano la fede più con la intimità che con le forme; che infine risultano – nello stesso momento – più indifferenti e più appassionati. Di questa realtà complessa, fuori da ogni massimalismo e fondamentalismo, dovrà occuparsi il lavoro accademico e pastorale del nuovo Istituto, al servizio non solo di una Chiesa più serena e dinamica, ma anche di una cultura ancora assetata di parole veramente serie.

Pubblicato il 23 settembre 2017 nel blog: Come se non.

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