Amazzonia, coronavirus e indigeni

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Continua, per interessi economici e politici, la deforestazione dell’Amazzonia brasiliana. Si teme un devastante contagio fra le popolazioni indigene.

Interi popoli indigeni dell’Amazzonia sono minacciati da «un brutale collasso» e potrebbero estinguersi a causa del coronavirus portato dai taglialegna, dalle compagnie minerarie e dalle aziende zootecniche, la cui presenza può innescare una catena di infezioni. «L’immunità delle popolazioni non è infatti così elevata come in altre popolazioni del mondo».

Lo ha dichiarato, il 12 maggio scorso, in un’intervista a Radio Ö1 (Österreich 1), Erwin Kräutler, di origine austriaca ma naturalizzato brasiliano, attualmente vescovo emerito della diocesi amazzonica di Xingu. Il vescovo ha criticato apertamente l’atteggiamento antiindigeno del governo brasiliano del presidente Jair Bolsonaro, il quale, oltre a minimizzare il pericolo del coronavirus, ritiene anche che «l’Amazzonia debba essere aperta alle società nazionali e internazionali». A questo scopo egli intende introdurre una clausola nella Costituzione brasiliana che lo proibisce. La chiesa cattolica in Brasile ha chiesto, da parte sua, al Congresso di respingere questo emendamento.

Oltre a Bolsonaro, a minimizzare i rischi del coronavirus sono anche le Chiese libere evangeliche, secondo cui a sconfiggerlo bastano le preghiere. Ma mons. Kräutler ha messo in guardia da un atteggiamento fondamentalista del genere affermando: «Il virus costituisce un grande problema. Non si può dire che il buon Dio lo allontanerà, mentre noi non facciamo assolutamente niente».

L’organizzazione per la protezione dell’ambiente, Greenpeace, ha messo in guardia anche da una nuova legge che avrebbe gravi conseguenze per la foresta amazzonica. In questi giorni, infatti, in piena crisi del Covid 19, il Congresso brasiliano sembra intenzionato ad approvare la pubblicazione online del cosiddetto decreto MP 910: riguarda la legge sull’accaparramento delle terre che legalizza la proprietà privata dei terreni pubblici disboscati e occupati illegalmente prima del 2018. Sono in gioco milioni di ettari di terreno.

Intervista al responsabile di “Adveniat“

Il Brasile sta diventando un focolaio di crisi della pandemia di coronavirus. Recentemente papa Francesco ha chiamato al telefono l’arcivescovo di San Paolo per chiedere delle informazioni.

Sulla situazione degli indigeni in Amazzonia e i rischi che corrono le popolazioni indigene a causa del coronavirus l’emittente della diocesi di Colonia, Domradio, il 12 maggio scorso, ha reso pubblica la seguente intervista, raccolta da Michelle Olion e riportata qui di seguito, al responsabile dell’organizzazione caritativa “Adveniat”, Klemens Paffhausen.

  • In mezzo alla foresta brasiliana sorge la metropoli di Manaus. I morti già adesso sono conservati in contenitori refrigeranti perché gli addetti alle sepolture sono sovraccarichi di lavoro, per non parlare del sistema sanitario. Perché si è sviluppata proprio qui una specie di hotspot del Coronavirus?

Manaus è tuttora la metropoli per eccellenza della foresta. Attira perciò molti uomini d’affari che hanno qui le fabbriche o vengono a visitarle. Tra l’altro vi sono anche molti imprenditori di paesi asiatici, per esempio della Cina, che hanno lì delle fabbriche per costruire biciclette, motori per ciclomotori ma anche motori per le navi che navigano nella regione amazzonica.

Anche per quanto riguarda la tecnologia radiofonica e televisiva, molto viene prodotto qui sfruttando un sistema favorevole delle imposte. Di recente tuttavia si sono visti anche flussi migratori dal Venezuela. Ciò vuol dire che esiste una fluttuazione di gente molto grande.

Inoltre ci sono molti che provengono dall’interno del paese, indigeni o gente che vive lungo i fiumi della regione amazzonica, i quali vengono a Manaus per trattare spesso con le amministrazioni, ma anche per fare acquisti. Tutto ciò naturalmente favorisce l’aumento dei contagi.

  • Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha sempre minimizzato il pericolo del coronavirus e lo ha definito un’invenzione dei media. Alla luce di questi drammatici sviluppi, ha ancora il sostegno popolare?

Al presidente Bolsonaro piace interpretare il ruolo del provocatore e naturalmente è sempre sui titoli dei giornali. Il suo indice di gradimento è in effetti in ribasso, ma attualmente abbiamo a che fare con uno scenario molto pericoloso.

Bisogna tener presente che molte persone sono colpite dalla crisi del coronavirus nel senso che la quarantena le priva di ogni possibilità di sostentamento.

Ciò significa che molti vorrebbero volentieri continuare a lavorare o dovrebbero poterlo fare. Si trovano di fronte a due scelte: o morire di coronavirus o morire di fame. Bolsonaro gioca così la carta di mettere i disoccupati contro i malati di coronavirus. E ciò potrebbe tuttora portagli anche dei consensi.

  • Come lei ha appena detto: molti non possono più recarsi al lavoro e non possono nemmeno rimanere a casa perché non potrebbero guadagnare il sufficiente per vivere . Ma sono a rischio anche gli indigeni?

Gli indigeni hanno dietro di sé una lunga storia di sofferenze per quanto riguarda l’incontro con le cosiddette conquiste dei bianchi. Ci sono anche in Brasile dei territori in cui al tempo delle conquiste ci furono degli incontri dopo i quali il 90% della popolazione indigena è morta a causa di malattie perché priva delle difese immunitarie per combatterle – e ciò continua a verificarsi anche oggi.

La strategia di molti indigeni è di ritirarsi ulteriormente, perché ogni incontro con la gente delle città o con altri possibili gruppi possibilmente contagiati, per essi possono avere conseguenze mortali. Inoltre, nei villaggi indigeni non può essere messa in atto una specie di quarantena o qualcosa di simile, per non parlare delle medicine appropriate per l’emergenza.

  • Sulla scia della pandemia si è acutizzata, per così dire, anche un’altra situazione. Nei mesi scorsi complessivamente è stato eliminato il doppio di superfici boschive pluviali amazzoniche rispetto allo scorso anno. Come si collegano tra di loro queste situazioni?

Lo scorso anno si è visto chiaro che anche con l’attuale presidente Bolsonaro è stata promossa una politica che prevede una deforestazione più ampia possibile. Ciò significa che la foresta pluviale amazzonica è considerata una risorsa economica. Si tratta dell’esportazione del legname, ma anche di creare dei pascoli per esportare carne bovina.

Bisogna per lo meno supporre che le autorità di sorveglianza non siano state molto efficaci in una situazione di crisi del genere. Si ha comunque l’impressione che ciò sia piuttosto politicamente voluto, allora bisogna attendersi che in questo momento si creino i presupposti, che porteranno a un disboscamento ancora maggiore.

Probabilmente, tuttavia, si guarderà anche al periodo successivo alla crisi dove si spera di trovare altri sbocchi commerciali, in particolare per ciò che riguarda l’export della carne nei paesi asiatici e anche l’export della soja. Questi sono i principali problemi che portano alla deforestazione.

  • In quanto opera caritativa, come sostenete voi attualmente i brasiliani cattolici  latino-americani? 

Siamo in ottimo dialogo con la Chiesa latino-americana che ha già un’attenzione particolare per i poveri e, ovviamente, in questo momento siamo molto richiesti in quanto opera caritativa. “Adveniat” ha finora messo a disposizione 2,5 milioni di euro come aiuto immediato e di emergenza e offre sostegno in vari modi – in particolare con pacchi alimentari, medicinali e articoli per l’igiene.

Specialmente a Manaus siamo in contatto con l’arcivescovo. Sappiamo che un grande problema è che la Chiesa cattolica locale non ha ospedali suoi e perciò non può agire in modo efficace nel sistema sanitario,

È diverso in altre diocesi, per esempio in Óbidos, dove “Adveniat” può sostenere due ospedali, e dispone anche di una nave ospedaliera che può – secondo le possibilità – viaggiare nelle zone esterne, con un’équipe di medici.

Ma il grande interrogativo è ancora: come poter dar da mangiare alla gente. La fame sta diventando un problema sempre più grave. E qui “Adveniat” cerca anche di liberare fondi del bilancio che altrimenti servirebbero per altri progetti.

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