Post Cirinnà: ritagli e ricordi

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Quale strategia possibile nei casi di leggi «avverse»?

Tormentarsi nella sconfitta, vagheggiare antistoriche rivincite o utilizzare i varchi aperti dal lavoro parlamentare? Insegnamenti del passato per i problemi di oggi

Come recita una nota sentenza, chi dimentica il proprio passato è condannato a riviverlo. Vale anche in politica. Per questo è utile, dopo l’approvazione al Senato della legge sulle unioni civili, richiamare quel che avvenne negli anni ’80 del secolo scorso dopo il referendum sull’aborto. In quell’occasione la proposta “minimale cattolica” (che accettava il ricorso all’aborto terapeutico) era stata bocciata al pari di quella dei radicali (di piena liberalizzazione). Era invece stata confermata dal voto la legge che consentiva l’interruzione volontaria di gravidanza ma, almeno nella formulazione, la condizionava al rispetto di una procedura d’accesso imperniata sul filtro dei consultori familiari pubblici. Modalità che era stata introdotta nel testo per iniziativa di alcuni parlamentari di estrazione cattolica come, tra gli altri, Mario Gozzini e Raniero La Valle, che sul punto intercettavano anche una sensibilità dei comunisti di Berlinguer.

L’aborto e i consultori

L’idea post-referendaria (chi scrive la sostenne in tutte le sedi, pubbliche e riservate) era di utilizzare lo spazio dei consultori per offrire sempre un’alternativa di vita alle donne in difficoltà. Ciò presupponeva, ovviamente, un forte investimento per concentrare energie adeguate su tali strumenti. E comportava, per gli operatori cattolici, l’attenuazione dell’area di obbiezione di coscienza, da limitarsi al solo atto medico abortivo in modo da favorire il rafforzamento della fase di prevenzione. L’ipotesi fu duramente avversata anche nel confronto tra le aggregazioni cattoliche dove prevalse la direttiva volta a potenziare i consultori “nostri”, nei quali l’ipotesi abortiva era esclusa a priori, in tal modo dando per scontato che la resistenza all’aborto si sarebbe, di fatto, indebolita in quelli pubblici. E a chi aveva manifestato un diverso avviso toccò di sentirsi definire come «oggettivamente abortista» mentre aveva semplicemente suggerito di esplorare l’esistenza, nella legge, di una via che non fosse quella del ricorso semplificato all’aborto.

La metà del Circo massimo

Famiy Day al Circo Massimo

Partecipanti al Family Day al Circo Massimo. 30/1/2016 (ANSA/Massimo Percossi)

Acqua passata? O esiste ancora il problema di quale possa essere una pratica “cattolica” nei confronti di leggi a vario titolo ritenute “avverse”, come appunto la Cirinnà? Anche per essa, tra l’altro, il contributo di parlamentari di matrice cattolica ha consentito di evitare la completa sovrapposizione tra matrimonio “costituzionale” e unione civile omosessuale, con molte ricadute da esplorare in sede applicativa.

Non sembra però che la corrente principale dell’opinione cattolica vada in tale direzione. Le voci che più si fanno sentire sono anzi quelle che condannano quei parlamentari cattolici che più si sono spesi per disattivare gli eccessi ideologici del dispositivo. Né si segnala qualche autorevole parola dissuasiva a proposito di invettive come quelle lanciate sul quotidiano online La Croce da uno dei referenti del «Family Day», l’avvocato Gianfranco Amato. Per il quale il «proditorio tradimento da parte di un manipolo di soi disant senatori cattolici», va annoverato tra le «italiche infamie» e rappresentato come una «ignobile pugnalata» dagli effetti devastanti. Perché, spiega, «ha colpito tre schiene»: quella di un altrimenti «festoso popolo del Family Day», quella della «sana dottrina cattolica», lesa con un «atto gravemente immorale»; e infine «la schiena di tutti gli italiani», delusi per aver dato il voto a rappresentanti rivelatisi disposti, in cambio delle poltrone, a negoziare anche il non negoziabile.

Si può osservare che un simile linguaggio, del resto consueto nelle polemiche clericali dei secoli passati, specie dell’Ottocento, perde valore, nel senso che assume un timbro strumentale, dopo la scelta di una parte del “popolo della famiglia” (metà del Circo Massimo come ha forse ironicamente titolato Avvenire) di «varcare il Rubicone» per spendersi nelle prossime elezioni comunali. E di farlo – nota di colore – con l’«ingenua baldanza» della… prima crociata, detta «dei pezzenti», con annesso rilancio del grido Deus lo vult, coniato da Pietro l’Eremita.

Per chi soffia il vento del Concilio?

Sullo sfondo di questa prosa truculenta acquista valore la posizione espressa da Ernesto Preziosi su l’Unità per criticare la formula ««cattodem» con cui sono stati identificati i senatori che, come lui, si sono battuti per emendare il testo sulle unioni civili. Preziosi giustamente richiama il suo partito, il PD, all’impegno di garantire cittadinanza piena a tutte le culture che si ritrovano nella sua piattaforma fondativa, evitando che si confonda chi esprime un sentire cristiano con un «clericale, un retrivo», a volte destinatario di insulti. Nel contempo però, da antico dirigente di Azione Cattolica, si rivolge anche all’interno dell’area cattolica per attualizzare la distinzione tra fede e politica, secondo il «vento del Concilio» cui papa Francesco «offre la sua voce quando, ad esempio, richiama l’inutilità di vescovi cocchieri o chiede di non immischiarsi in campi affidati all’impegno laicale».

Vede bene il lettore che, a questo punto, il problema per il cittadino cristiano non è solo quello di coltivare un discernimento realistico-positivo nei confronti delle mediazioni parlamentari individuando, per dire, il … lato buono delle leggi avverse e per rilevare che spesso l’aver sottovalutato tale opportunità ha suscitato più problemi di quanti ne abbia risolti. C’è infatti anche l’altra e più seria questione costitutiva della responsabilità dei laici cristiani, in quanto cittadini-sovrani, nelle cose della politica secondo il metodo democratico. Qui le caselle teoriche sono state tutte riempite. C’è soltanto (ed è un eufemismo) una prassi – energie e volontà coerenti – da attivare.

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